A proposito delle polemiche sul CCNI Formazione: letture distorte generano accuse infondate
Il pezzo di apertura di Dirigenti News, la newsletter della CISL Scuola per la dirigenza scolastica diffusa con cadenza settimanale ogni lunedì, affronta oggi il tema della formazione in servizio del personale docente, educativo e ATA, rispondendo alle critiche rivolte nei giorni scorsi al CCNI concernente i criteri generali di ripartizione delle risorse per la formazione per il triennio 2019/20-2021/22. Una lunga e dettagliata replica che di seguito si riporta integralmente.
Il contratto in materia di formazione in servizio del personale scolastico è stato oggetto, nei giorni scorsi, di critiche e contestazioni che appaiono, come troppo spesso accade, frutto di una lettura a dir poco superficiale di quanto il contratto stesso prevede. Sorprende, e dispiace, che lo facciano anche osservatori solitamente attenti e poco inclini a gratuite polemiche, come ad esempio la rivista Tuttoscuola, che la settimana scorsa ha dedicato al tema notevole risalto, mettendo sul banco degli accusati amministrazione e sindacati. Dalle oltre 1.800 parole che compongono il testo contrattuale (tabelle allegate escluse) se ne estrapolano 26, in parte travisandole, per trarne una pesante accusa rivolta ai sindacati, quella di volersi mettere di traverso – con la connivenza del ministero – rispetto all’attivazione di efficaci politiche di formazione e aggiornamento degli insegnanti. Non si fa inoltre alcun cenno al Verbale di Confronto che è richiamato nel CCNI e che ne costituisce parte integrante.
Le cose in realtà stanno addirittura all’opposto di quanto viene sostenuto, e forse leggendo con un po’ più di attenzione e meno foga censoria le altre 1.800 parole del testo anche chi ci contesta se ne potrebbe rendere conto. Partendo dal fatto che mai viene scritto nel contratto (né mai si è pensato) che l’aggiornamento non costituisca un dovere per il personale. È fuori discussione, infatti, che dal Piano di formazione d’istituto, che obbligatoriamente deve essere inserito nel PTOF, discendano obblighi precisi e ineludibili per tutto il personale: tante è vero che il terzo comma dell’art. 2, nel declinare tutte le possibili modalità di formazione attivabili, ivi comprese le iniziative di autoformazione - su cui si insinua il sospetto che si tratti solo di un escamotage per evadere sostanzialmente ogni obbligo - assegna al Piano stesso anche il compito di precisare “le caratteristiche delle attività e le modalità di attestazione”. Peraltro, occorre ricordare che già il Piano per la Formazione dei Docenti 2016/2019 (certo non scritto dai sindacati) prevedeva che “le azioni formative per gli insegnanti di ogni istituto sono inserite nel Piano Triennale dell’offerta Formativa, in coerenza con le scelte del Collegio Docenti che lo elabora sulla base degli indirizzi del dirigente scolastico. L’obbligatorietà non si traduce, quindi, automaticamente in un numero di ore da svolgere ogni anno, ma nel rispetto del contenuto del piano”. Ed ancora, “è importante qualificare, prima che quantificare, l’impegno del docente considerando non solo l’attività in presenza, ma tutti quei momenti che contribuiscono allo sviluppo delle competenze professionali, quali ad esempio: formazione in presenza e a distanza, sperimentazione didattica documentata e ricerca/azione, lavoro in rete, approfondimento personale e collegiale, documentazione e forme di restituzione/rendicontazione, con ricaduta nella scuola, progettazione”.
Pertanto, il contratto integrativo non ha individuato furbeschi escamotage, ma ha semplicemente fatto proprio quanto lo stesso MIUR aveva sostenuto nel Piano Triennale già ricordato. Un piano, si badi bene, adottato con decreto ministeriale 19 ottobre 2016, n. 797, a firma Stefania Giannini (governo Renzi), con buona pace di chi ci addebita il reato di “lesa 107”.
Quanto all’uso del verbo “può” (tutto il personale in servizio può accedere alle iniziative formative), l'intento non è affatto quello paventato, ossia di conferire all’attività di aggiornamento un carattere opzionale, ma piuttosto quello di estendere il diritto di accesso alla formazione a tutto il personale, compreso chi lavora con contratto a tempo determinato, che non rientrerebbe nelle previsioni di obbligatorietà della legge 107/2015. Infatti, l’art. 1 c. 124 della legge, peraltro richiamato più volte nelle premesse del contratto integrativo (ma su questo i nostri critici hanno preferito sorvolare), fa riferimento al solo personale di ruolo. Per questo nel contratto è stato inserito un intenzionale richiamo a tutto il personale in servizio (quindi anche a tempo determinato) proprio per ampliare la platea dei partecipanti alle iniziative formative: questione a lungo discussa durante la contrattazione e che ha costituito una specifica richiesta sindacale, motivata in relazione all’alto numero di supplenze annuali. Pertanto, quel “può” assume significato esattamente opposto a quello che gli viene sbrigativamente attribuito. Nessuna attenzione, come già si è detto, viene prestata a quanto riportato nel Verbale di Confronto, richiamato nel CCNI - di cui fa parte integrante - e contenente gli obiettivi e le finalità della formazione del personale. Nel Confronto, si è prestata particolare attenzione non solo ai docenti ma anche al personale ATA, il cui ruolo rischia sempre di non essere adeguatamente valorizzato. Chi ha esperienza di scuola sa, per esempio, quanto rilevante possa essere il ruolo dei collaboratori scolastici nel contribuire alla costruzione di un buon clima relazionale, all’accoglienza ed alla predisposizione di laboratori e ambienti per l’apprendimento e quindi al successo formativo. Altrettanto dicasi per il personale amministrativo, per il buon funzionamento delle segreterie.
Vogliamo sottolineare che per questo personale non è previsto obbligo formativo tranne che in specifici limitati campi; è stata invece una precisa scelta delle parti sociali valorizzarne l’importanza sostenendo la necessità di una specifica offerta formativa, alla quale troppo spesso l’Amministrazione non riesce a fornire adeguata cornice.
Sfugge poi completamente, agli accaniti censori dell’accordo, l’obiettivo di fondo del nuovo contratto integrativo, che è quello di ricondurre più direttamente a ogni singola istituzione scolastica autonoma e alle peculiarità della sua offerta formativa la definizione del Piano di formazione, in modo che si raccordi in modo funzionale al PTOF.
Il senso della formazione rivolta al personale dovrebbe essere infatti quello di rispondere con efficacia alle esigenze evidenziate nel PTOF e nel piano di miglioramento di ogni scuola. Il CCNI ha voluto ricondurre all’autonomia dell’istituzione scolastica, e alla responsabilità del collegio dei docenti e dell’assemblea ATA, l’individuazione degli obiettivi da conseguire e delle azioni formative da realizzare. Per questo si è ritenuto fondamentale che il Piano di formazione non fosse definito a livello di una rete di natura amministrativa come quella di Ambito, ma fosse riportato nell’alveo della decisionalità degli Organi collegiali anche nella costituzione delle reti di scopo, delle quali peraltro possono farsi certamente promotrici anche le scuole polo. Ma la dimensione amministrativa deve essere tenuta distinta da quella pedagogica e didattica. Se vogliamo che la formazione sia davvero efficace e non si riduca ad un adempimento puramente formale, occorre che risponda a bisogni professionali, che aiuti ad affrontare problemi significativi e rilevanti. Le persone devono essere coinvolte e protagoniste. Per far questo, le scelte devono essere corollario all’autonomia dell’istituzione scolastica e tradursi in azioni che possono essere condivise in reti di scopo, con il coinvolgimento dell’organismo tecnico per eccellenza in materia didattica che è il Collegio dei docenti.
Altri due aspetti sono a nostro parere molto rilevanti nel CCNI. Il primo è che tra le tematiche della formazione sia stata inserita la sicurezza nei luoghi di lavoro, anche in relazione agli obblighi formativi previsti dalla normativa vigente. Questo argomento non era compreso nel Piano triennale e ciò aveva impedito alle scuole polo di utilizzare i fondi, anche quelli residuati, per queste iniziative di formazione, peraltro obbligatorie, indispensabili per aumentare la consapevolezza del personale sulla sicurezza a scuola. L’attenzione ai contenuti formativi, alla loro qualità e alla loro congruità, dovrebbe essere almeno pari a quella riservata all’obbligatorietà, aspetto importante ma assunto talvolta in maniera quasi ossessiva. Viene in mente un altro argomento, su cui anche gli aficionados della Buona Scuola farebbero bene a dedicare un supplemento di riflessione, ovvero se e quanto la card docenti si sia dimostrata, alla prova dei fatti, strumento davvero efficace di promozione e incentivo alla formazione e all’aggiornamento. Per dire che una seria e credibile politica della formazione in servizio non può esaurirsi nella mera affermazione di un generico “obbligo”, né in altrettanto generiche, e più o meno generose, elargizioni.
Infine: il CCNI dedica una particolare attenzione al monitoraggio e alla verifica. Vi è infatti la previsione che le istituzioni scolastiche inseriscano nella Piattaforma Sofia le iniziative di formazione realizzate, non solo quelle riguardanti il personale docente - come avvenuto sino ad ora - ma anche quelle rivolte al personale ATA. Questo passaggio del tutto innovativo, al quale chi critica l’intesa non ha attribuito alcuna importanza, mentre richiama l’attenzione sull’opportunità di costruire validi progetti formativi anche per la componente ATA, davvero sottovalutata sin qui dal Piano nazionale di formazione, consentirà di raccogliere dati più completi rispetto alle azioni in atto e allo sviluppo della professionalità del personale.
Insomma, non regge proprio, alla luce di un’onesta lettura dei testi contrattuali, lo stereotipo di un sindacato preoccupato soltanto di “scansare fatiche” (cui ancora una volta si ricorre, cedendo peraltro alla pessima abitudine di far d’ogni erba un fascio). Basterebbe, per quanto ci riguarda, rimandare alla cospicua mole di iniziative a carattere formativo che a tutti i livelli e in ogni angolo d’Italia la nostra organizzazione promuove, per dimostrare quanto sia fuori luogo un’etichettatura del genere. Ma soprattutto, per dimostrare come esista un corpo professionale che esprime in modo molto diffuso una domanda di formazione e aggiornamento sorretta da interesse e forte motivazione. Da qui varrebbe la pena partire, non da polemiche gratuite, per sviluppare un confronto veramente all’altezza e produttivo non di inutili polemiche, ma di concreti risultati.