Renzi, basta ricatti. Intervista di Francesco Scrima a "In terris"
Il mondo della scuola si mobilita contro la riforma voluta dal duo Renzi-Giannini. Un disegno di legge (ddl) bocciato dai sindacati per l’impatto che potrà avere sul sistema dell’Istruzione. Ma, come su Jobs Act e Italicum, il governo non sembra intenzionato a frenare, mostrandosi ancora una volta poco incline a seguire la via del dialogo. Così oggi migliaia di rappresentanti del personale scolastico scenderanno in piazza sotto le sigle dei principali sindacati. Per parlare dello sciopero abbiamo sentito Francesco Scrima, segretario generale della Cisl Scuola.
Scrima, possiamo dire che la riforma della Scuola un risultato lo ha già ottenuto: ha fatto superare divisioni e conflittualità nel mondo sindacale. Oggi sarete in piazza insieme.
Sì, dopo 7 anni ci mobilitiamo unitariamente per difendere l’istruzione. Perché questa legge non porterà la buona scuola, ma una conflittualità interna ed esterna. E pensare che, all’inizio, avevamo accolto positivamente l’intenzione di Renzi di mettere questo settore al centro del programma di governo.
Poi cos’è successo?
Ci siamo accorti che non c’era un progetto fondato sulla conoscenza del mondo scolastico. La prima proposta dell’esecutivo poggiava su due elementi: la stabilizzazione del personale e la volontà di ridare orgoglio ai docenti. Ma i fatti hanno dimostrato altro. Prima Renzi ha detto di voler risolvere il problema dei precari facendo assumere tutti gli insegnanti che sono nelle graduatorie in esaurimento. Una stupidaggine se si considera che queste non esauriscono tutto il precariato. Poi nella Buona Scuola sono stati inseriti il rinvio del rinnovo del contratto collettivo al 2018 e il blocco degli scatti di anzianità, che è l’unico strumento a tutela di una retribuzione (quella dei docenti) tra le più basse in Europa.
Come avete risposto?
Siamo andati nelle scuole per far conoscere la vera natura di questa riforma. Oggi gli scatti sono stati reinseriti anche se le assunzioni sono scese da 150 mila a 100 mila e c’è ancora da definire la questione del personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario). Persone di cui non viene riconosciuto l’impegno e il sudore, passate dall’essere figlie di un dio minore a senza dio.
Uno degli aspetti più controversi del ddl sono i maggiori poteri concessi ai dirigenti scolastici nella valutazione degli insegnanti.
Una cosa che non sta né in cielo né in terra. Dicono che così facendo si rafforza l’autonomia nella scuola. Ma l’autonomia della scuola c’è sempre stata, solo che non le è stato permesso di funzionare. Oggi si vuole identificare l’istituzione con il suo capo. Ma la scuola è una cosa diversa: è una comunità educativa fatta di tante professionalità che devono agire sinergicamente. Come si fa a dire che i presidi debbano reclutare i docenti da un albo territoriale per migliorare la competitività degli istituti? E poi che facciamo: se i risultati non sono buoni passiamo a selezionare gli studenti? C’è tanta superficialità in questa riforma e poco confronto con chi di questo tema si occupa da anni.
Un’altra questione aperta è quello dei 200 milioni per i cosiddetti scatti di merito. Può funzionare?
No. Il lavoro degli insegnanti ha delle sue peculiarità e non può essere giudicato da una figura monocratica come quella del dirigente. La valutazione deve passare attraverso il confronto con i colleghi. Qui non fabbrichiamo bulloni: la scuola è un’impresa formativa fatta di condivisione, collegialità, contitolarità. Deve essere valorizzata perché è di tutti e di ciascuno. Fra l’altro mi dicono che, per le superiori, vogliono inserire anche un genitore e uno studente nel team di valutazione dei professori. Non si può dare un compito tanto delicato a chi sta fuori dalla realtà scolastica.
Renzi dice che senza la riforma non ci saranno assunzioni.
Questa affermazione ha un nome e un cognome: ricatto al Parlamento. Il presidente del Consiglio parla di assunzioni come se fossero un miracolo. Dimentica che dal governo Prodi in poi, grazie alla mediazione del sindacato, ne sono state fatte 220-230 mila senza stravolgere il sistema. Se Renzi pensa che non ci siano i temi estrapoli dal testo la parte sulle stabilizzazioni e lasci al Parlamento il resto, senza forzature.
Qual è la vostra buona scuola?
Quella che viene dalla Costituzione. Fatta di inclusione, partecipazione, educazione, formazione ai valori democratici di questo Paese, che garantisce e assicura diritti di cittadinanza. Questa è l’istruzione che deve essere valorizzata, perché da una parte consente l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e dall’altra insegna loro i nostri principi fondamentali. Quella proposta dal governo è, invece, una scuola selettiva, che si basa sul modello aziendale.
Il premier vi accusa di impedire il cambiamento.
Prima diceva di non voler lasciare la scuola in mano agli insegnanti, cioè a coloro che la fanno, ora ce l’ha con i sindacati. Non capisce che è il settore stesso a rivoltarsi contro di lui. Alle ultime consultazioni sindacali abbiamo ottenuto il 92% dei consensi e siamo, dunque, pienamente legittimati a muoverci.
Che partecipazione ci sarà oggi?
Ci sarà una grande mobilitazione perché la gente sente tanto questo problema. La scuola appartiene al Paese e quando si interviene su di essa occorre scegliere la strada della condivisione. Le riforme calate dall’alto non hanno mai funzionato.
E se il governo non vi stesse a sentire? Cosa farete?
Intanto vediamo come finisce la storia: il governo ha potere di proposta ma la sovranità legislativa spetta al Parlamento. Se l’esecutivo dovesse andare fino in fondo decideremo come muoverci.
Intervista su "In terris - Online International Newspaper" (http://www.interris.it/), 5 maggio 2015