Salvatore Pirozzi

Uscire dalle cornici. Valenza strategica del mentoring

Il testo che segue sintetizza un primo livello di riflessione che la Cabina di regia del progetto TANGRAM, relativo ai finanziamenti PNRR del DM 170/22 finalizzati alla riduzione dei divari territoriali e al contrasto della dispersione scolastica, realizzato dall’ITIS “A. Volta” di Napoli ha prodotto sul Mentoring, un'azione strategica per le scuole, secondo la visione del PNRR.
Riferirsi alla visione strategica innovativa serve a contenere la possibile deriva conservativa della scuola come sistema: ogni organismo tende a difendere la propria organizzazione interna e vede negli input esterni, nelle trasformazioni ambientali, una perturbazione che percepisce come ingovernabile.
Non c’è quindi alcun "moralismo" da opporre alle resistenze; occorre, semmai, saggezza nel loro governo, attraverso forme di un accompagnamento sapiente istituzionale, per il quale servono “tatto psicologico”, conoscenza dell’orizzonte progettuale, competenze manageriali per organismi complessi, un lavoro continuo per la costruzione di senso fra azioni e visione, un continuo bricolage “connessionista” fra tutte le parti, la pazienza di cui parla Appadurai (1).

Il primo compito, dunque, è stato riflettere insieme sull’impatto innovativo del mentoring. La riflessione ha portato a una prima importante consapevolezza: occorre “uscire dalle cornici”, per evitare i rischi a cui abbiamo accennato.

La prima cornice messa in discussione è stata la nostra “visione” degli allievi in difficoltà. Nelle prassi, vissute come ovvie, la nostra visione degli allievi in difficoltà, i dropping - out per intenderci, è una visione difettiva: i ragazzi appaiono deficitari di alcuni tratti che caratterizzano l’idealtipo di studente al quale ci rifacciamo; l’azione educativa si esprime in una visione pedagogica “ortopedica”(2) (mo’ ti raddrizzo io) incapace di riconoscere le differenze e di valutare le differenze come punto necessario di aggancio e di personalizzazione (3). La conseguenza è la stigmatizzazione.
La stigmatizzazione non solo è svalorizzante, ma àncora gli individui a una etichetta e a un'autoidentificazione di incapacità e di colpevolizzazione del proprio stato (non sono buono).
La visione appropriata del mentoring è invece assolutamente valorizzante: non solo esistono qualità (qualis indica caratteristiche specifiche e non standard) da portare alla luce, innanzitutto agli allievi, ma soprattutto queste rimandano a una visione evolutiva degli adolescenti, se sono posti in ambienti relazionali nutrienti.

La seconda cornice riguarda la relazione e la figura del mentore. Anticipiamo la nostra interpretazione, citando un'espressione della professoressa Daniela Lucangeli: il mentor è una sorta di personal educator, con cui gli studenti sviluppano resilienza e superano ostacoli. Una figura vocata alla relazione significativa, dove la significatività è decisa dai destinatari, non è una patente a priori della relazione.
Il suo scopo esula da saperi, standard e misurazioni. Citando Bateson: la relazione viene prima. È in questo primo legame di fiducia e di senso che nasce un percorso destigmatizzante e quindi lo spazio per una costruzione identitaria. Anche qui si evidenzia, ulteriore esempio di innovazione strategica, la necessità di un governo sapiente dei diversi legami della scuola.

La terza cornice messa in discussione è l’assetto del tempo, anzi dei tempi. La scuola, sintetizziamo usando una espressione che non dovrebbe avere cittadinanza, è quella del “programma”, del tempo come Cronos, divisibile in tappe e relative aspettative e valutazioni. Una struttura che fa fatica a contenere l’esplosione delle singolarità e delle differenze, che ormai sfuggono alle tradizionali cadenze temporali e forse evolutive.
Il tempo della relazione col mentor è il tempo del kairos, dell’attesa, dell’evento. Non è un tempo costruito al di fuori della relazione, al di fuori dell’esperienza, al di fuori delle socializzazioni. È l’inatteso che si aspetta, ma non sappiamo quando apparirà (4). Il mentoring è la prima cornice dell’inatteso.

La quarta cornice messa in discussione è quella della parola e dell’ascolto. La parola, in una prospettiva di valorizzazione, significa libertà di parola; libertà di parola significa poter apprendere (eh, sì, è una cosa che si apprende attraverso il suo esercizio) a essere la prima fonte informativa di sé stessi.
Clotilde Pontecorvo aveva definito il “sapersi raccontare” una, se non la prima, life skill. Anche gli allievi devono "uscire dalle cornici", devono uscire da rappresentazioni altrui del proprio sé. Devono poter dissentire e anche rifiutare, dentro una cornice dialogante. E l’ascolto è una competenza (eh, sì, anche questa si impara attraverso la sua pratica), significa saper sospendere le proprie cornici pregiudiziali e diventare curiosi per poter avere cura (l’etimologia è la stessa). Significa imparare a praticare un ascolto attivo, che si distacchi dalle forme archetipiche, nel nostro lavoro, dell’interrogazione e quindi della pre-definizione dei campi interessanti e dei loro criteri di valutazione.
Anche qui è evidente la portata innovativa del dispositivo del mentoring: un setting che renda possibile le prime forme di una democrazia sorgiva, il primo nucleo di una agorà.
L’impatto innovativo non può non riguardare la riflessione su come creare veri “spazi della parola” per gli studenti, anche se sappiamo che pure quegli spazi sono colonizzati dalle frasi fatte, dalle soluzioni che inventano i problemi. Ma il compito di adulti educanti è preoccuparsi non dei contenuti delle parole, ma degli assetti che le consentano come parole vere.

La quinta cornice riguarda la visione che abbiamo della sofferenza adolescenziale. La sofferenza psicologica, aggravata dalla pandemia, è fenomeno mondiale; tanto grave da spingere l’OCSE a sollecitare una attenzione prioritaria sull’educativo.
La sofferenza è spesso associata alla vergogna sociale, una sorta, anch’essa, di stigmatizzazione: ricordiamo il fenomeno massiccio durante la DaD, dei ragazzi che non volevano esser ripresi nelle loro case e nelle loro incapacità, perché era impossibile nascondersi come in classe, e il correlato fenomeno di ragazzi, stigmatizzati in aula, che invece, lontani da sguardi denigratori, finalmente avevano un contesto in cui “apparire”.
Sono interessanti le parole, raccolte dai mentori, dei ragazzi che parlavano di sé: ansia, rabbia, disagio relazionale, aggressività, sconforto, solitudine, mancanza di desiderio, riconoscimento, bisogno di relazioni e accompagnamento, bisogno di carnalità… Nessun apprendimento è possibile in queste condizioni emotive; nessun insegnamento è possibile ignorandole.
Il mentoring è il tentativo di realizzare un dispositivo che ne renda possibile l’emergere, ne renda possibile un trattamento, a partire dal mentoring come luogo proprio per questo significativo. È un campo delegato, perché in aula è difficile esporre davanti a tutti questa condizione, né si può immaginare luoghi solo confessionali, a cui potrebbe esser ridotto il mentoring.
L’esperienza ci ha insegnato che la potenza di questo setting non sta nel ricavare informazioni, ma nell’essere una relazione. All’ingegneria educativa della scuola spetta riflettere su come predisporre un ambiente per il benessere, perché di questo si tratta, e come lavorare per un clima relazionale non patogeno.

La sesta cornice è l’interpretazione dell’interprofessionalità. La visione dominante vede l’interprofessionalità come la somma di diverse professioni, ognuna col suo campo, i suoi fini, i suoi strumenti, la sua specificità. Ma è un modello in crisi in qualunque organizzazione complessa, perché c’è bisogno di transdisciplinarità, ossia di saperi anche fortissimi, ma che si connettono di fronte a un problema, un ambito di intervento, e dove la “discussione tra” aiuti l’emergere di inediti assemblaggi di saperi; l’evidente urgenza della sofferenza adolescenziale, il bisogno stesso di ripensare l’alfabetizzazione con una visione esperienziale, evidenzia la necessità e il compito di ibridare saperi educativi, pedagogici, organizzativi e disciplinari.

La nostra esperienza ha puntato da subito sull’importanza delle connessioni fra scuola ordinaria ed il mentoring. Inevitabilmente il successo è stato maculato, legato soprattutto a motivazioni e visioni individuali. Ora si tratta di lavorare affinché la connessione (una vera innovazione sistemica) si espanda, soprattutto per organizzare un feed back, meglio: un teach back, che vada dalla periferia al centro.
Siamo consapevoli che questa è la vera sfida innovativa: creare setting riconosciuti come tempo di lavoro indispensabile e di pari dignità (riconosciuto quindi anche economicamente), setting corali, setting all’altezza del compito professionale che da più parti ci viene affidato: essere insegnanti-ricercatori.

 

NOTE

  1. A. Appadurai, Le aspirazioni nutrono la democrazia, Et. Al., 2011.
  2. L’espressione è di M. Recalcati.
  3. Siamo abituati a usare “individualizzazione” e “personalizzazione” come sinonimi. In realtà ne andrebbe sottolineata la differenza: col primo termine si intende un adattamento di strategie e strumenti per ogni individuo al fine di raggiungere gli standard previsti per tutti, per cui l’ottica dell’intervento resta centripeta; col secondo, si sottolinea che ognuno ha il diritto di costruirsi, per quanto dentro un sistema di riferimento, aspirazioni, obiettivi, strumenti e stili, inducendo una riconfigurazione centrifuga dell’educatore. È chiaro che i dispositivi per la personalizzazione implicano una conseguenza su tutto l’assetto della scuola, educativo in generale.
  4. Liberiamo queste parole, subito, da una ricezione romantica. Tutto questo, anche l’inatteso, avviene dentro un sistema che ha i suoi vincoli (anche se i vincoli andrebbero aggiornati). Solo che i vincoli sono attori relazionali, non sono decisori a priori. L’evoluzione è una danza tra vincoli, come la libertà; i processi di individuazione avvengono in una danza sociale. Come suggeriscono neuroscienze e antropologia: l’”io” viene dopo il “noi”, siamo co-individui, prima che individui (Remotti). M. Ceruti, Il vincolo e la possibilità, R. Cortina, ed 2009; V. Gallese, U. Morelli, Che cosa significa essere umani, R. Cortina, 2024.