Come rubare i voti agli avversari

27.05.2014 13:17
Categoria: Articoli giornale, COSTUME, POLITICA

Con la consueta vena di pungente ironia Massimo Gramellini si interroga (e fornisce le sue risposte) sulle ragioni che hanno portato Renzi a un successo così travolgente nell'ultima tornata elettorale, mettendo in risalto le differenze di stile e di approccio tattico - strategico che ne distinguono la presenza e l'azione rispetto a chi lo ha preceduto alla guida del partito. Un taglio "leggero" e divertente per una lettura dei fatti tutt'altro che banale...

Il teorema di Renzi che ha sconvolto le leggi della fisica politica italiana recita così: per trasformare una minoranza in maggioranza occorre togliere voti agli avversari. Una tesi non del tutto ignota alle altre democrazie del pianeta, ma abbastanza sconvolgente per il nostro Paese, come da vent’anni si affanna a ripetere il professor D’Alema, ordinario di scacchistica comparata presso l’università di Sconfittopoli.
Gli studi del D’Alema, autorevolmente proseguiti dal collega Bersani, partono da una premessa nota come «Barriera del 33%», secondo cui in Italia la sinistra è geneticamente inadatta ad attrarre i voti di due italiani su tre: quelli che guardano Canale 5 e in certi casi estremi Retequattro, leggono poco e comunque solo le figure, pagano meno tasse che possono, non vanno a votare e quando ci vanno mettono la croce accanto al nome di strani ceffi populisti o, nelle patologie più gravi, scelgono addirittura Silvio Berlusconi. I consensi di questi individui perduti alla causa della civiltà non vanno mai ricercati, sostiene autorevolmente la Compagnia di Sconfittopoli, perché sporcherebbero la purezza della comunità democratica. Da qui la necessità di respingere al mittente i loro voti, salvo poi trattare dopo le elezioni con i partiti che li rappresentano.
L’avvento di Renzi ha scompaginato questa formidabile scuola di pensiero, a cui la sinistra deve alcune tra le sue sconfitte più belle. Prima del segretario fiorentino soltanto Veltroni aveva osato esporre ai colleghi democratici il bizzarro teorema. «Non dobbiamo allearci con i partiti di centrodestra, ma con i loro elettori». La frase fu accolta da risolini di compatimento che talvolta si spingevano fino al disgusto e portarono alla sua rapida defenestrazione. Non per niente il bravissimo autore del film «Viva la libertà» la fa pronunciare al gemello pazzo del segretario del Pd.
Per ragioni tattico-numeriche, Renzi un’alleanza con alcuni partiti moderati l’ha poi fatta davvero, ma fin dal primo giorno si è posto l’obiettivo di svuotarne i consensi. Avrete notato come Monti e Casini, che ancora un anno fa superavano il 10 per cento, siano praticamente scomparsi, i loro voti risucchiati nel gorgo del partitone del centrosinistra. Ma il professorino di Pontassieve ha osato spingere il teorema ai limiti dell’ignoto, ponendosi a caccia degli elettori di Berlusconi. Per riuscirci ha evitato con cura di insultarli e di considerarli dei delinquenti o dei paria, resistendo stoicamente alle provocazioni della stampa arcoriana, che dopo averlo vezzeggiato per anni in funzione anticomunista, negli ultimi giorni lo dipingeva come un incrocio fra Fonzie e Che Guevara. Dietro le comparsate ad «Amici», le critiche alla Cgil e la mano tesa al popolo delle partite Iva - atteggiamenti duramente criticati dagli adepti di Sconfittopoli - ha preso forma un piano preciso: offrirsi come alternativa a una platea di persone che non aveva mai votato a sinistra in vita sua e che per decenni si era aggrappata a Berlusconi non per amore ma per disperazione.
Il vero capolavoro di Renzi è stato strappare al leader del centrodestra gli anziani, conservatori per ragioni anagrafiche e sempre più decisivi nelle urne di un Paese a bassa natalità come il nostro. La faccia da genero di tutte le mamme lo ha indubbiamente aiutato, almeno quanto la sua estraneità alla storia del comunismo e l’energia rassicurante, contrapposta a quella distruttiva di un Grillo. L’urlatore-capo ha dato la colpa dell’inattesa afonia elettorale dei Cinquestelle proprio ai pensionati. E in quel sessantacinquenne che accusa i suoi coetanei di avergli preferito un trentanovenne c’è tutta l’assurdità della politica italiana, ma anche la riprova che il teorema di Renzi ha superato la prova del nove. Anzi del quaranta (per cento).