Virzì alla No Tav in fuga: "Torna, sapremo capirti"

07.07.2016 11:41
Categoria: Articoli giornale, COSTUME, POLITICA

La Stampa del 7 luglio 2016 ospita un intervento del regista Paolo Virzì dedicato alla vicenda di Maria Edgarda Marcucci (Eddi), una studentessa in filosofia a Torino impegnata nel sociale e fra l'altro nelle proteste No TAV, resasi irreperibile dopo essere stata oggetto di una serie di provvedimenti restrittivi della libertà personale che l'autore giudica decisamente sproporzionati alla gravità degli addebiti, riconoscendole invece "la responsabilità di esprimere quella quota di dissenso di cui ogni società complessa ha un bisogno fisiologico, quella cosa che Don Milani definiva «la disobbedienza virtuosa».

Eddi dove sei? Perché sei costretta a scappare? Per quale motivo ti vogliono arrestare? Credo che valga la pena raccontare la tua storia.
Ti chiami Maria Edgarda Marcucci. Ti ho conosciuta sul set del mio film «Caterina va in città». Eri tra le comparse con mia figlia Ottavia, tua amica in quell’epoca in cui avevi appena dodici anni, ma l’intelligenza, la sensibilità e la passione già ti accendevano lo sguardo e lo facevano vibrare. Adesso ne hai 25, sei studentessa di Filosofia all’Università di Torino e ti fai notare alle assemblee studentesche perché mobiliti i tuoi amici per portare solidarietà e aiuto agli sfrattati, ai rifugiati, ai senzatetto, e tutti ti chiamano Eddi.
Ma cos’è successo di così grave, che ti ha fatto decidere di sparire, e di non dare più tue notizie a nessuno, neanche ai tuoi genitori?
Nel novembre scorso tu ed altri studenti vi siete opposti all’eventualità che un’aula dell’università fosse concessa per un uso privato ad un’organizzazione politica, il Fuan, rivendicando qualcosa di molto elementare, ovvero che le aule dell’Università servono agli studenti per studiare, ripassare, stare insieme, ripetere prima dell’esame, e non per la propaganda di organizzazioni politiche neofasciste il cui principale impegno sembra sia quello di alimentare il razzismo e la xenofobia, come se non ce ne fosse già abbastanza in giro. Sono intervenuti numerosi agenti di polizia in assetto antisommossa, è intervenuta la Digos, hanno fatto irruzione nell’aula, hanno identificato e fermato una trentina di studenti tra i quali tu, e siete stati rilasciati solo dopo l’intervento di altri universitari esterrefatti, tra i quali anche molti professori. Ma in seguito a questo episodio la Procura di Torino ha emesso un provvedimento contro di te: obbligo di firma, e scusa se non riesco a capir bene di cosa si tratti, credo che tu dovessi recarti inutilmente tutti i giorni in Questura a firmare un foglio. Ma non ti sei sottratta, hai eseguito diligentemente quello che ti veniva chiesto.

Cinque ragazze
Qualche giorno dopo, insieme ad altre studentesse volevate entrare in un’aula dov’era in corso un incontro pubblico presieduto dal Rettore, il cui tema era qualcosa come «Il futuro dell’Università», ma sulla porta alcuni uomini in borghese, senza identificarsi, volevano impedirvelo. Eravate in cinque, cinque ragazze, e avete chiesto spiegazioni a quei signori, che invece hanno cominciato a spintonarvi. Di questa circostanza esiste un breve filmato realizzato con un telefonino che ho avuto occasione di vedere. La sensazione che se ne ricava è che quelle persone, che poi si sono rivelati agenti della Digos, cerchino di suscitare un comportamento che possa poi essere censurato come pericoloso e quindi punito. Cosa succede, poi? Per intercessione del Rettore, che apre la porta e forse si rende conto di aver esagerato a chiedere l’intervento delle forze dell’ordine, riuscite ad entrare e tu ti iscrivi a parlare e dal palco, senza urlare, in modo pacato e perfino sorridente, provi ad esprimere la tua opinione su quello che ritieni un presidio costante ed improprio della Digos dell’Università di Torino, riferendoti anche ad altre circostanze nelle quali agli studenti è impedito di accedere agli spazi della loro facoltà. In seguito a questo episodio, Eddi, ricevi un inasprimento delle misure cautelari: da obbligo di firma a divieto di dimora a Torino. Uno di quegli agenti della Digos avrebbe dichiarato in un verbale di aver subito un colpo violento da te, tale da causare l’incrinatura di una costola. Dichiarazione sulla quale sembra lecito esprimere – sommessamente, eh? – qualche dubbio, dal momento che questo agente invece di fermarti, di arrestarti, di correre al Pronto Soccorso, lo vediamo nel filmato chiacchierare tranquillamente con altri colleghi durante il tuo intervento. Forse si è accorto della costola incrinata solo più tardi, forse gli sei venuta in mente tu, che forse lo avevi colpito. Ma andiamo avanti, perché c’è un ultimo episodio da raccontare.
Risale a qualche mese prima, a Chiomonte, in Val di Susa, teatro purtroppo come sappiamo di altri scontri sul tema Tav, a proposito del quale non è mia intenzione qui esprimere giudizi e valutazioni. Nel filmato, che uno può vedere comodamente su YouTube, un gruppetto di manifestanti cerca goffamente di tirar giù una recinzione del cantiere legandola ad una corda, ma sono così pochi ed evidentemente così poco forzuti che non riescono a spostarla di un millimetro. Fin lì siamo ad una scenetta abbastanza buffa che non sfigurerebbe nei filmati di «Paperissima», ma la risposta delle forze dell’ordine invece è imponente: un centinaio di poliziotti armati ed in assetto di guerra respinge con lacrimogeni ed idranti quel gruppetto di manifestanti, che definire pericoloso è quantomeno iperbolico, se non altro per la disparità delle forze in campo.
Invece in seguito a questo episodio è partito dalla Procura di Torino un provvedimento contro circa 20 persone, tra i quali ci sei tu, sottoposta agli arresti domiciliari. Quindi, nell’ordine: secondo la Procura saresti sottoposta all’obbligo di firma, al divieto di dimora a Torino ed infine ai domiciliari (sempre a Torino, dove abiti). A me pare che ci sia qualcosa di spropositato e anche di involontariamente comico in questi provvedimenti tanto severi quanto contraddittori. Devi averlo pensato anche tu, che infatti hai deciso di scappare e adesso nessuno sa più dove tu sia.
La cosa che colpisce è che i magistrati si confrontino con te con uno spirito così intransigente, come se davvero tu fossi un pericolo per la collettività. Non vorremmo che un intervento così pesante, che peraltro, insieme ad altri analoghi, occupa le ore preziose dell’attività della Procura di Torino rischiando di distrarla dalle tante emergenze che stanno a cuore a tutti, finisca col trasformare te, Maria Edgarda detta Eddi, e quelli come te, ragazzi idealisti e appassionati rompicoglioni, in cinici disillusi, mosci e sfiduciati verso le virtù civili di una democrazia come la nostra.

Un altro finale
Mi verrebbe di dirti, se ovunque tu sia avrai modo di leggere queste mie parole, che non deve andare a finire così: io sono certo che l’Italia non sia l’Egitto di Al-Sisi, o la Turchia di Erdogan e che le autorità sapranno trovare lo sguardo e la misura per valutare nelle giuste dimensioni la tua posizione. Può darsi che tu abbia violato qualche legge, ma questo non mi trattiene dall’avvertire per te una simpatia struggente. Perché nell’indifferenza di una società distratta, egocentrica, coi più giovani impegnati ad esibirsi sulle bacheche dei social network – tra selfie con la boccuccia a cuore, fotine di gattini e di pietanze impiattate alla maniera degli chef – o che si eccitano a sfogarsi rabbiosamente contro i diversi, i più deboli, in un clima dove crescono la paura e l’intolleranza, ti sembrerà che sia destinata a cadere esclusivamente sulle fragili spalle tue e di quella manciata di tuoi coetanei la responsabilità di esprimere quella quota di dissenso di cui ogni società complessa ha un bisogno fisiologico, quella cosa che Don Milani definiva «la disobbedienza virtuosa». Capisco come devi sentirti, Eddi, sola e sconfortata, in un mondo che non sa che farsene dei tuoi slanci ribelli, delle tue domande generose e ingenue, e che deve sembrarti triste e sordo se sa risponderti solo coi gendarmi e la galera.
Noi tutti, come cittadini, come genitori, vorremmo capire com’è possibile che tu sia costretta a nasconderti e vorremmo ascoltare dalla tua voce le tue ragioni. Spero che tu ti faccia viva, spero che tu non abbia paura, spero che non ti arrabbi se ho messo il naso in questa tua vicenda personale cercando di usare un tono sdrammatizzante. Intanto ti mando un abbraccio.

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