Qualcosa non ha funzionato, bisogna riflettere
"Quando si ferma la scuola è una cosa seria". Così si apre il pezzo di Marco Rossi Doria su La Stampa del 6 maggio. Un'analisi spassionata sulle ragioni che hanno portato a quello che l'autore definisce un paradosso (lo scontro con un governo che si appresta a investire 3 miliardi sulla scuola) e sul modo di uscirne "ritrovando luoghi e linguaggi comuni".
Quando si ferma la scuola è una cosa seria. La scuola è, infatti, un luogo che unisce molte cose: si impara il sapere dell’umanità in un tempo di radicale mutamento del come e del cosa si impara, si apprende a stare insieme tra coetanei nel mezzo di una crisi educativa generale che è di tutta la società, è il luogo della Repubblica che è più vicino alle attese e ai sentimenti di ciascuno. Sì, perché la scuola - tra bambini, ragazzi, docenti e altri lavoratori - comprende 9 milioni di persone; e, intorno - tra genitori, nonni e altri - almeno altri 20 milioni. Luogo di speranza e artigianale costruzione, di grande inclusione, di dolorose esclusioni, di meravigliose innovazioni fatte da docenti straordinari, di conservazioni inaccettabili e anche di docenze mediocri.
È per questo e per tanto altro ancora che tutto ricomincia a muovere le menti e i sentimenti quando il tema è la scuola. Esercitare scelte riguardanti la scuola, in modo democratico, non è facile. Ci vogliono processi ben sorvegliati. E’ certo che non tutti possono essere sempre d’accordo. Ma è pur vero che se così tanti - e così diversi tra loro - sono contro una proposta che riguarda la trasformazione della scuola bisogna dare ascolto - per il bene stesso del processo di cambiamento - e riflettere perché, evidentemente, il processo non è andato come poteva.
Le aule svuotate
Perché ieri non è stato uno sciopero di fazione. Migliaia e migliaia di ragazzi e di docenti hanno svuotato, letteralmente, le scuole di ogni angolo d’Italia e riempito le piazze per dire che sono contro alcune cose. Certo, c’è chi è contro perché è contro. Ma a migliaia di insegnanti equilibrati e competenti e anche a tanti dirigenti non piace proprio un preside che non sia egli stesso parte di un sistema coerente di valutazione e parte soprattutto di una comunità educativa. E a chi lavora sodo in territori difficilissimi non va giù che fondi privati siano indirizzati a singole scuole, per timore che nulla arrivi dove vanno i poveri. E c’è la sensazione, presso tante organizzazioni degli studenti, di non essere stati ascoltati abbastanza, dopo le consultazioni online iniziali, su come loro intendono partecipare a quel luogo che abitano più di ogni altro. E poi c’è paura, in giro, che la promessa di stabilità del lavoro - che pare finalmente potersi realizzare - possa allontanarsi. Queste paure - va ricordato - sono tanto più profonde quanto più sono state ripetute le promesse disattese durante questi lunghi anni dove i docenti hanno fatto il loro dovere senza gratificazioni. Poi - certo - in piazza c’erano anche le conservazioni di sempre.
Il paradosso
La giornata di ieri segnala un paradosso. Dopo anni di forti e miopi disinvestimenti questo governo ha investito 3 miliardi per la scuola; dopo decenni di tira e molla, ha solennemente scritto che oltre centomila precari entreranno in ruolo e che per gli altri si troveranno soluzioni, per poi riavviare i concorsi. E questo governo ha aperto l’anno scolastico con una consultazione larghissima, sulla base di un documento che mostrava innovazioni necessarie, che poteva essere emendato ma che aveva indubbi meriti, che è stato letto da organizzazioni e associazioni grandi e piccole di ogni colore e cultura, con una produzione ricchissima di annotazioni, per lo più positive, anche quando critiche.
Oggi si deve constatare che a fronte di un processo bene avviato e di un investimento che si attendeva da anni, è venuta meno una indispensabile tessitura comune tra governo e chi fa scuola. Bisogna chiedersi perché. La scuola è un mondo troppo pieno di energie positive e della fatica intelligente di troppe persone per potersi arrendere all’alternativa: decisione senza dialogo o discussione senza decidere. Un’alternativa assai povera, in democrazia. E il passaggio difficile di oggi va, dunque, trattato come crisi, in senso proprio e quindi come opportunità. Infatti, è possibile dirsi che la ripresa di investimenti per la scuola e una grande mobilitazione costituiscano, insieme, il grande campo comune, potenzialmente positivo, dal quale ripartire, ritrovando luoghi e linguaggi comuni.
Da dove ripartire?
Da tre cose.
1) Immettere subito in ruolo i docenti precari accettando i passaggi concordati in Parlamento per riuscirci.
2) Ricollocare il dirigente scolastico entro un sistema comunitario di decisioni e un sistema di coerenze per il quale si valutano e autovalutano ragazzi, scuole, docenti, dirigenti.
3) Ri-partire dai ragazzi, da come immaginano la scuola che li fa apprendere di più e meglio, scoprire comunità, imparare a fare e ad essere.
Ricostruire il telaio comune, ritessere subito il dialogo sulle cose da fare è difficile ma possibile. Una buona politica può riuscirci.
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