settembre 2019

In questa pagina:
Il Punto: Governo che va, governo che viene (Maddalena Gissi)
La pianta del mese: Utricularia Bremii (Eva Kaiser - Flavia Milone)
Il Cantico: Modernissima grande poesia (Gianni Gasparini)
Le fonti: La bellezza del creato - Frate foco (Mario Bertin)
Il filo dei mesi: Settembre (Gianni Gasparini)
Aforismi: Sul dire in breve - Magnus gubernator (Leonarda Tola)
Il dibattito: Sul filo dell'equilibrista. L'educazione a scuola (Vincenzo Alessandro)
Hombre vertical: 20 milioni di dollari per 82.285 roghi (Emidio Pichelan)
Ricorrenze: Democrazia è dar valore alla relazione (Lorenzo Gobbi)
Note musicali: Jean Sibelius, Finlandia (Francesco Ottonello)
Il film del mese: Tutta la mia vita (Giovanni Panozzo)
Rilanci e anticipazioni da "Scuola e Formazione": Antonio Papisca: defensor pacis (Luciano Corradini)
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IL PUNTO

di Maddalena Gissi

Governo che va, governo che viene

Un’istruzione di qualità e aperta a tutti: tra le prime battute pronunciate da Giuseppe Conte subito dopo aver ricevuto per una seconda volta l’incarico di formare un nuovo governo c’è anche questa, e vogliamo accoglierla come segnale positivo, fermo restando che non sono pochi i nodi da sciogliere, per il presidente incaricato, nelle prossime ore.
La fase politica inaugurata dal voto del 5 marzo 2018 vede ridisegnato ampiamente non solo il quadro della rappresentanza parlamentare, ma anche le regole e gli stili cui per decenni si sono informati i riti che solitamente si seguono nei passaggi preliminari alla formazione di un esecutivo: è stata certamente “innovativa” ( aggettivo che utilizziamo senza alcuna accezione di valore) la formula del “contratto di governo” su cui si è retto il primo esecutivo a guida Conte, e ha pochi precedenti anche la disinvoltura con cui oggi si formano e si sciolgono rapporti tra i diversi soggetti politici, tanto da rendere ormai privo di reale significato il termine “incompatibilità”. Tutti possono stare assieme a tutti, il che rende quasi surreale l’impeto di chi grida allo scandalo per un connubio definito inconcepibile (come se lo fosse stato, un anno fa, quello tra partner che avevano vissuto da dichiarati antagonisti almeno un paio di campagne elettorali), denunciando l’attaccamento altrui alle poltrone senza peraltro nessuna apparente voglia di cedere la propria.
Ma torniamo al punto di partenza, e a quella dichiarazione del presidente incaricato che non può non farci piacere, ma rispetto alla quale, in attesa che un nuovo governo prenda effettivamente corpo, alcune brevi considerazioni e un auspicio vogliamo comunque concederceli.
L’attenzione di cui la scuola ha bisogno non può essere quella che troppo spesso le è stata riservata, con espressioni verbali di apprezzamento non accompagnate da fatti concreti realmente conseguenti. Meno ancora può essere quella che ha spinto governi e maggioranze di colore diverso alla ricerca ossessiva di innovazioni più o meno epocali, mai sufficientemente meditate, mosse prevalentemente dall’aspirazione a lasciare un segno di sé, quasi che la scuola potesse considerarsi un bene a disposizione delle maggioranze pro tempore, in balia di ogni possibile alternanza, e non quel bene comune che appartiene all’intero Paese. Evitare che i cambi di maggioranza si traducano in una insostenibile successione di alterne e contrapposte fisionomie di sistema è il primo obiettivo cui dovrebbe tendere chi crede che condizioni di stabilità (che non significano certo immobilismo) siano uno dei presupposti indispensabili per una scuola di qualità.
Il premier Conte ha presieduto un governo col quale, per quanto riguarda il nostro settore, è stato possibile mantenere e sviluppare un positivo clima di confronto e proficue relazioni sindacali, pur in un contesto generale di scarsa considerazione del dialogo sociale. Una situazione che per noi della scuola - è giusto e doveroso sottolinearlo – già si era determinata nella fase finale della precedente Legislatura, consentendo di affrontare e risolvere fin da allora alcune delle più rilevanti criticità determinate da infelici scelte legislative, e soprattutto di rinnovare finalmente un contratto di lavoro fermo da dieci anni.
Venendo all’oggi, porta la firma di Giuseppe Conte l’intesa di Palazzo Chigi del 24 aprile, da cui scaturisce quella definita l’11 giugno col MIUR per dare risposta alla vera e propria emergenza in atto sul fronte del precariato e del reclutamento. A lui ci siamo rivolti nel momento in cui, delineandosi una possibile crisi di governo, vedevamo messo a rischio il frutto di un buon lavoro condotto per settimane in un costruttivo confronto con l’Amministrazione. Gli abbiamo chiesto di farsi garante dell’applicazione di quelle intese, trasfuse in provvedimenti legislativi bloccati dal sopraggiungere della crisi. Un invito che torniamo a rivolgergli, ora che si profila per lui la possibilità di ricoprire, in un contesto diverso, lo stesso ruolo.
Più in generale, l’auspicio è che il riconoscimento del valore del dialogo sociale sia assunto come scelta di metodo cui informare l’azione del nuovo governo, nel momento in cui si insedierà, vincendo eventuali resistenze e colmando le lacune che su questo tema la precedente compagine ha molto spesso evidenziato.
Non è atteso da compiti facili il governo che verrà, non lo sarebbe nessun governo espresso da questa legislatura, o da quella che potrebbe ipoteticamente scaturire da nuove elezioni. Il dialogo sociale, fattore importante di coesione e di unità del Paese, può rappresentare oggi più che mai per tutti una risorsa preziosa.

LA PIANTA DI COPERTINA

Disegno di Eva Kaiser
Testo di Flavia Milone

Utricularia Bremii

L’Utricularia Bremii è una pianta carnivora acquatica lunga tra i 6 e i 60 cm, diffusa in Europa e inserita nelle Liste Rosse della IUCN del 2011.
Jakob Bremi (1791-1857), suo primo scopritore, appassionato entomologo, naturalista e intagliatore, individuò l’Utricularia Bremii durante uno dei suoi tanti esperimenti sulle specie animale.
Bremi notò che la popolazione di crostacei presente in un piccolo stagno diminuiva sistematicamente; le sue osservazioni su tutta la pianta, presente nello stesso ambiente, misero in evidenza la presenza di numerose vescicole, dal latino utriculus (piccolo otre). Le caratteristiche vescichette della Utricularia agiscono sia da galleggianti che da minuscole trappole: hanno una serie di piccole setole all'estremità e contengono aria; quando le setole vengono toccate, ad esempio da un piccolo crostaceo, la trappola si apre e l'animale viene risucchiato dentro la vescichetta anche a seguito dell'afflusso di acqua, fornendo alla pianta i composti azotati che scarseggiano nell'habitat in cui vive.
È una specie abbastanza tollerante anche se l’elevato impatto antropico, come l’eutrofizzazione delle acque, le intense attività di bonifica, il prosciugamento delle paludi sta fortemente influenzando il suo areale di distribuzione.
Nel 2006 alcuni studi, realizzati in pozze d’acqua poco profonde in Slovacchia, hanno dimostrato la ricomparsa della pianta; la scoperta è risultata molto interessante visto che ne era stata certificata l’avvenuta estinzione da più di 60 anni. Gli studiosi hanno dimostrato che la ricolonizzazione dell’Utricularia Bremii necessita di elementi quali la modifica del substrato, la variazione del pH e l’alleanza con diverse specie come il Caricion Davallianae, associato al Campylio stellati-Caricetum lasiocarpae.
La presenza della pianta in alcune regioni europee dimostra che la Natura, anche se alterata dai diversi fattori ambientali, riesce ad invertire le sorti ed è ancora in grado di resistere all'impatto antropico.

IL CANTICO

Modernissima grande poesia

di Gianni Gasparini

Tra i testi arcaici che figurano nella storia della letteratura italiana, le Laudes Creaturarum di Francesco d’Assisi rappresentano senza dubbio il più singolare e il più celebre, anche perché costituiscono un unicum rispetto ad altre composizioni in volgare del Duecento. Il Cantico delle creature, composto nel 1225 in una notte di sofferenza e tormento trascorsa nel convento di San Damiano – il santo era ormai quasi cieco per il glaucoma ed era continuamente disturbato dalle scorribande dei topi –, sta per varcare la soglia degli otto secoli di vita: ottocento anni in cui non si è cessato di leggere, meditare, commentare questo testo straordinario e di semplicissima fattura.

Il Cantico è vivo e vitale oggi: lo dimostra tra l’altro l’originalità e l’autorevolezza dell’enciclica di papa Francesco sulla cura della terra, “la nostra casa comune”: la Laudato si’ del 2015 ha ripreso nel titolo stesso l’incipit del Cantico per proporre una ecologia integrale ispirata al santo di Assisi.

Resta il fatto che allorché si prende in mano questo testo, che decine di generazioni hanno letto o recitato e innumerevoli commentatori hanno fatto oggetto di analisi, si resta intimiditi, oltre che gratificati: come parlarne ancora, come di tentare di coglierne qualche ulteriore elemento significativo per la sensibilità contemporanea? Dopo questa doverosa premessa, credo che un primo spunto di riflessione riguardi il confronto tra elementi “oggettivi” della natura di otto secoli fa e di oggi. Bisognerebbe cercare di immaginare che cos’era a grandi linee la natura nel Medioevo, in modo particolare in quella terra dell’Italia centrale a cui allude Francesco per esservi vissuto quasi tutta la vita. I fenomeni naturali che riguardano il sole, la luna e le stelle erano in sostanza quelli che conosciamo anche noi; e la terra – quella dell’Umbria e del Lazio attuali – ospitava più o meno le specie vegetali e animali che vi sono rimaste fino ad oggi. Tra i cambiamenti più significativi che possiamo individuare nel tempo c’è la molto maggiore estensione sul territorio – allora – delle aree boschive e la presenza di coltivazioni che non risentivano ancora delle scoperte alimentari che avrebbero fatto seguito ai contatti con l’America, come il mais e la patata. In generale, cercando di immaginare l’ambiente naturale otto secoli fa, potremmo coglierne aspetti da un lato di integrità, armonia, silenzio, equilibrio, dall’altro di fatica, minaccia e pericolo come quelli legati all’attraversamento delle selve o di ambienti disagevoli.

Oggi disponiamo di un patrimonio conoscitivo enormemente accresciuto rispetto ai tempi di san Francesco: l’esplorazione a tutto campo del pianeta, insieme all’impiego di approcci scientifici moderni, ha consentito uno straordinario aumento di conoscenze sull’ambiente naturale. Ad esso si unisce una situazione di intensa urbanizzazione e di esplosivo sviluppo demografico, insieme alla constatazione delle ferite del pianeta in termini di degrado, inquinamento, “riscaldamento globale” (global warming). La consapevolezza ecologica è molto aumentata, di pari passo con la percezione dell’urgenza di un’azione di salvaguardia della terra intera. Che cosa ci può dire e dare oggi, allora, una composizione come il Cantico delle creature, in particolare per quanto riguarda la considerazione dell’ambiente naturale?

Credo che la risposta vada cercata tenendo presente soprattutto l’identità poetica – per così dire – del santo di Assisi, che si integra pienamente con la sua capacità di penetrazione spirituale e mistica. Facendo lo sforzo di sceverare per quanto possibile gli aspetti propriamente lirici, potremmo affermare che il Cantico è poetico perché riesce a raggiungere in profondità, attraverso parole semplici e immagini accessibili, l’essenza dei fenomeni naturali – come il giorno e la notte che appaiono nel cielo – e le qualità specifiche degli elementi evocati: vento, fuoco, acqua, “matre terra” con fiori, erba e frutti. La dimensione poetica appare evidente attraverso il richiamo ripetuto alla bellezza: del sole viene detto in primo luogo che è bello, così come belle sono la luna e le stelle, e bello viene dichiarato il fuoco nella sua gioconda e giocosa forza; né sono da trascurare gli accenni ai colori, espliciti nei fiori (“coloriti fiori”) e impliciti in altri elementi come “nubilo et sereno” e ancora il fuoco. La qualità poetica del Cantico gli viene poi dalla capacità di alludere senza esaurire, come è in grado di fare la poesia autentica: le Laudes infatti lasciano spazio a emozioni e interpretazioni nuove, come quelle che vengono generate o suggerite in noi oggi da una loro lettura. Ma, in definitiva, il Cantico è poetico perché il suo autore è un vero e grande poeta: non soltanto uno che si sentiva “giullare di Dio” e apprezzava la poesia-musica trovadorica dei suoi tempi, ma qualcuno che è stato capace di accostare in modo intimamente empatico ogni elemento naturale. Si può avanzare l’ipotesi che Francesco abbia avuto un rapporto “medianico” con gli elementi della natura: i Fioretti parlano della sua capacità di parlare con gli animali, come gli uccelli che lo ascoltano (ne testimonia secondo la tradizione il leccio millenario delle Carceri) e il lupo di Gubbio che arriva a porgergli la zampa e ad ubbidirgli. Forse questa letteratura agiografica dice il vero, nel senso che Francesco giunse a realizzare con le creature tutte (del mondo animale, vegetale e persino minerale) una comunicazione singolare e rarissima, diversa da quella che è permessa a noi: una comunicazione a due vie propriamente e letteralmente fraterna, dove gli elementi tutti del creato assumono – accanto agli umani – la connotazione di fratelli o di sorelle.

C’è anche da considerare il fatto che, in un personaggio eccezionale per sensibilità e storia di vita quale fu Francesco, la presenza e le manifestazioni della natura dovettero probabilmente esercitare una particolare forza ispiratrice. Quest’ultima si congiunse e si saldò, per quanto ci è dato constatare, alla sua capacità di interpretazione spirituale degli elementi naturali. Commentando la Vita del Beato Francesco di Tommaso da Celano, uno dei più importanti documenti sulla vita del santo, C. Leonardi osserva che la capacità di farsi capire e obbedire dalle creature deriva a Francesco “dalla sua totale obbedienza a Dio: in Dio egli ottiene il dominio della natura” (1).

C’è un poeta, uno dei pochissimi geni lirici del Novecento, che ha scritto “Il poeta è il medium / della Natura / che spiega la sua grandezza / per mezzo delle parole”. Egli ebbe da giovane una speciale predilezione per San Francesco, attestandolo in diverse liriche poco conosciute: in una composizione (“Lo spettro divino dell’uomo di Assisi”) egli immagina l’attenzione amorevole di Francesco nei confronti delle creature animali meno dotate di bellezza e umiliate dall’uomo, come i rospi, i vermi, i ragni, i pipistrelli, i corvi, gli insetti velenosi e i serpenti, di fronte alle quali il santo si inginocchia:

San Francesco s’inginocchiò
e tendendo le mani alle anime
che lo ascoltavano disse:
Vengo dal cielo per darvi la beatitudine.
so che l’uomo vi disprezza, vi odia e vi maltratta.
so che tutti voi piangete le vostre vite umili,
vite buone che l’uomo rende così infelici.
L’umanità non vede che sebbene molto piccoli
potete godere in Dio della perfetta letizia
.

Il medesimo tema viene evocato in un’altra poesia (“Ritmo d’autunno”), attraverso un discorso che gli umili vermi della strada rivolgono agli altri animali, ai fiori, agli alberi e ai quali così risponde – al livello estremo dell’abbassamento creaturale – un non-essere qual è la polvere della strada:

Beati voi, vermi, che avete
coscienza giusta di voi stessi
e forme e passioni
e focolari accesi.
Io mi dissolvo nel sole
seguendo il pellegrino,
e quando penso ormai di restare nella luce
cado a terra addormentata
.

Questo giovane poeta, dotato di una stupefacente attenzione verso tutte le creature, si chiamava Federico García Lorca (2).

****

(1) La letteratura francescana, vol. II, Le vite antiche di San Francesco, cur. C. Leonardi, Fondaz. Lorenzo Valla, A. Mondadori, Milano 2009, p. 14.
(2) “Federico Garcia Lorca: la poesia giovanile”, in G. Gasparini, Un folle volo, Mimesis, Milano 2005, pp. 51-56.

LE FONTI

a cura di Mario Bertin

La bellezza del creato

80.
Sarebbe troppo lungo, o addirittura impossibile narrare tutto quello che il glorioso padre Francesco compì e insegnò mentre era in vita. Come descrivere il suo ineffabile amore per le creature di Dio e con quanta dolcezza contemplava in esse la sapienza, la potenza e la bontà del Creatore? Proprio per questo motivo, quando mirava il sole, la luna, le stelle del firmamento, il suo animo si inondava di gaudio. O pietà semplice e semplicità pia! Perfino per i vermi sentiva grandissimo affetto perché la Scrittura ha detto del Signore: lo sono verme e non uomo (Sal 21,6); perciò si preoccupava di toglierli dalla strada, perché non fossero schiacciati dai passanti. E che dire delle altre creature inferiori, quando sappiamo che, durante l'inverno, si preoccupava addirittura di far preparare per le api miele e vino perché non morissero di freddo? Magnificava con splendida lode la laboriosità e la finezza d'istinto che Dio aveva loro elargito, gli accadeva di trascorrere un giorno intero a lodarle, quelle e tutte le altre creature. (…)

81.
E quale estasi gli procurava la bellezza dei fiori quando ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata fragranza! (…) Se vedeva distese di fiori, si fermava a predicare loro e li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione, allo stesso modo le messi e le vigne, le pietre e le selve e le belle campagne, le acque correnti e i giardini verdeggianti, la terra e il fuoco, l'aria e il vento con semplicità e purità di cuore invitava ad amare e a lodare il Signore.

461.
E finalmente chiamava tutte le creature col nome di fratello e sorella, intuendone i segreti in modo mirabile e noto a nessun altro, perché aveva conquistato la libertà della gloria riservata ai figli di Dio.

Da: Tommaso da Celano, Vita prima di San Francesco d’Assisi

Frate foco

1816.
Come non volle spegnere né permettere fosse spento il fuoco che gli bruciava le brache

Fra tutte le creature inferiori all'uomo e non dotate di sentimento, Francesco aveva una simpatia particolare per il fuoco, di cui ammirava la bellezza e l'utilità. E per questo non volle mai impedire la sua azione. Una volta che sedeva presso al fuoco, questo, senza che egli se ne accorgesse, si appiccò ai suoi panni di lino, le brache, all'altezza del ginocchio. Pur sentendo il bruciore del fuoco, non voleva però spegnerlo. Il compagno, vedendo che i panni del Santo bruciavano, corse verso di lui con l'intenzione di estinguere il fuoco, ma Francesco glielo proibì: «No, fratello carissimo, non fare male al fuoco!». E non ci fu modo di indurlo a spegnerlo. Allora quel compagno si precipitò dal frate guardiano del Santo, lo condusse da Francesco e immediatamente estinse il fuoco, contro il volere di lui. Da allora, per urgente che fosse la necessità, il Santo non volle mai spegnere il fuoco, nemmeno una lampada o una candela, tanto era l'affetto che nutriva per questa creatura. Non voleva neppure che un fratello gettasse del fuoco o un tizzone fumante da un luogo a un altro, come suol farsi, ma voleva lo si ponesse delicatamente per terra, per reverenza a Colui di cui il fuoco è creatura.

Da: Specchio di perfezione

IL FILO DEI MESI

Settembre

di Gianni Gasparini

Parlare dei mesi dell’anno: perché? I mesi sono dei punti di riferimento significativi nelle nostre società, dei “marcatori” di tempo che insieme alle stagioni ci parlano sia del trascorrere del tempo cronologico che dell’alternarsi di condizioni climatiche di un luogo determinato. In alcune cattedrali romaniche – come ad esempio quelle di Parma, Modena e Ferrara – le sculture dei dodici mesi dell’anno rammentano l’incontro tra le condizioni della natura che si avvicendano nelle stagioni e il lavoro dell’uomo che nel Medioevo esse consentivano o sollecitavano.

Nessuno, a quanto mi risulta, ha mai pensato in Occidente di abolire i mesi, a differenza di altre scansioni temporali come la settimana. La Rivoluzione francese di fine Settecento elaborò un nuovo calendario, rivoluzionario appunto, nel quale la settimana era sostituita da una sequenza decadale, ma si guardò bene dall’eliminare i dodici mesi, dei quali tuttavia cambiò la denominazione per renderla più aderente alle dimensioni naturalistiche e climatiche del mondo francese o dell’Europa del sud: basti citare fra gli altri i nomi di vendemmiaio, brumaio, fiorile e messidoro per dare un’idea della connessione tra mesi ed elementi naturalistici.

Al punto di convergenza tra elementi naturali e socioculturali, i mesi si prestano a considerazioni che in questa rubrica svilupperemo muovendoci in libertà tra suggestioni che ci vengono dalle condizioni del clima e del paesaggio così come da eventi e scadenze fissate dai sistemi sociali. Per quanto riguarda settembre, la prima associazione che si affaccia è quella che riguarda la ripresa dell’attività scolastica e formativa, nonché in molti casi dell’attività produttiva, dopo le vacanze o le ferie estive. Settembre riporta tutto il mondo della scuola e dell’università a riprendere i ritmi che attraverso i calendari relativi scandiscono l’anno scolastico o accademico. Settembre indica per uno scolaro o studente l’inizio in assoluto dell’attività formativa o, più frequentemente, un nuovo inizio che avviene nel segno dell’avanzamento da un determinato livello al successivo. Un po’ di anni fa, come è noto, era il mese di ottobre ad essere associato alla ripresa, tanto nelle scuole che in università.

L’idea di ripresa allude a processi particolarmente interessanti per la scuola. Si “riprende” un’attività formativa già in corso: questo implica una persistenza nello svolgimento di qualcosa già iniziato ma non ancora portato a termine. Nello stesso tempo, il new start contempla nuove possibilità: in particolare, ad ogni studente – anche a chi deve ripetere l’anno - viene data una chance di migliorare i risultati precedenti, o di aprire nuove vie di approfondimento nella conoscenza. La ripresa indica così sia la continuità di un’attività e di uno sforzo, che è rispecchiato dai diversi gradi, livelli e classi dell’ordinamento scolastico, sia la possibilità di cambiamenti, innovazioni, apertura a novità in atto o in fieri. Settembre ci invita dunque a riflettere sull’importanza del ricominciamento in parecchi aspetti o fasi della nostra vita.

Dal punto di vista del corso delle stagioni, settembre è un tipico mese di passaggio. Esso infatti ha una duplice appartenenza, all’estate di cui è l’ultima espressione – fino al 21 o al 23 del mese -, e all’autunno, di cui inizia a portare alcune caratteristiche che saranno ben visibili nel successivo mese di ottobre: fra queste, la maturazione dei frutti. Settembre cavalca due stagioni contigue, che anche a motivo dei cambiamenti climatici in atto non sono facilmente separabili. Ci stiamo abituando a punte elevate di caldo anche a settembre-ottobre, seguite spesso tra ottobre-novembre da fenomeni di precipitazioni devastanti. Resta il fatto che settembre, con l’inevitabile accorciamento della durata delle ore diurne, ci segnala il fenomeno del passaggio, in natura ma anche con valenze socioculturali: questo mese cioè ci parla di tutte le realtà, le attività e le esperienze che arrivate ad un massimo iniziano a diminuire e ad affievolirsi, in una logica di continuità.

Concludiamo con la poesia, riportando due brevi liriche di Saigyo, un grande poeta giapponese venerato come monaco santo, che visse nell’XI secolo. Esse alludono più all’autunno che all’estate, indicando il procedere delle stagioni che in Giappone ha ritmi simili ai nostri.

Tristezza inaspettata
nel sentire il vento
che soffia nelle canne,
in questa sera autunnale.

Anche persone
in genere impassibili
davanti alle cose,
si commuovono
al primo vento autunnale.

(da I canti dell’eremo, La Vita felice, Milano 2008, IV ed.)

AFORISMI

 a cura di Leonarda Tola

Sul dire in breve

Oggi, si sa, amiamo la comunicazione veloce e concisa per manifestare le opinioni, talvolta anche le scelte della politica, affidandola alla stringatezza di un twitt. Non è cosa facile quanto potrebbe sembrare. Spesso i risultati sono deludenti e i fraintendimenti inevitabili apparendo la moderna concisione più un espediente sbrigativo che una forma consapevole di scrittura essenziale e persuasiva. Difficile infatti che sappiano condensare il pensiero in un dire compiutamente succinto coloro che non sarebbero capaci, se costretti, di argomentarlo con logica sintattica nella costruzione estesa delle proposizioni. Ci sono invece, ma soprattutto ci sono stati, i maestri dell’aforisma e del detto breve, i soli che possono distillare dall’abbondanza del loro sapere il succo denso di una riflessione a lungo meditata. Per stare ai classici, esperto di questo stile è Lucio Anneo Seneca il filosofo nato a Cordova e vissuto nel primo secolo dell’era cristiana, suicida per ordine di Nerone. Memorabili i modi nei quali lo scrittore aderente allo stoicismo e attratto da Epicuro ha saputo dire della vita: della sua beatitudine e brevità messe alla prova dell’esperienza-arte del vivere che richiede coraggio ed equità, serenità e forza d’animo, imperturbabilità e spirito ilare.

Magnus gubernator

“L’abile nocchiero sa navigare anche con la vela spezzata”
Magnus gubernator et scisso navigat velo"

È una delle innumerevoli stille di saggezza che ci lascia Seneca scrivendo a Lucillo a cui dedica 120 Lettere morali. L’abilità di cui si parla è simile a quella richiesta al comandante che “tuttavia adatta alla rotta da seguire ciò che resta della nave” squarciata. Non si discute però di pratica di mare, ma della vita e delle tempeste che possono attraversarla e sconvolgerla. Siamo attesi alla fatica del veleggiare anche con una barca che perde pezzi, alla pazienza che resiste e sopperisce alla mancanza. Lo chiarisce l’autore portando l’esempio dell’amico Aufidio Basso che, gravemente debilitato nel fisico guarda in faccia la propria fine, anzi vi si rispecchia. Ammaestra così Lucillo, il discepolo, anche rispetto alla compostezza da avere quando l’ora suprema arriva, (cum adventat hora illa inevitabilis) e bisogna andare con animo pacificato. “Magna res”.

IL DIBATTITO

Su Scuola e Formazione, numero 1-4 del 2019 è apparso l'articolo di Lorenzo Gobbi dal titolo: Discorsi indebiti? Note sull’aria che tira.
Su quel tema di particolare e delicata rilevanza avevamo sollecitato un dibattito. Pubblichiamo un primo contributo invitando a intervenire con ulteriori analisi e riflessioni.

Sul filo dell'equilibrista
L'educazione a scuola

di Vincenzo Alessandro

Il bell'articolo di Gobbi fa il punto sulle relazioni scuola-famiglia, e sulle pretese di quest’ultima di avere non solo il controllo della valutazione dei propri figli, ma anche dei contenuti dell’attività didattica, almeno sotto il profilo dei valori e delle indicazioni di principio trasmessi dall’insegnante. Del resto, è comprensibile che sia relativamente più improbabile che le famiglie interloquiscano su definizioni e procedure di carattere tecnico, ma quando si tratta di temi quali, ad esempio, le migrazioni o la tolleranza sessuale, ci dice Gobbi, la situazione è diversa e assume, talvolta, venature di insofferenza estremistica, come accade quando la madre di un suo alunno a colloquio con il docente, definisce “schifezze” la trattazione scolastica dei temi stessi.

La questione è un po’ quella che Gramsci, che, certo, è difficile tacciare di atteggiamenti sprezzanti verso la cultura popolare, individua nei Quaderni dal Carcere (Passato e Presente, Quaderno 15, par. 21): "Se si domanda a Tizio, che non ha mai studiato il cinese e conosce bene solo il dialetto della sua provincia, di tradurre un brano di cinese, egli molto ragionevolmente si meraviglierà, prenderà la domanda in ischerzo e, se si insiste, crederà di essere canzonato, si offenderà e farà ai pugni. Eppure lo stesso Tizio, senza essere neanche sollecitato, si crederà autorizzato a parlare di una serie di questioni che conosce quanto il cinese, di cui ignora il linguaggio tecnico, la posizione storica, la connessione con altre questioni, talvolta gli stessi elementi distintivi. Del cinese almeno sa che è una lingua di un determinato popolo che abita in un determinato punto del globo: di queste quistioni ignora la topografia ideale e i confini che le limitano”. Senza voler assumere posizioni altezzose, questi, però, sono spesso i termini del problema quando si parla di argomenti complessi come la tendenza storica alle migrazioni, nonché l’orientamento sessuale delle persone. Problematiche nelle quali il senso comune tende a travolgere non solo e non tanto i termini scientifici, quanto lo stesso buon senso, come ci ammonisce un famoso brano dei Promessi Sposi (Cap. XXII: “Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”).

D’altra parte, però, non si può e non si deve assolutamente negare il ruolo della famiglia come prima e fondamentale “agenzia educativa”, alla quale la Costituzione attribuisce (art. 29) la qualifica di “società naturale”, riconoscendone i diritti. Al contrario, occorre preservare il valore fondamentale e garantire il ruolo sociale di questo presidio di libertà rispetto alla sempre possibile invasività dello Stato-apparato, di quel Leviathan (secondo la definizione di Thomas Hobbes) di cui abbiamo conosciuto il lato mostruoso nel “secolo breve” che ci siamo non da molto lasciato alle spalle.

Come in tutte le questioni umane, siamo di fronte ad un problema di equilibrio tra esigenze contrapposte, tra diritti e pretese di natura diversa, tutti, però, dotati di un proprio innegabile fondamento. Da una parte il ruolo della famiglia, “avamposto” della libertà di coscienza contro ogni verità “ufficiale” (personificabile nella figura di Antigone che dà sepoltura al fratello, nonostante il divieto del nuovo sovrano di Tebe), dall’altra quello dello Stato e del suo sistema di istruzione, al quale spetta di trasmettere la cultura condivisa della nazione; soggetti entrambi tenuti, ognuno nel proprio ambito, a tramandare memoria e valori propri della collettività umana che li esprime.

Il miglior punto di partenza rimane, probabilmente, quello socratico: si fa il male per ignoranza del bene. Si nutrono sentimenti razzisti perché si ignora la caratteristica ricorsività dei fenomeni migratori nel corso della storia, o anche semplicemente perché non si conosce abbastanza la storia dell’emigrazione italiana e l’emarginazione di cui hanno sofferto i nostri bisnonni, i quali, peraltro, non hanno dato solo contributi positivi alle altre nazioni, come vuole certa retorica sovranista (gli italiani andavano all’estero per lavorare), ma hanno altresì esportato anche comportamenti non commendevoli (di cui è esempio la mafia italo-americana). Allo stesso modo, l’omofobia si fonda in larghissima parte sulla non conoscenza della complessità psicologica e biologica dell’essere umano e dei suoi comportamenti.

A fronte di ciò, la scuola è condannata a camminare sul filo dell’equilibrista. Deve promuovere la riflessione autonoma, lo sviluppo del senso critico, la conoscenza delle dimensioni storiche e scientifiche dei problemi, nella maieutica convinzione che il loro corretto inquadramento possa condurre di per sé a valutazioni di buon senso e non di mero senso comune, di umanità e non del suo contrario. E, per di più, occorre fare tutto ciò in modo asettico, quasi parlando d’altro, come fanno certi scrittori che, mentre fingono di raccontare storie di tempi e luoghi lontani, in realtà descrivono l’attualità più stretta. La dimensione storica e scientifica, in una parola, la prospettiva culturale dalla quale ognuno può trarre da sé gli strumenti di valutazione della realtà che vive, rimane, quindi, il contributo principale che la scuola può dare alla corretta esplicazione delle relazioni sociali, unitamente ad un rinnovato ruolo dell’educazione alla convivenza civile, che non deve essere né insegnata per mero adempimento della norma, né vissuta come un problema di gestione degli organici dei docenti, ma essere considerata come una grande opportunità educativa e politica.

HOMBRE VERTICAL

a cura di Emidio Pichelan

20 milioni di dollari per 82.285 roghi 

I numeri sono grandiosi, pesanti: Amazzonia vuol dire 7,5 milioni di kmq (per intenderci, 25 volte l’Italia), suddivisi tra nove Paesi (Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela e Guyana francese), abitati da 3 milioni di indigeni (390 popoli e nazionalità, senza contare i 110-130 popoli indigeni in isolamento volontario), 330 lingue diverse. Questo polmone unico, insostituibile per la salute del pianeta, ospita tra il 30 e il 50 per cento delle specie viventi (animali e vegetali) del pianeta, contiene circa il 20 per cento dell’acqua dolce.

Per cause ben note e ignobili, il polmone è aggredito in appena dieci giorni da 82.285 roghi. La possiamo definire un’emergenza di assoluta priorità?

Non la pensano così i Sette Grandi della terra. Riuniti a Biarritz, in Francia, i signori di un tesoro che ammonta ad (almeno) 39mila miliardi di dollari, alla fine – graziosamente, che bontà, che bontà! – convengono di sganciare 20 milioni di dollari per combattere 82.285 roghi. L’equivalente (copyright di G. A. Stella) a una pistola ad acqua. A un Canadair di seconda mano. In un primo tempo, il Presidente (pro tempore) del Brasile, li rifiuta sdegnosamente: il Brasile e l’Amazzonia li ritiene “cosa sua”, intende disporne come vuole, mentre Trump, l’uomo più potente della terra, occupato nella trattativa per l’acquisto della Groenlandia, i roghi non li vede, semplicemente non gli interessano. La politica italiana – anche di noi bisogna pur parlare, dopo tutti facciamo parte del G7 -, avvolta nella fitta nebbia di una crisi grottesca e di un chiacchiericcio tanto confuso da far impallidire quelli della torre di Babele – adotta la politica delle tre scimmiette: non vede, non sente, non parla.

Niente di nuovo sotto il sole. Chico Mendez aveva sollevato “la questione Amazzonia”, come si diceva un tempo che fu, più di trent’anni fa: era un siringueiro, un raccoglitore di caucciù, sapeva quel che si faceva e quel che si diceva, il 22 dicembre 1988 due rancheros, due proprietari terrieri, lo freddavano con due colpi di fucili in faccia sulla soglia di casa. Molti secoli fa, il Poverello d’Assisi spendeva una breve, eccezionale vita umana per praticare e scrivere una nuova grammatica del rapporto uomo-terra. Sei anni fa, un cardinale venuto dall’altra parte del mondo ed eletto papa, assumeva – non per caso – il nome di Francesco. Poco più di due anni dopo, pubblicava – anche qui non per caso – la sua prima enciclica Laudato Sì; dal 6 al 27 ottobre prossimo si terrà in Vaticano l’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica (“Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”, il titolo). Sullo stato di salute della terra, sappiamo tutto, la scienza ha fatto il suo dovere. Papa Francesco fa il suo dovere. Greta Thunberg fa quello che può. I convitati di pietra della situazione si chiamano Politica (con la p maiuscola) e pubblica opinione. Se continuiamo a lasciare le briglie sciolte all’homo stupidus stupidus (copyright di V. Andreoli) il destino è segnato. Il harakiri sarà consapevole, volontario. Colpa di tutti, non delle tre scimmiette.

RICORRENZE

Due le ricorrenze con un possibile valore educativo da poter considerare questo mese: il 15 settembre (Giornata Internazionale della Democrazia) e il 26 settembre (Giornata mondiale per l’eliminazione delle armi nucleari).
Riportiamo due schede indicative e una riflessione originale di Lorenzo Gobbi.

15 Settembre - Giornata Internazionale della Democrazia

Giornata Mondiale istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite già nel 2007. La Giornata vuole per celebrare il valore e l’importanza della democrazia per gli stati membri, per il Sistema Nazioni Unite e per tutte le organizzazioni regionali, intergovernative e non governative. Il Segretario Generale dell’ONU Ban-Ki-moon, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Democrazia del 2010, scrisse: “L’avanzamento democratico non è un processo né lineare né irreversibile. Recentemente, in molte parti del mondo, abbiamo potuto osservare serie minacce ai progressi ottenuti con fatica dai governi democratici. Le battute d’arresto nell’avanzamento democratico sono battute d’arresto per lo sviluppo. Lo sviluppo prenderà corpo più facilmente se i popoli potranno esprimere il proprio governo e condividere i frutti del progresso”.

26 settembre – Giornata mondiale per l’eliminazione delle armi nucleari

Giornata Internazionale istituita dall’ONU nel 2013 nel trentesimo anniversario della notte in cui il colonnello sovietico Stanislav Petrov, un vero eroe oggi sconosciuto ai più, decise di non lanciare una massiccia rappresaglia nucleare contro gli Stati Uniti. Ricorda Lisa Clark dei Beati i Costruttori di Pace – In quella notte del 26 settembre del 1983 Petrov decise correttamente, e soprattutto coraggiosamente, di ritenere gli allarmi missilistici che vedeva sui propri schermi un errore del computer, e non lanciare così i bombardieri atomici che avrebbero avuto tra i loro bersagli Washington e New York”.

Democrazia è dar valore alla relazione

di Lorenzo Gobbi

Quando si litiga tra colleghi, come è normale che accada se ci sono decisioni da prendere per realizzare nella concretezza un ideale condiviso, è facile che uno dei due finisca col dire, magari borbottando tra sé e sé: “Ma stai zitto…”. L’altro risponde: “Siamo ancora in democrazia, mio caro…”. È così: l’altro non si può zittire, non si deve! Siamo in democrazia: ciò significa non solo che l’altro non è un nemico, ma soprattutto che è bene che ci sia, perché niente vale di più della nostra reciproca vicinanza, anche se non è sempre facile da gestire – siamo diversi, e va bene così. Abbiamo un mondo comune nel quale tutti siamo cittadini in pari grado, del quale tutti siamo responsabili: mai, però, mai uno senza l’altro, mai a prescindere dall’altro. Vogliamo costruire insieme, perché così abbiamo scelto, nella certezza che solo così ciascuno darà il meglio di sé. Non è solo questione di voto né di semplici processi decisionali: democrazia significa percezione e condivisione del valore, dell’impegno, della relazione, del legame che ci unisce l’uno all’altro a servizio gli uni degli altri; è sentirsi davvero “in servizio”, credersi necessari al bene comune nella misura in cui esso è condiviso, partecipato, diffuso, allargato. Il bene esiste: ne siamo certi e noi siamo qui per costruirlo, giorno dopo giorno, come possiamo ma senza esitazioni. Il modo lo possiamo trovare solo se abbandoniamo la pretesa, l’egocentrismo, la lamentela sterile, il desiderio di rivalsa, l’ostilità, il rancore, la brama di potere, l’accusa infondata, il pettegolezzo, la menzogna – perché democrazia vuol dire trasparenza, sincerità, lealtà reciproca, collaborazione piena, stima per l’altro e rispetto ricambiato (tutto ciò che spesso pretendiamo dagli altri). Possiamo votare on-line o con la matita copiativa, non cambia molto: è quello il momento in cui ci sentiamo vivi in un organismo vivo – la nostra nazione fondata sulla Costituzione: sul dolore, cioè, sulla speranza e sul sacrificio di chi ce l’ha donata perché fossimo un popolo degno di questo nome. Una comunità di “reciproci” più che di uguali; un caleidoscopio di buone volontà.

NOTE MUSICALI

a cura di Francesco Ottonello

Jean Sibelius (1865 - 1957): Finlandia

Se è vero che pressoché tutti i compositori dell’ Europa del Nord furono fortemente condizionati dal mondo tedesco, Jean Sibelius (1865 – 1957), il massimo compositore finlandese, seppe affermarsi all’attenzione dei suoi compatrioti e della scena internazionale attraverso una musica che sapesse riflettere i sentimenti più profondi dei Finalndesi.
Questo avvenne in particolare, agli inizi dell’attività compositiva di Sibelius, con un lavoro per cantanti solisti, coro e orchestra intitolato Kullervo, nel quale si canta l’epopea nazionale del poema del Kalevala. L’uso di voci e coro indicano come Sibelius avesse desiderato seguire la strada di Wagner, in particolare per creare le basi dell’opera nazionale finlandese, attraverso l’esaltazione dei miti locali. Resosi conto che questa strada non era consona alla propria sensibilità, vide nel poema sinfonico il luogo naturale dove poter evocare le proprie aspirazioni.
Fra il novero dei molti poemi sinfonici composti da Sibelius, Finlandia è forse quello più noto ed eseguito. Composto nel 1899 per celebrare l'indipendenza del Granducato di Finlandia dalla Russia, divenne subito un inno alle aspirazioni indipendentiste nazionali e successivamente fu proposto per divenire l’inno nazionale finlandese. In Finlandia non è inoltre estraneo alle intenzioni del compositore perseguire un certo intento descrittivo: sfruttando in particolare i timbri scuri dell’orchestrazione, Sibelius richiama alla mente dell’ascoltatore la natura brulla della sua terra, sospesa fra terra e ghiaccio, fra prati e acquitrini.
I motivi conduttori del poema evocano, oltre al tema del patriottismo, anche un mondo naturalistico particolare e unico, quale quello finlandese.
È musica dai toni tenebrosi ma di grande passione: il vigore e la passionalità della musica diradano i toni cupi iniziali, preparando il terreno per un epigono garbatamente trionfalistico, a simboleggiare l’acquisizione di quella libertà tanto agognata dal popolo di Finlandia.

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LA SCUOLA C'È. LA SCUOLA È

I volti e i luoghi delle scuole italiane animano il calendario che la CISL Scuola ha prodotto per il 2019. Per ognuno dei dodici mesi dell'anno, un breve film racconta la presenza della scuola in ogni angolo del Paese; ambienti, età, situazioni diverse compongono un caleidoscopio vivente nel quale si moltiplicano immagini che ci restituiscono la varietà e la bellezza di ciò che la scuola riesce ad essere, ogni giorno, per tutti e dovunque.
Per ogni mese del calendario uno specifico "codice a barre" del tipo QR code dà accesso, per chi lo inquadra col suo smartphone, alla pagina web che ospita il breve film realizzato per noi da Giovanni Panozzo. Un giro d'Italia per dirci ogni volta, in luoghi diversi, che la scuola c'è, e ciò che riesce ad essere grazie alla straordinaria energia che la muove.

Il film del mese di settembre

"Tutta la mia vita"

Potrà essere domani, e già un po' lo è, una campionessa di golf, ma oggi è soprattutto una ragazza che unisce in modo non comune passione, entusiasmo, pacatezza, equilibrio nel dirci come riesce a fare convivere impegno sportivo e attività di studio, considerandoli entrambi aspetti irrinunciabili della propria vita. Siamo a Schio (VI), sezione sportiva del Liceo Scientifico "N. Tron".

RILANCI E ANTICIPAZIONI DA "SCUOLA E FORMAZIONE"

Nel numero della nostra rivista Scuola e Formazione che sta arrivando in questi giorni a tutti gli iscritti c'è un contributo di Antonio Papisca su "Diritti umani e cittadinanza". Una questione di particolare interesse anche in ordine al primato della norma costituzionale-internazionale dei diritti umani rispetto ad altre norme nazionali.
Il testo di Papisca era seguito da un breve brano di Luciano Corradini che introduceva, in sintesi, un ritratto/ricordo dell'importante studioso padovano. Qui completiamo quell'incipit per commemorare più degnamente, come indicato nella rivista, la figura e il pensiero di quel giurista.

Antonio Papisca: defensor pacis

di Luciano Corradini

Un incontro di universitari europei negli anni '70
I miei primi incontri con Antonio Papisca avvennero in occasione di due convegni del MIUE (Movimento per l’integrazione universitaria europea) avvenuti a Firenze nel 1974 e a Camaldoli nel 1975. Nella relazione introduttiva degli atti che uscirono nel 1976, Luigi Lombardi Vallauri, filosofo del diritto nell’Università di Firenze, denunciò tra l'altro la frequente riduzione della scienza a strumento per la produzione e per le carriere. La domanda centrale cui si trattava di rispondere era: "Quali le caratteristiche di un sapere per me?".
A suo avviso questo sapere dovrebbe essere: 1) sintetico, 2) rilevante, 3) intuitivo, 4) assimilato, e cioè gustato, personalizzato, esistenziale, includente il soggetto e non solo l’oggetto d’indagine, 5) e infine trasformante, per lo studioso e per il suo rapporto con gli altri. Se avesse queste cinque caratteristiche, diceva Luigi parlando successivamente in quattro lingue, per convegnisti provenienti da tutta Europa, il sapere del docente universitario sarebbe sapienziale. Questo cenno mi sembra singolarmente adatto a indicare il germe del sapere e dell'attività scientifica, didattica e civile di Papisca.
Egli non ha solo studiato i diritti umani, ma li ha coltivati, ha lottato con tenace mitezza e talora come energico protagonista di iniziative, per riconoscerli, affermarli, fondarli, per farli conoscere, amare e rispettare. Ha costruito reti di relazioni che abbracciano, fin dalla sua prima giovinezza, la Chiesa e l'Umanità e, alla fine è diventato ciò che studiava. Scrive nelle ultime due righe del suo ultimo libro intitolato Il diritto della dignità umana Riflessioni sulla globalizzazione dei diritti umani, Marsilio, Padova 2011: "Dunque, noi stessi: noi diritti umani, ciascuno di noi diritto umano sussistente (Antonio Rosmini)".

La coltivazione del Diritto panumano, diritto internazionale dei diritti umani
Non è solo la trivella filosofica di Rosmini che l'ha condotto a questo traguardo. Il libro si apre con la citazione del primo articolo della Dichiarazione Universale dei diritti umani dell'ONU ("Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti"). Questo fondamentale Documento, con i successivi trattati internazionali, frutto della Carta delle Nazioni Unite, costituisce il Diritto internazionale dei diritti umani, che non è sogno, ma ius positum, corpus organico del vigente Diritto panumano.
Non si combatte dunque contro la violenza, l'ingiustizia e la guerra solo in nome di un'antica e nobile aspirazione, ma con gli strumenti efficaci, seppur bisognosi di manutenzione e di perfezionamento, di un corpus di leggi internazionali, di organismi, di procedure, di ONG che non fanno sconti agli Stati, e cioè di una complessa machinery (macchina organizzativa), capace di portare davanti ai tribunali i delinquenti, anche se titolari di legittimi poteri "sovrani". Se questa funziona poco e male, non si può dire che non ci sia, che non produca almeno qualche risultato, e che un diritto non ancora riconosciuto di fatto, diventi un non diritto, come ricordava Amartya Sen.
Il diritto internazionale, in tutte le sue forme e articolazioni, non si regge solo sulle sanzioni, ma soprattutto su una "plurisecolare lotta per il rispetto della dignità umana", che si alimenta con le intuizioni di antichi filosofi e profeti, ma anche col fondamentale apporto del Cristianesimo. "Le beatitudini proclamate nel toccante Discorso della Montagna, ha scritto Antonio nel libro citato, ci consegnano un identikit di operatore per la promozione umana e la pace nella giustizia, che non è lontano da quello degli human rights defenders cui fa riferimento la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 9 dicembre 1998 sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società, di promuovere e di proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti".

Confidenze, pensando a beatitudini e tribolazioni
Le letture della messa di congedo, tra cui il testo delle Beatitudini del Vangelo di Matteo, davanti alla bara di Antonio, hanno reso ancora più chiaro l'itinerario di fede che ha alimentato il suo impegno professionale, la sua vita e la sua azione volontaria. Il Celebrante, che è stato uno degli allievi di Papisca, ha notato che i tratti delle beatitudini corrispondono singolarmente al profilo del suo professore. Mi è parso allora chiarissimo quanto avevo intuito in molte delle occasioni d'incontro e di collaborazione che abbiamo vissuto negli scorsi decenni.
Quando riuscivamo a ritagliarci un pur breve tempo, magari "a pezzi" per riflettere, per confrontare, per raccontarci momenti delle nostre "vite parallele", eravamo lieti di queste profonde ragioni di intesa. Vedevamo per così dire dall'interno le motivazioni, le sconfitte e le vittorie, i dubbi e le certezze che ci avevano portati a scegliere associazioni, temi, compiti, iniziative, ciascuno nel suo mondo e al suo livello, ma con singolari consonanze. Nella dedica fattami nel libro citato, mi ha scritto: "Con la stima e l'affetto di sempre".
Io avvertivo l'ampiezza del suo respiro e cercavo di assimilare l'ossigeno che mi veniva dalle sue conversazioni e dai suoi scritti. Ammiravo anche la sua ricchezza interiore, la vastità e la profondità della sua cultura e del suo impegno, tanto disinteressato sul piano personale, quanto interessato a far andare avanti le idee e a sollecitare le istituzioni, perché producano frutti di pace, di rispetto dei diritti umani, di educazione a uno sviluppo compatibile con questo rispetto. Avevo quasi un anno più di lui, ma mi sentivo un suo discepolo, e onorato per la sua partecipazione a gruppi di lavoro e a convegni a cui ho potuto invitarlo, in sede universitaria e ministeriale.
Appresi con gioia che anche lui mi onorava della sua stima, perché il 14 febbraio 2009 mi scrisse in una mail: "Carissimo Luciano, ho centellinato, la sera, il tuo diario sapienziale 'A noi è andata bene': boccate d’aria pura, al termine di giornate dense di impegni e di confusione cosmica! Grazie! Antonio".

Alla Statale di Milano, in un convegno-concerto per la pace
Il 18 novembre del 1986, in collaborazione con l'Unicef, promossi alla Statale di Milano un convegno, che si tenne nell'Aula magna, sul tema La pace nella ricerca universitaria. Aderirono una dozzina di colleghi di diverse discipline. Antonio non solo accettò di affrontare il tema "La pace e lo sviluppo nel cantiere dei diritti umani", ma mi propose la partecipazione, che poi riuscimmo un po' rocambolescamente a organizzare, di ben centocinquanta artisti dei cori polifonici delle Università di Verona e di Venezia e del Coro delle voci bianche delle scuole medie statali di Vicenza. Al centro del semi-pomeriggio musicale si pose il Concentus musicus patavinus, fondato da Antonio, per eseguire, con orchestra e cori, la cantata Pro pace di Dalla Vecchia, su un testo di anonimo pacifista. Riuscii a pubblicare gli atti, con Guerini e Associati, purtroppo, dati i tempi e il budget, senza musica, che era uno degli amori di Antonio come musicista e non solo come fruitore di armonie.
Negli anni successivi ci vedemmo più volte in sede di Comitato UNICEF, con Aldo Farina, e tanti amici, fra cui Aldo Visalberghi, per dare pareri e contributi in vista della stesura della Convenzione internazionale dei diritti del minore, che poi fu approvata dall'ONU nel 1989. E più volte c'incontrammo per seminari sull'educazione alla pace, con Johan Galtung, Nanni Salio, Tonino Drago, Antonio Labate, Giuliana Martirani; e anche in occasione di qualcuna delle molte marce della pace Perugia-Assisi, organizzate dalla Tavola della pace, promossa dal 1988 da Flavio Lotti, formidabile organizzatore e animatore, che riconosce in Papisca un ispiratore e un maestro di un pacifismo serio, impegnato e dinamico.

Gruppi di lavoro al MIUR: dall'educazione civica e dalla cultura costituzionale a Cittadinanza e Costituzione
Nel 1995 Antonio accettò di far parte del Gruppo di lavoro ministeriale, da me presieduto per incarico del ministro Lombardi, che ebbe il compito di attuare quanto raccomandato dal CNPI, in una Pronuncia sul tema "Educazione civica, democrazia e diritti umani". Erano con noi Luciano Amatucci, Enzo Balboni, Piero Cattaneo, Agostino Giovagnoli, Maria Teresa Moscato, Antonio Nanni, Sandro Pajno, Giulia Rodano, Paola Tantucci, Stefano Zamagni. Ne uscì la direttiva 8.2.1996, n. 58, con l'allegato "Nuove dimensioni formative educazione civica e cultura costituzionale", oltre a un curricolo continuo che integrava e aggiornava il decreto sull'educazione civica di Aldo Moro (1958).
Non riuscimmo a far introdurre nell'ordinamento questi programmi, ma non per questo si rinunciò all'obiettivo.
Nel 2008 ci trovammo di nuovo in un gruppo di lavoro, istituito dal ministro Gelmini, che me ne affidò la presidenza. L'educazione civica prese il nome di Cittadinanza e Costituzione, nell'art. 1 della legge 30.10 2008 n.169. Nel gruppo continuammo a lavorare per stendere il Documento d'indirizzo per la sperimentazione dell'insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, che fu firmato e presentato ufficialmente a Palazzo Chigi il 4 marzo, ma di nuovo non entrò a far parte delle discipline ufficiali. La presidenza del Gruppo passò a Giovanni Biondi, che fece continuare i lavori, convocandoci all'INDIRE di Firenze, senza dar loro uno sbocco istituzionale stabile. Cito la conclusione del lungo appunto che Antonio mi mandò nel 2009:
"In conclusione, Cittadinanza e Costituzione sono i parametri di riferimento di un’educazione che deve tenere conto dei principi costituzionali e degli obblighi internazionali assunti dall’Italia in materia di diritti umani, nonché degli orientamenti, sempre più convergenti in re, delle Nazioni Unite, dell’Unesco e del Consiglio d’Europa.
"Costituzione significa Legge e Istituzioni. Cittadinanza significa status e ruolo conformi alla Legge fondamentale e in costante interazione con le Istituzioni.
Un disegno educativo, perché sia tale, deve fare riferimento a un paradigma valoriale. Esiste oggi un paradigma che non è frutto dell’opinione di questo o quel filosofo, di questo o quel leader politico o religioso, di questo o quel governo. È il paradigma dei diritti umani - diritti della persona, diritti fondamentali - la cui intrinseca universalità ha il sigillo della precettività dello ius positum di portata mondiale.
Si ricorda che i diritti umani sono civili, politici, economici, sociali, culturali, da conoscere, promuovere e realizzare nel rispetto della loro interdipendenza e indivisibilità, cioè di un principio giuridico che assume la verità ontologica dell’integralità dell’essere umano, fatto di anima e di corpo, di spirito e di materia. Anche tenuto conto di questo dato, l’educazione a Cittadinanza e Costituzione non può che essere secondo l’Approccio integrato di Educazione Globale (Global Education) basata sui diritti della persona (human right)".
Il "pressing" al Ministero proseguì negli anni successivi, per evitare l'oblio sul nostro lavoro. Antonio mi scrisse il 17 6 2012: "Cari Luciano e Colleghi, mi associo naturalmente anch'io alla opportuna iniziativa. Vi informo che 'Cittadinanza e Costituzione' è oggetto di un progetto UE intitolato 'Citizenship and Constitution. Learning European Union at School', assegnato dalla Commissione Europea al Centro diritti umani dell'Università di Padova, in corso di concreta realizzazione con la collaborazione dell'INDIRE. Abbiamo trovato il modo di internazionalizzare l'"insegnamento" che ci interessa, nell'intento, non soltanto di non perderne memoria, ma di radicarlo grazie anche all'attenzione-supporto europeo. Sono coinvolti 40 insegnanti-tutor + 20 referenti degli Uffici scolastici regionali, i quali hanno partecipato a due Seminari nazionali: a Padova (2-4 aprile), a Sorrento (27-29 maggio) (http://unipd-centrodirittiumani.it).
Questi meravigliosi insegnanti sono tuttora al lavoro per elaborare il loro contributo da inserire nel sito web INDIRE di Cittadinanza e Costituzione.
Posso testimoniare del loro impegno e della loro determinazione nel portare avanti il fertile percorso. La realtà per così dire di base è significativamente mobilitata.
Voglio sinceramente sperare che il MIUR ne prenda atto.
Con un cordiale saluto. Antonio Papisca".

Il suo lavoro di attento studioso dotato di un efficiente radar internazionale, diventava così "cittadinanza agita", in uno dei tanti gruppi di lavoro di cui aveva fatto e faceva parte. In calce a un precedente appunto mi aveva scritto: "Colgo l'occasione per ringraziarti, dal profondo del cuore, per tutto quello che hai fatto e farai nel superiore interesse dell'autentica educazione civica nel nostro Paese".
Sentiamo che Antonio continua a lavorare con noi!