La storia è lo specchio del presente. Forma le nostre credenze e identità

06.08.2015 16:17
Categoria: Articoli giornale, COSTUME, POLITICA

Il valore della storia, della sua conoscenza e del suo studio, in un articolo di Giuseppe Galasso con cui sul Corriere della Sera di giovedì 6 agosto 2015 viene presentato il progetto editoriale che prevede, a partire dal prossimo 27 agosto, la pubblicazione con cadenza settimanale di testi allegati ogni giovedì al quotidiano, attraverso i quali si ripercorrono le tappe di un cammino che parte dall’età di Pericle e della Grecia classica per giungere fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nell’ultimo quarto del XX secolo.

“La visione e il racconto della storia – scrive Galasso – sono un percorso primario di aggregazione sociale. Sul riconoscere radici e ascendenze comuni o sul bisogno o la volontà di rinnegarle e mutarle o fondarle ex novo si basano identità, appartenenze, esclusioni”.

 

Ci interessiamo alla storia già perché si sa che ciò che all’uomo interessa più di ogni altra cosa è sempre l’uomo stesso. Questa ragione è, però, di ordine ancora troppo generale. Di fatto, non si conosce società umana che non costruisca il racconto di se stessa; che non risponda alle inevitabili domande del «chi siamo, d’onde veniamo, dove andiamo». E nel ricorrere del bisogno di rispondere a tali domande in ogni società e nelle forme più varie, dalle leggende e dai miti primitivi ai più moderni metodi di ricostruzione e racconto del passato, si rivela anche la fondamentale funzione sociale della storia.
La storia stabilisce, infatti, le identità che nascono dal passato; delinea il passato sul quale si viene a costruire il futuro; stabilisce o contesta coesioni e rapporti sociali del passato o ancora attuali; offre la visione dell’orizzonte di genti e problemi fra i quali ci si mosse e ci si muove; conferma, smentisce o rivede le credenze del passato; impugna o rafforza ciò che del passato dicono altri, amici o nemici: una funzione, dunque, plurale al massimo possibile, semplificabile fino a radicali schematicità, ma giammai preteribile, e sempre in atto, anche se non sempre con la stessa intensità e consapevolezza.
Proprio per il suo ricorrere in ogni contesto umano, la storia del passato è sempre fatta tenendo al centro il mondo di cui si scrive la storia e il mondo di chi la scrive, in un rapporto imprevedibile, per cui la storia del passato è sempre anche uno specchio storico del mondo di chi la scrive oggi.
Dalla constatazione di questo molteplice atteggiarsi sono nate due implicazioni fondamentali. Da un lato, ci si è fatta l’idea che la storia ci insegni il da farsi per oggi e per domani. «La storia maestra della vita» è forse la più comune definizione della storia. Dall’altro lato, ci si è fatta l’idea che, essendo opera nostra di oggi, la storia ce la possiamo raccontare ciascuno a modo nostro.
Sono due implicazioni errate. La storia ci illustra il passato, il punto al quale ci troviamo. Che cosa poi fare a questo punto è affare nostro di oggi, e nessun insegnamento del passato ci risparmia la fatica di trovare da noi le vie del futuro, di inventarle e seguirle noi. E non è vero affatto che la storia ce la possiamo scrivere come ci pare. La storia si scrive con i documenti. Anche le leggende e i miti primitivi avevano la loro del tutto particolare e, però, funzionale base documentaria, a partire dalle memorie della tribù o del clan. Anzi, più si è andati avanti e più una scrittura arbitraria della storia è diventata difficile, e si sono moltiplicati i tipi di documentazione da tenere presenti e utilizzare. Si pensi al ruolo formidabile che per la documentazione storica ha assunto l’archeologia, o alle sconvolgenti utilizzazioni delle moderne tecnologie informatiche per il reperimento, la classificazione e l’analisi di un’innumerevole quantità di dati tradizionali o nuovi.
Nello scrivere la storia a proprio arbitrio si rivela, tuttavia, uno degli aspetti più importanti della funzione sociale della storiografia. La visione e il racconto della storia sono, infatti, un percorso primario di aggregazione sociale. Sul riconoscere radici e ascendenze comuni o sul bisogno o la volontà di rinnegarle e mutarle o fondarle ex novo si basano identità, appartenenze, esclusioni, il «noi e gli altri»; si fondano i giochi del potere e dell’antipotere; e anche questo si fa, nelle forme più varie secondo tempi, luoghi e popoli, già dall’alba dei tempi, tanto che in gran parte era in origine una funzione sacrale e sacerdotale. Tutte le forme e i fenomeni di aggregazione sociale, non solo la realtà e la vita politica, hanno questa base, e ne sono un caso esemplare le religioni.
Quando oggi si parla con molto sussiego di «uso pubblico della storia» come una recente scoperta, bisognerebbe ricordare che si parla di un modulo originario della convivenza umana, che ha avuto e avrà sempre le sue particolari declinazioni (le quali sono anch’esse un oggetto di storia, e non dei minori).
Sono tutte cose utili a ricordarsi, in particolare oggi che l’Europa ha svolto fino in fondo il filo storico che, partendo dal Mediterraneo e dalla grande esperienza civile greca e romana, è giunto ad abbracciare il mondo, passando per fasi, forme e sviluppi di straordinaria creatività, dal Cristianesimo fino alle idee e ai valori di oggi.
Nella sua storia l’Europa si è sempre considerata, per i suoi valori umani e civili, l’Occidente del contesto storico in cui di volta in volta si trovava, e ha di fatto costruito un grande Occidente intercontinentale. Una volta la sua identità era data per scontata e la si esibiva con orgoglio e sicurezza. Oggi è un capo di sua imputazione molto frequente. Ma anche per ciò la storia si scrive e si riscrive.
L’Europa è stata per alcuni secoli il centro motore della storia mondiale, e la sua, come ogni altra storia, è fatta di grandezze e splendori, e di lacrime e sangue. Tuttavia, è nella storia sua e dell’Occidente che essa ha formato la rivoluzione scientifica e tecnica, che ha trasformato radicalmente la vita materiale (e non solo) dell’uomo, e sono nati quei valori e ideali sulla cui base il ruolo dell’Europa nel mondo ha finito con l’essere contestato (e proprio in ciò è forse il marchio della sua maggiore grandezza).

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