La lezione di Tarantelli parla alla politica di oggi. Articolo di Annamaria Furlan

27.03.2018 11:14

Aveva solo 44 anni Ezio Tarantelli quando la sua vita venne spezzata dal piombo delle Brigate Rosse. Anche quest’anno la Cisl lo ricorderà davanti alla Facoltà di Economia a Roma dove la mattina del 27 marzo 1985 le Brigate Rosse gli spararono alle spalle, mentre saliva in macchina dopo aver fatto l’ultima lezione ai suoi studenti. Dal suo corpo martoriato furono estratti diciassette proiettili. Una barbarie inaudita nei confronti di un uomo semplice, padre di un bambino di sette anni, un intellettuale libero, animato da una grande passione civile e sociale.

Eppure in queste giornate ci sono stati segnali davvero preoccupanti nel nostro Paese. Le scritte ingiuriose sui muri di Modena dove insegnava Marco Biagi, l’oltraggio alla lapide di Via Fani, le parole offensive di Barbara Balzarani nei confronti dei parenti delle vittime del terrorismo testimoniano un’arroganza che si fa forte della debolezza della memoria e del senso di coesione e di appartenenza alla nostra comunità. Sono la conferma di quanto poco si sia fatto in questi anni nella società, nelle scuole e nelle università per costruire, attorno al ricordo di tanti martiri della stagione degli anni di piombo, un argine ai fomentatori di odio e di violenza. Viviamo in un’Italia che sta uscendo con fatica dalla crisi, dove il senso di insicurezza e il disagio economico e sociale, emersi con chiarezza anche nelle recenti elezioni politiche, vanno affrontati in maniera seria. E tutto questo non giustifica gli insulti di chi è pronto ad usare la violenza pur di affermare le proprie idee.

Non ci piace e va cambiata in meglio questa Italia, come già sosteneva trentatré anni fa Ezio Tarantelli che aveva messo i suoi studi e la sua esperienza internazionale al servizio del Paese. Un riformatore vero, che voleva migliorare le condizioni dei lavoratori con la forza delle idee, il confronto con la realtà, l’impegno quotidiano. La sua avventura umana, breve ma straordinaria, ha ancora molte cose da insegnarci. Le politiche da lui ispirate e sostenute con convinzione dalla Cisl sono riuscite a guadagnare cittadinanza, contribuendo a salvare il Paese da cadute rovinose.

Quella di Tarantelli era un’utopia a favore dei deboli, contro l’arroganza dei forti, di coloro che ostacolano il cambiamento, trovando alleati inconsapevoli nell’estremismo populista e antagonista. L’impegno caparbio e illuminato per contrastare l’inflazione negli anni Ottanta fu una vittoria della democrazia di cui si giovarono soprattutto i lavoratori e la povera gente. Ma il pensiero e l’azione di Tarantelli hanno ispirato il decennio seguente, ponendo le premesse dei grandi accordi della politica dei redditi nel 1992 e nel 1993 che ci hanno salvato dalla bancarotta e tenuti agganciati all’Europa.

Tarantelli operò con lucida umiltà perché le strategie cooperative, basate sulla responsabilità reciproca e la condivisione di obiettivi generali, avessero la meglio sul conflitto e sullo scontro. Fu anche un convinto assertore di politiche attive del lavoro che rafforzassero il molo contrattuale e partecipativo del sindacato; di una flessibilità negoziata e tutelata; di una forte lotta alla disoccupazione, vista come il male più dannoso e più probabile in assenza di strategie anticipatrici concordate a livello europeo.

L’accordo innovativo sulle relazioni industriali che abbiamo siglato con Confindustria alcune settimana fa è figlio anche delle sue idee e della sua lezione. E i giorni che attraversiamo ci confermano la bontà del suo metodo riformatore, che alle fughe illusorie o alle chiusure pregiudiziali preferisce il dialogo, la ricerca paziente e rigorosa di soluzioni concertate, dettate dagli interessi comuni e dalle attese dei più deboli. Per questo resterà sempre per la Cisl un punto di riferimento costante e un modello illuminato da far conoscere ai giovani. Ma è soprattutto la politica che dovrebbe far tesoro degli insegnamenti di Tarantelli in una fase delicata in cui occorre un grande senso di responsabilità collettivo per garantire al nostro Paese quella stabilità di governo e quella capacità di guidare (anche sul piano europeo) i necessari cambiamenti istituzionali ed economici con equità e senso di giustizia sociale.