Maddalena Carlini

Stravolgere i pronostici

È sempre così. Prima di ferragosto prevalgono aspettative da “sabato leopardiano” per un’estate che possa rivelarsi il più possibile serena e rigenerante, ma dopo la metà del mese cominciano a profilarsi all’orizzonte le nuvolette della prossima stagione, che movimentano non solo il cielo ma anche le prospettive della nuova ripartenza professionale.
Quest’anno la pausa estiva della popolazione scolastica è stata caratterizzata dal “Piano Estate”, che sicuramente aspirava a raggiungere obiettivi ambiziosi, addirittura riconducibili ad una visione di scuola intesa come sistema aperto, non lontana dai modelli del civic center europeo e della community school nordamericana, nei quali l’agenzia formativa scolastica diventa luogo di aggregazione per la comunità di riferimento oltre il perimetro curricolare. Tuttavia, spesso le attività si sono svolte in locali scolastici generalmente inadeguati rispetto alle temperature roventi che ormai caratterizzano le nostre estati: una criticità – speculare alle opposte problematiche invernali – che in molti casi ha messo a dura prova alunni e personale educativo.
A proposito dell’impegno dei docenti merita, inoltre, una considerazione particolare l’opportunità di favorire una formazione improntata proprio sulla gestione della “didattica estiva”, come straordinaria occasione, ad esempio, di avvio dell’orientamento narrativo e della lettura ad alta voce condivisa, un metodo di grande efficacia che si sta imponendo nei contesti educativi e di istruzione in Italia e in altre parti del mondo.
Purtroppo l’ondata di calore non ha sciolto alcuni “nodi” che da troppo tempo ostacolano l’efficacia delle iniziative atte a rilanciare la scuola. La complessità della macchina burocratica non ha risparmiato nemmeno il Piano Estate, dalla tardiva tempistica di adesione all’Avviso ministeriale alle operazioni di rendicontazione che hanno dovuto fare i conti con l’esiguità del personale di Segreteria e dei collaboratori scolastici, per non parlare delle Istituzioni coinvolte nel processo di dimensionamento. L’unico aspetto positivo del rigore burocratico avrebbe potuto e potrebbe essere l’efficienza della “macchina” e invece spesso le piattaforme interessate non hanno garantito la qualità del funzionamento, rallentando lo svolgimento di pratiche per altro inderogabili.
In avvio di ogni anno scolastico, l’auspicio è sempre quello che sia posta in discussione quest’ amara certezza dell’eccessiva burocrazia, per giungere ad una semplificazione che, lungi dal rischio di rendere opache le prassi, favorisca il raggiungimento dei risultati nel rispetto dell’autonomia scolastica.

Un processo di semplificazione riguarda, invece, la valutazione degli apprendimenti nella scuola primaria, il cui sistema sarà cambiato con l’introduzione dei giudizi sintetici, da ottimo a gravemente insufficiente, nell’intento di ripristinare “chiarezza e semplicità” con l’abrogazione del DL N.22 del 2020, in cui la correlazione dei giudizi descrittivi era riferita a differenti livelli d’apprendimento.
La revisione del sistema di valutazione richiede alcune riflessioni.
Innanzitutto, ritengo opportuno evidenziare che la valutazione, da un punto di vista etico prima ancora che educativo, deve rimanere complessa, impegnativa e coinvolgente, anche nella condivisione dei giudizi con le famiglie, poiché non esaurisce mai le potenzialità espresse dagli alunni lungo il percorso d’apprendimento, di cui indica solo una “segnaletica” parziale rispetto allo sviluppo e ai traguardi del viaggio. Per questo, un sistema di valutazione diretto ed immediato in cui ci sia “poco da spiegare” rischia di non rendere giustizia al valore educante sotteso all’assegnazione dei giudizi, di impoverire i processi e con essi i soggetti coinvolti: i docenti, nell’incessante azione di riflessione e approfondimento sull’efficacia dei metodi e la scelta dei contenuti; le famiglie, le quali, prima che all’essenzialità diagnostica di un giudizio sintetico, hanno diritto a condividere con gli Insegnanti la riflessione critica - e sì, complessa – di una valutazione mai esaustiva dei risultati del processo d’apprendimento; gli alunni, che nell’assegnazione dei livelli, più dinamici rispetto ai giudizi, erano probabilmente maggiormente “salvaguardati” nell’autostima in quanto destinatari di una valutazione in cammino e “instabile”, centrata sulla tappa del percorso piuttosto che sulla perentorietà del “verdetto”.
La natura della valutazione è e deve rimanere complessa, multidimensionale, dinamica e situata. Il compito della scuola non è tanto quello di rincorrere la ricerca di oggettività – per altro in assoluto irraggiungibile – o di una semplificazione che può impattare negativamente sulla necessità della continua messa in discussione delle pratiche e sulla consapevolezza vigile delle conseguenze, non solo educative ma anche sociali, dei giudizi scolastici sulla vita degli studenti.
In compenso, sono state messe in discussione le Indicazioni Nazionali, uno “strumento di lavoro” certamente suscettibile di aggiornamento - come hanno testimoniato i “Nuovi Scenari” che, dopo gli anni della sperimentazione, ne hanno ricalibrato i contenuti “dialogando sia con la comunità scientifica, gli esperti di diversi ambiti e le associazioni professionali, sia con le scuole” – ma nella chiarezza e nella condivisione delle possibili direzioni da intraprendere, soprattutto con riferimento alla visione politica sottesa.
Le Indicazioni del 2012 avevano scritto la parola “fine” sulla rigidità prescrittiva dei programmi scolastici, a favore di un’idea di scuola nella quale ogni Istituto fosse chiamato a costruire un percorso curricolare improntato sulle “esperienze d’apprendimento più efficaci, le scelte didattiche più significative, le strategie più idonee nella cornice della libertà d’insegnamento e dell’autonomia scolastica”.
Pertanto, alla luce di quest’apertura disciplinare e metodologica, non risulta esattamente un’urgenza il proposito ministeriale di liberare la “scuola elementare” (leggi: primaria) e, in particolare, la classe terza, dall’invasione dei dinosauri, poiché – povere bestie – fatta salva la possibilità per gli Insegnanti di introdurne l’argomento in quanto appartenente alla storia dell’umanità, di fatto si sono estinti tre volte: alla fine del Cretaceo, con l’avvento dell’autonomia scolastica e proprio con le Indicazioni Nazionali.
Piuttosto che un titanosauro, mi mette un po' in apprensione il seguente passaggio del libro “Cuore”, irrinunciabile lettura della narrativa per l’infanzia della mia generazione, riproposto per l’insegnamento, nel segno del patriottismo costituzionale, dalla componente apicale della Commissione di pedagogiste e pedagogisti impegnati a rivedere le Indicazioni Nazionali del curricolo del I ciclo: “Finita la quarta, tu andrai al Ginnasio ed essi faranno gli operai; ma rimarrete nella stessa città, forse per molti anni. E perché, allora, non v’avrete più a rivedere? Quando tu sarai all’Università o al Liceo, li andrai a cercare nelle loro botteghe o nelle loro officine, e ti sarà un grande piacere il ritrovare i tuoi compagni d’infanzia, – uomini, – al lavoro. Vorrei vedere che tu non andassi a cercar Coretti e Precossi, dovunque fossero”.
Con buona pace del padre di Enrico, narratore implicito del diario, come orgogliosa Dirigente scolastica di una comunità multiculturale connotata da una significativa stratificazione sociale, credo che la promozione costituzionale dell’italianità a scuola, centrata sul pieno sviluppo della persona, consista nell’impegno quotidiano a “stravolgere i pronostici” e non arrendersi ai destini che si possono intravvedere nelle condizioni di partenza degli studenti, affinché ciascuno di loro possa trovare la propria strada, avvalendosi della capacità di autodeterminazione e di scelta.