Reginaldo Palermo

Testimone e protagonista. Intervista a Francesco Scrima

In mezzo secolo la scuola italiana è cambiata radicalmente e, soprattutto, è cambiato il modo intendere e di praticare molti principi-chiave che si erano sviluppati negli anni ’60 e ’70. Partecipazione, rapporto con il territorio e democrazia scolastica, per esempio, hanno oggi caratteri diversi. Ne parliamo con un testimone importante che ha ben conosciuto quella fase e che ancora adesso svolge un ruolo significativo all’interno del mondo della scuola: Francesco Scrima, laureato in pedagogia, che è stato insegnante elementare, segretario generale della CISL Scuola dal 2004 al 2015 e che è tuttora presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.

Negli anni ’70 si parlava molto del rapporto scuola-territorio. Con il passare del tempo questo tema sembra sempre meno rilevante. Perché, secondo lei?
Cinquanta anni fa la situazione economico-politico-sociale era del tutto diversa; stavamo attraversando una fase di crescita del Paese anche sotto il profilo dell’accesso a diritti fondamentali, o di tutele del lavoro (si pensi alla legge 300/1970) e tutto questo dava oggettivamente più impulso a tematiche che coinvolgevano anche il rapporto scuola-territorio. Le ideologie erano ancora ben presenti nel dibattito complessivo di quegli anni, comunque segnato da una vivacità e da una profondità notevoli. Sono stati anni caratterizzati da forti istanze di partecipazione democratica nella scuola che sono sfociati con la costituzione degli organi collegiali scolastici. La scuola che si apre alla comunità sociale per rispondere alle domande, ai bisogni e alle istanze formative del territorio.

E poi cosa è successo?
Oggi viviamo tempi completamente diversi, con una disaffezione sempre più evidente (vedi anche la scarsa partecipazione dei cittadini alle diverse tornate elettorali) che mette in crisi anche quel rapporto. Rapporto che è scemato anche perchè negli anni non c'è stata quella necessaria ed indispensabile attenzione, collaborazione e corresponsabilità degli altri soggetti istituzionali coinvolti in questo processo.

Nel rapporto con il mondo produttivo la scuola potrebbe esprimere (e far valere) la propria progettualità; però si ha la sensazione che a conti fatti, la scuola finisca per giocare un ruolo marginale se non addirittura subordinato. Per quale motivo?
La ragione è che fondamentalmente da decenni è il "mercato" a dettare, o a tentare di farlo, le sue regole. Le singole scuole, sole e alle prese con mille difficoltà, non hanno in molti casi la capacità e la possibilità di svolgere un ruolo più incisivo, mancando spesso anche un quadro complessivo di progettazione. Non è facile trovare risposte convincenti a una serie di domande che la società e le istituzioni dovrebbero almeno provare a porsi: quale futuro per la nostra Scuola? Quale investimento sulla formazione e sull'educazione delle nuove generazioni? Quale Italia vogliamo da qui al 2050?

Facciamo un altro esempio. Il Ministro ha annunciato che ci saranno risorse importanti (400 milioni di euro) per la gestione del “Piano estate”. Per le scuole potrebbe essere una bella occasione per proporsi come un soggetto decisivo all’interno del territorio?
Di per sé potrebbe anche rivelarsi una proficua occasione per rivitalizzare il rapporto scuola-territorio. Le istituzioni scolastiche sono però alle prese, da un punto di vista amministrativo-contabile-gestionale, con tutte le incombenze delle varie attività progettuali legate al PNRR e arrivano stremate e senza adeguate risorse professionali (personale di segreteria e collaboratori scolastici, in primis) a questo ennesimo appuntamento. Altra criticità è poi quella della difficoltà, molto spesso, a stabilire un’efficace unità di azione tra scuole ed enti locali.

E forse c’è anche un altro limite: le scuole vivono queste opportunità come iniziative un po’ estemporanee e poco “partecipate”...
È proprio così: le proposte di cambiamento e di innovazione sono spesso "calate dall'alto", senza un coinvolgimento attivo e consapevole della comunità scolastica: anche in questo caso succede, così la stessa volontarietà di adesione ai progetti - faccio un esempio - rischia di ridursi a un alibi per non proporne.

Il tema è vecchio di almeno 20 anni ma è sempre attuale: secondo lei le istituzioni scolastiche hanno poca autonomia o ne hanno troppa?
Il DPR 275/99, al comma 2 dell'art. 1 testualmente recita: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”. Rispetto al dettato normativo molto è stato realizzato e sicuramente oggi l'autonomia scolastica potrebbe dirsi una realtà acquisita, almeno sul piano del diritto. Le risorse finanziarie destinate alle scuole, tuttavia, almeno fino alla pandemia, sono state molto limitate.

Da due anni, però è cambiato tutto….
Sì, è vero: con il PNRR sono "piovute" alle scuole ingenti risorse finanziarie, risorse finalizzate che però "hanno breve vita". Resta invece il problema di organici non adeguati al carico di lavoro, penso anche ai profili del personale ATA che sono fondamentali per la gestione delle istituzioni autonome, e inoltre all’insufficiente respiro strategico della formazione del personale, docente e ATA.

Proprio in queste settimane ricorrono i 50 anni dalla approvazione dei “decreti delegati” che rivoluzionarono la scuola. Non pensa che sarebbe ora di fare un po’ di “manutenzione”, soprattutto sul decreto che istituiva gli organi collegiali?
Sono anni che questa domanda aleggia tra gli addetti ai lavori e nel dibattito sulla scuola e sulla sua funzione. Anche in questo caso la disaffezione, di cui abbiamo parlato in precedenza, non aiuta a promuovere e proporre idee innovative per far sì che gli organi collegiali ritornino ad essere quei luoghi di discussione e crescita che abbiamo conosciuto nei decenni scorsi. La partecipazione (soprattutto dei genitori) alla vita scolastica è sempre più virtuale e affievolita. Nel complesso gli organi collegiali si trascinano in una stanca ripetitività degli adempimenti specifici delle procedure organizzativo-gestionali.

Qual è, a suo parere, l’aspetto importante da rivedere?
Secondo me il punto più rilevante è se trasformare il consiglio di istituto in una "specie" di consiglio di amministrazione oppure condannarlo alla “stanca ripetitività” a cui ho già accennato. Su questo varrebbe la pena riaprire un dibattito che qualche anno fa aveva visto anche significative convergenze "bipartisan".

Da alcuni anni lei è presidente del CSPI la cui componente elettiva dovrà essere rinnovata proprio in questi giorni. In più di una occasione il Ministero non ha tenuto minimamente conto dei vostri pareri e se ne è discostato con motivazioni debolissime. Detto con franchezza, c’è ancora bisogno del CSPI?
Alla scadenza dell'attuale mandato (il prossimo 31 agosto) avrò avuto l'onore di presiedere il CSPI per ben 8 anni e 8 mesi. È stata un'esperienza molto bella e arricchente, che ha avuto momenti difficili soprattutto nel pieno del periodo pandemico, quando si è ridotto notevolmente il tempo a disposizione del Consiglio Superiore per l'emanazione dei pareri richiesti (i famosi e/o "famigerati" sette giorni!!). Ho lavorato con consiglieri eletti dalle varie categorie del personale scolastico e con la componente designata dai vari Ministri succedutisi al dicastero di viale Trastevere, una comunità professionale ben preparata e di alta competenza e ragguardevole valore umano. Il CSPI ha sempre profuso grande impegno e professionalità, elaborando pareri puntuali e approfonditi che sono stati sempre attesi e molto considerati dalla Scuola e dai suoi operatori.

Tutto giusto, ma il Ministero non ha sempre apprezzato il vostro lavoro...
È vero che in più di una occasione il Ministro pro-tempore non ha accolto i suggerimenti e le richieste di modifica predisposti dal Consiglio Superiore (ricordando che la normativa di riferimento che istituisce il CSPI assegna allo stesso pareri obbligatori ma non vincolanti): l'apporto del Consiglio è stato sempre comunque all'altezza della situazione. Ho un solo rammarico per l'attività espressa dal CSPI, quello di non aver avuto più tempo a disposizione, negli ultimi anni causa il periodo pandemico, per preparare e adottare più "pareri autonomi".

Cosa ne pensa dell’idea di replicare, a distanza di più di 30 anni, una Conferenza nazionale della scuola?
Sono senz'altro favorevole e anche quando ero segretario generale della CISL Scuola ho sempre proposto sollecitazioni in tal senso. Oggi purtroppo non mi pare che ci siano i presupposti per ripetere quella proficua e innovativa esperienza (non per niente il ministro della pubblica istruzione dell'epoca era Sergio Mattarella), il cui senso era dato anche dal porsi come momento di sintesi di un grande, aperto e partecipato dibattito. Da allora, la discussione sulla scuola e sui suoi problemi ha seguito troppo spesso i canoni della polemica politica, e aggiungo: di una politica tanto smaniosa di protagonismo quanto di corto respiro.

Lei ha avuto la possibilità di percorrere mezzo secolo di storia della scuola italiana. La considera una fortuna o una sventura?
La considero decisamente una irripetibile, entusiasmante e fortunata avventura. Stagioni diverse, protagonisti differenti, situazioni mutevoli, ma un unico denominatore comune: dare il proprio contributo per la scuola e il mondo scolastico che dovrebbero, al di là dei "colori" dei vari governi, essere sempre considerati come assi portanti della nostra società e del nostro futuro, con la capacità di mettere sempre in primo piano le nuove generazioni e la loro formazione, non le dispute ideologiche o le fortune politiche delle maggioranze del momento.