Ivana Barbacci

Et in terra pax

Et in terra pax hominibus. Nel racconto della Natività fatto dall’evangelista Luca è questo l’annuncio che l’angelo del Signore fa ai pastori, impauriti dalla luce insolita che li avvolge. Un annuncio di pace che da sempre conferisce al Natale il senso e il valore universale di una festività in grado come poche altre di trasmettere il proprio messaggio a credenti e non credenti.
Per il terzo anno consecutivo, vivremo il Natale con animo turbato dalle notizie di guerra che continuano ad arrivarci da territori a noi vicini, come l’Ucraina, e inoltre, in medioriente, proprio dai luoghi che videro, più di duemila anni orsono, la nascita di Gesù.
Sappiamo bene che non si tratta, purtroppo, delle uniche zone del mondo toccate da conflitti, tanto che già prima dell’invasione russa del 2022, o del massacro del 7 ottobre 2023 in Israele, papa Francesco aveva parlato di una terza guerra mondiale già in atto, pur nella modalità “a pezzi”, un’espressione già usata addirittura nel 2014 e più volte ripetuta negli anni successivi.
Ma è inevitabile che la nostra attenzione si concentri maggiormente sui due conflitti che ho citato, sia perché i più esposti al rischio di possibili escalation segnate da un coinvolgimento diretto delle maggiori potenze, senza esclusioni nell’utilizzo di armamenti che ci eravamo ormai abituati a considerare come mero oggetto di deterrenza, ma al cui uso eventuale si è fatto invece esplicito riferimento nelle ultime settimane; sia perché le azioni di guerra avvengono, come ho già accennato, proprio in quella che amiamo chiamare Terrasanta, e vorremmo tanto lo fosse veramente, come luogo non solo della nascita di Gesù, ma anche dell’auspicabile convivenza fra religioni diverse nel segno di una spiritualità condivisa.
La realtà appare tragicamente diversa e sideralmente lontana. Così come diventano ogni giorno più insopportabili le immagini che dimostrano come il limite della “ragionevole risposta” (se è ammesso usare questa espressione) a un terribile attacco terroristico sia stato ampiamente superato.
Come ridare una chance alla pace, senza passare necessariamente attraverso un incremento della spesa in armamenti, dove la reciproca deterrenza traduce in termini moderni l’antico motto si vis pacem, para bellum, potrebbe essere oggi, per tutti, la domanda da porsi e alla quale tentare una risposta che ci aiuterebbe a celebrare più degnamente la ricorrenza del Natale.
Non mi sfugge certo la complessità del problema, la cui soluzione passa necessariamente attraverso un rinnovamento profondo delle istituzioni alle quali è affidato il compito di affermare, nel governo dei rapporti fra i Paesi del mondo, il primato della diplomazia rispetto all’uso della forza.
Ma credo che la consapevolezza della difficoltà dovrebbe spingere a investire in modo più convinto e determinato in quella direzione.
Facciamo nostro l’annuncio dell’angelo, perché la pace, una pace giusta, possa regnare finalmente sulla terra e nei nostri cuori.
In questo senso vorrei fosse inteso, e tradotto in impegno condiviso, l'augurio di buon Natale che anche quest'anno vi rivolgo.