Alle origini della valutazione di sistema
L’idea che la valutazione debba riguardare non solo gli studenti e i docenti ma anche il sistema scolastico si è consolidata negli anni 90, ma in embrione era già presente in uno dei decreti delegati sulla scuola del 1974. Per la precisione parliamo del DPR 419 sulla sperimentazione educativa che, all’articolo 13, istituiva il Centro Europeo Dell’Educazione (CEDE) con sede nella storica Villa Falconieri di Frascati. A volere la creazione dell’Istituto era stato Giovanni Gozzer, democristiano e autonomista, che aveva ricoperto importanti incarichi all’interno del Ministero dell’Istruzione collaborando soprattutto con Aldo Moro.
Secondo il dettato della legge, il Centro europeo doveva avere il compito di curare la raccolta, l'elaborazione e la diffusione della documentazione pedagogico-didattica italiana e straniera e di condurre studi e ricerche sugli ordinamenti scolastici di altri Paesi con particolare riguardo a quelli della Comunità europea.
Il CEDE - stabiliva la legge - doveva occuparsi in modo specifico di studi e ricerche sulle tecnologie educative, sulla programmazione e sui costi dei sistemi educativi, oltre che sui problemi dell'apprendimento e della relativa valutazione.
Nella seconda metà degli anni 90, anche sotto la spinta dell’ampio dibattito pedagogico e politico che si era sviluppato nel corso della Conferenza Nazionale sulla scuola proprio all’inizio del 1990, si gettano così le basi per la nascita e l’affermazione di un più compiuto Servizio Nazionale di Valutazione del Sistema dell’istruzione e della formazione.
Nel 1996 vengono emanati due decreti ministeriali, il 296 e il 328, che istituiscono una Commissione tecnico-scientifica incaricata di redigere una proposta di impianto e funzionamento del Sistema stesso.
Della Commissione, presieduta da Aldo Visalberghi, facevano parte esperti di varia provenienza, da Giorgio Allulli (ISFOL), a Mario Fierli (Ispettore Tecnico), da Mauro Laeng (Terza Università di Roma), ad Umberto Margiotta (all’epoca presidente del CEDE) e Giovanni Biondi (Presidente dell’allora BDP di Firenze).
La Commissione produce un documento molto dettagliato che dà origine, l’anno successivo, alla direttiva 307/1997 con cui viene formalmente istituito il Servizio Nazionale per la Qualità dell’Istruzione presso il CEDE che, chiarisce la stessa direttiva, si sarebbe potuto a sua volta avvalere della collaborazione della BDP (si tratta della Biblioteca di Documentazione Pedagogica, da cui poi derivò l’Indire).
Vengono individuati tre categorie di interventi da mettere in atto in tempi ravvicinati:
- realizzare un sistema per rendere disponibile un flusso costante di informazioni sulle caratteristiche della popolazione scolastica e sul livello delle conoscenze e competenze conseguite dagli allievi;
- attivare strumenti di analisi dei modi di funzionamento delle scuole nonché dell’incidenza delle variabili socio-economiche e culturali del contesto in cui esse operano sulle attività di formazione;
- condurre un’accurata indagine sui fattori cognitivi, emotivi e di personalità che incidono sul rapporto docenti-discenti e sull’attività delle istituzioni educative in genere.
Contestualmente, la presidenza del CEDE, che era stata di Umberto Margiotta dal 1991 al 1996, viene affidata a Benedetto Vertecchi, pedagogista e docimologo, che si mette subito al lavoro per creare l’ADAS (Archivio Docimologico per l’Autovalutazione delle scuole).
Il progetto prevedeva la realizzazione di un sistema il più possibile condiviso, nel quale confluissero le indicazioni più aggiornate dal punto di vista scientifico e le soluzioni più efficaci sotto l’aspetto tecnologico.
L’Adas era stato perciò progettato per funzionare in modo interattivo: le scuole avevano la possibilità di inviare materiali per la valutazione che venivano rielaborati dai ricercatori del CEDE in modo da renderli successivamente fruibili da una più ampia platea di scuole e di docenti. L’idea, insomma, era quella di costruire un “Archivio Docimologico” basato su proposte e materiali derivanti dalla pratica didattica quotidiana.
A fine anni ’90 i materiali raccolti vennero pubblicati in un ricco volume curato dal CEDE, corredato anche da un CD-ROM (iniziativa altamente innovativa per l’epoca) che si apriva con un riferimento molto significativo: “L'opera che può considerarsi il primo organico contributo per una diffusione delle indicazioni provenienti dalla ricerca docimologica è A. Visalberghi, Misurazione e valutazione nel processo educativo”. A quest’ultimo volume, del 1955, abbiamo già fatto cenno nelle precedenti puntate di questa nostra “storia della valutazione” per ricordare che si tratta di fatto del testo che dà origine alla ricerca valutativa e docimologica in Italia.
Non va dimenticato che la direttiva 307 arrivava nel pieno del dibattito sulla autonomia scolastica e, inevitabilmente, conteneva riferimenti significativi ad essa e in fatto di valutazione di sistema prevedeva soluzioni diverse.
C’è un passaggio del documento, di grande interesse, che ci fa comprendere come la strada intrapresa successivamente con la creazione dell’Invalsi non fosse affatto l’unica possibile.
“Le soluzioni possibili per offrire alle scuole criteri dei quali hanno bisogno per autovalutarsi sono fondamentalmente di due tipi: il primo consiste nel fornire ad esse prove che si definiscono appunto ‘di criterio’, accompagnate cioè da indicazioni per stabilire su una scala predefinita, il livello dei risultati conseguiti da ciascun allievo; la seconda soluzione consiste nel proporre alle scuole materiale qualificato da un punto di vista docimologico, lasciando ad esse di selezionare ciò che meglio corrisponde alle scelte effettuate. Certamente questa seconda via è molto più impegnativa, ma non c’è dubbio che consenta di valorizzare in misura assai più ampia la capacità progettuale e tecnica delle scuole”. Questa seconda via era appunto alla base della ipotesi di costruzione di un Archivio Docimologico per l’Autovalutazione delle Scuole.
Nelle intenzioni degli ideatori del progetto, le scuole avrebbero potuto esporre, in linguaggio assai prossimo a quello naturale, le loro esigenze di valutazione, mentre l’Archivio del CEDE avrebbe proposto i materiali disponibili, lasciando alle scuole la scelta di selezionare quelli ritenuti più adeguati. con l’impegno però di fornire all’Archivio i risultati ottenuti. L’obiettivo era chiaramente quello di consentire l’autovalutazione delle scuole, ma anche quello di favorire la crescita della competenza valutativa all’interno del sistema scolastico.
Dopo la breve esperienza dell’ADAS il “clima” cambiò abbastanza rapidamente, anche perché nel frattempo erano diventate legge le norme sulla autonomia scolastica (nel 1999 veniva infatti approvato il DPR 275 e cioè il Regolamento applicativo della legge delega 59 del 1997).
Nel luglio del 1999 il Governo (era in quel momento Ministro Luigi Berlinguer) approva il decreto 258 con cui la BDP viene trasformata in Indire e il CEDE diventa Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema scolastico).
Il decreto individua con precisione i compiti del nuovo istituto a cui viene affidato il compito di valutare l'efficienza e l'efficacia del sistema di istruzione.
L’Invalsi, stabiliva la norma, “studia le cause dell'insuccesso e della dispersione scolastica con riferimento al contesto sociale ed alle tipologie dell'offerta formativa, conduce attività di valutazione sulla soddisfazione dell'utenza, fornisce supporto e assistenza tecnica all'amministrazione per la realizzazione di autonome iniziative di valutazione e supporto alle singole istituzioni scolastiche anche mediante la predisposizione di archivi informatici liberamente consultabili, valuta gli effetti degli esiti applicativi delle iniziative legislative che riguardano la scuola, valuta gli esiti dei progetti e delle iniziative di innovazione promossi in ambito nazionale, assicura la partecipazione italiana a progetti di ricerca internazionale in campo valutativo e nei settori connessi dell'innovazione organizzativa e didattica”.
Ed è così che a cavallo dei due secoli si entra definitivamente nell’era Invalsi, con tutti i problemi tecnici e pedagogici che questo ha comportato. Fin da subito ci si era resi conto della complessità e della onerosità dell’apparato burocratico-gestionale che le rilevazioni avrebbero comportato. Alcuni problemi erano noti fin dall’inizio, altri si sono presentati con il tempo.
Forse una delle questioni che più di altre ha giocato a sfavore del radicamento del sistema è che non si era considerato a fondo il fatto che nel nostro Paese non esiste una forte tradizione “valutativa”; le scuole e i docenti continuano a nutrire una certa diffidenza verso la valutazione forse anche perché non ne vedono abbastanza l’utilità.
Alcuni problemi sono diventati evidenti successivamente, come per esempio il rischio che gli esiti delle rilevazioni, anziché favorire l’autovalutazione delle scuole e il miglioramento delle pratiche formative, tendano a generare forme di competitività fra le stesse istituzioni scolastiche.
Molti autori, come fa osservare Antonio Calvani, ritengono anche che i sistemi standardizzati possano favorire forme di disequità: per esempio le rilevazioni Invalsi si focalizzano su competenze di lettura, scrittura, matematica e lingua straniera marginalizzando discipline/competenze difficilmente testabili quali ad esempio le dimensioni estetiche, ludiche, socio-relazionali. Si crea così una sorta di subordinazione delle pratiche didattiche quotidiane rispetto alle competenze definite attraverso i test: si rischia che le scuole abbandonino percorsi formativi anche importanti e significativi solo perché non rientrano negli standard previsti.
Sono alcuni dei problemi che le rilevazioni standardizzate pongono da sempre e che hanno bisogno di grande cura e attenzione per essere affrontati e risolti. Per fare in modo che questo tipo di valutazione venga apprezzato dalle scuole e dai docenti, è però indispensabile che vengano valorizzati gli aspetti formativi e che se ne comprenda l’utilità. In una parola è necessaria una continua e adeguata formazione dei docenti.