Poletti, regolarizza 1 milione di giovani. No alle modifiche all'art. 18
"Il tema dell’articolo 18 rischia di dividere il Paese in un momento grave in cui avremmo bisogno della massima coesione sociale per affrontare i tanti nodi irrisolti che frenano la ripresa e la creazione dei nuovi posti di lavoro". Lettera di Bonanni al direttore di Avvenire (20 settembre 2014)
Caro direttore, il tema dell’articolo 18 rischia di dividere il Paese in un momento grave in cui avremmo bisogno della massima coesione sociale per affrontare i tanti nodi irrisolti che frenano la ripresa e la creazione dei nuovi posti di lavoro. La Cisl non vuole prestarsi a questo gioco del tutti contro tutti. Per questo ci rivolgiamo direttamente al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che oltre a essere una persona saggia e competente, è l’interlocutore istituzionale delle parti sociali: perché si vuole 'inquinare' il dibattito sulla riforma del lavoro con la vicenda dell’articolo 18 che è stato riformato, dopo un non facile confronto con le stesse parti sociali, dal Governo Monti appena due anni fa?
Sarebbe molto utile che lo stesso ministro Poletti comunicasse all’opinione pubblica la reale portata e i dati ufficiali dei contenziosi sull’articolo 18 dopo l’ultimo intervento legislativo, che ha introdotto, proprio su proposta della Cisl, il ricorso all’arbitrato nelle controversie sui licenziamenti, in modo da evitare la via lunga e tortuosa della giustizia civile.
Facciamo chiarezza: i casi di reintegro in Italia sono davvero pochissimi, a dimostrazione che il tema dell’articolo 18 è solo un totem ideologico da agitare in ogni stagione politica. È il simbolo di una Italia rancorosa, che vuole far leva sull’invidia sociale, mettendo sempre i padri contri i figli, i lavoratori tutelati contro i giovani non tutelati. Abbiamo detto con chiarezza che il contratto a tutele crescenti può essere una strada giusta per eliminare tutte quelle forme spurie di flessibilità selvaggia come il ricorso alle false partite Iva, agli associati in partecipazione, ai collaboratori a progetto, sia nel settore privato sia nel pubblico impiego. Il Governo è disposto a cancellare queste vergognose forme di sfruttamento dei giovani? Discutiamo di questo tema, puntando a stabilizzare almeno un milione di giovani precari che si trovano senza alcuna garanzia salariale e previdenziale. Non si capisce proprio perché questa necessaria gradualità delle tutele debba rimettere in discussione il diritto al reintegro nei confronti dei licenziamenti palesemente ingiustificati (al pari di quelli discriminatori) senza, peraltro, nessuno scambio, come la garanzia di far uscire dall’inferno i giovani precari. Sappiamo bene che non c’è alcuna relazione tra una maggiore libertà di licenziare e la creazione di nuovi posti di lavoro. In Italia le imprese che vogliono assumere i giovani chiedono il taglio delle tasse e degli oneri che pesano gravemente sul lavoro. Sollecitano crediti di imposta selettivi, soprattutto nel Mezzogiorno, sostanziosi risparmi sui costi dell’energia o per lo smaltimento dei rifiuti.
Occorrono anche infrastrutture efficienti, rapidità della giustizia civile, una pubblica amministrazione efficiente. Su questi indispensabili fattori di sviluppo dobbiamo mobilitarci insieme, lavoratori e imprese, senza dividerci, come qualcuno sta tentando di fare. È falso sostenere, ed è sbagliato farlo credere, che l’Europa chieda al nostro Paese lo 'scalpo' dell’articolo 18. In tutta Europa, e in Italia in modo particolare, il problema centrale è quello di sostenere la domanda. Per questo occorre un intervento choc di riduzione delle tasse, molto forte nel prossimo triennio (alcuni economisti lo indicano nell’ordine del 5 per cento del Pil), con un intervento della Bce per finanziare, nel breve e medio periodo, gli effetti negativi di questa manovra sul bilancio pubblico. Sia chiaro: senza un ritorno alla finanza allegra, ma con un forte intervento di spending review, che oggi sembra invece abbandonata dal Governo. Questa dovrebbe essere la riforma che il Governo Renzi dovrebbe realizzare e non ricercare ogni occasione di scontro con il sindacato per 'modismo' o per opportunismo politico che nulla ha a che vedere con gli interessi dei giovani.