luglio 2019

In questa pagina:
l'immagine del mese; l'undicesimo mese e le sue suggestioni; la parola del mese (Cortesia); invito alla lettura; note musicali; un brano di prosa e una filastrocca; giornate e ricorrenze particolari.
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L'ILLUSTRAZIONE

Immagine di Eva Kaiser

L'undicesimo mese

di Leonarda Tola

Gloria e miseria della Prima Estate

Distesa estate,/ stagione dei densi climi/ dei grandi mattini/ dell'albe senza rumore/ ci si risveglia come in un acquario” dice Vincenzo Cardarelli della stagione nella quale il dolore e i suoi “oscuramenti” si assottigliano e sfumano nei caldi vapori, nella “certezza di sole”, nella “felicità degli spazi”. Quando il sole prende ad ardere e avvampare (aestuare), Aestas è la “stagione estrema, che cade/ prostrata in riposi enormi”, il tempo si distende e la luce dilata e sconfina: in una lentezza del passare e dell’andare che è quanto di più somigliante, per quel che ne sappiamo noi e i poeti, alla “cadenza dell’indugio eterno”.

Luglio è il mese della Prima Estate: “nel vento è vivo/un fiato di bocche accaldate/di bimbi, dopo le sfrenate/ rincorse” nell’ora del giorno quando, scrive Giorgio Caproni, il sole accende i prati dello stesso rosso che infiamma le gote infantili.

Oh Estate!” invoca Pablo Neruda, “abbondante,/ carro/ di/ mele/ mature,/ bocca/ di fragola/ in mezzo al verde,/ labbra/ di susina selvatica,/ strade/ di morbida polvere/ sopra/ la polvere,/ mezzogiorno,/ tamburo/ di rame rosso,/ e a sera/ riposa/ il fuoco,/ la brezza/ fa ballare/ il trifoglio, entra/ nell’officina deserta;/ sale/ una/ stella/ fresca/ verso il cielo/ cupo,/ crepita/ senza bruciare/ la notte/ dell’estate.”

Ma insieme ai tepori e colori, ai profumi maturi di frutti e fiori l’estate, immobile nelle sue arsure, si tocca il punto più alto oltre il quale, all’improvviso, declina verso il disfacimento e la corruzione ciò che in natura era prima divinamente integro: è il calore che estenua i corpi e fa marcire le erbe fino alla putrefazione.

Lo rivela Dante che nel XIX canto dell’Inferno, dicendo della decima bolgia dove imputridiscono i falsari, paragona quel lezzo infernale ai miasmi estivi che esalerebbero dai malati se mai li si radunasse dagli ospedali di certe contrade malariche d’Italia. “Qual dolor fora, se de li spedali/ di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre/ e di Maremma e di Sardigna i mali/ fossero in una fossa tutti ’nsembre,/ tal era quivi, e tal puzzo n’usciva/ qual suol venir de le marcite membre”.

Accadeva in Luglio più che al gelo d’inverno nelle ardenti plaghe della geografia del Medioevo. Versi divini che raccontano una storia di pesti e malattie e di tutte le miserie, ovunque e in ogni tempo ricompaiano.

Spighe d’oro nei campi di grano,
gloria dell’estate di sole e di luce,
nella brezza leggera
mollemente si piegano alla falce.

Proverbi

Quando luglio è ardente, miete lesto.

Se piove tra luglio e agosto, piove miele, olio e mosto.

Se non fa caldo di luglio e di agosto, sarà tristo il mosto.

A San Bonaventura (15 luglio) s’è finito di mietere in pianura.

Per Santa Maddalena (22 luglio) se il grappolo è serrato, il vino è assicurato.

Per Santa Cristina (24 luglio) la sementa della saggina.

San Giacomo (25 luglio) con i tetti bagnati, del vin siamo privati.

La pioggia di Sant’Anna (26 Luglio) è una manna.

Per San Giacomo e Sant’Anna entra l’anima nella castagna.

Quando luglio è molto caldo, bevi molto e tienti saldo.

In Luglio è ricca la terra, ma povero il mare.

Luglio poltrone porta la zucca col melone.

Presto la pioggia suol venire a noia, ma in Luglio è un ricco dono e apporta gioia.

LA PAROLA DEL MESE

CORTESIA

di Maddalena Cavalleri e Lorenzo Gobbi

Non c’è nulla di più deprimente, in questi giorni, della constatazione di quanto la più feroce aggressività sia diventata una sorta di patrimonio nazionale: l’insulto è stato “sdoganato” a tutti i livelli come norma della comunicazione, specie nell’ambito dei social media, che non solo lo tollerano ma lo diffondono; la vita quotidiana ne risente oltre ogni limite; qualunque forma di cortesia e di rispetto, quand’anche nella differenza di opinioni, si trova spesso fraintesa come segno di debolezza quando non stigmatizzata come insopportabile affettazione. Nulla, spesso, è meno compreso della cortesia verso chi è scortese; e nulla, a volte, eccita l’ira o suscita la derisione quanto un invito alla cortesia.

La cortesia è il linguaggio della “corte”: fatto di gesti, parole, premure, delicatezze, attenzioni tra coloro che si riconoscono non tanto come un’élite privilegiata quanto come un gruppo di persone che condividono una visione di fondo, onnicomprensiva e unificante. La stima del mondo è la sorgente della cortesia: la percezione del valore di ognuno, a prescindere dalla sua condizione sociale o economica, dalle diverse visioni politiche o religiose, persino dai comportamenti. La letteratura ci racconta di straordinarie cortesie dei nobili verso i servitori e i contadini, che la società di allora collocava su un diverso piano sociale, che riempivano di stupore coloro che le ricevevano: basti ricordare Proust e Hugo Von Hofmanstahl, Cristina Campo (che della cortesia ha fatto l’espressione pratica della massima virtù possibile, cioè dell’attenzione) e Simone Weil. Certo, abbiamo anche notizia di crudeltà inaudite (le racconta, ad esempio, Serena Vitale nel suo La casa di ghiaccio), e persino Proust ci mostra come le maniere raffinate permettessero (e ancora permettano, a ben guardare) di attuare le più raffinate e perverse forme di arroganza e di sopraffazione mettendosi al riparo dietro una forma perfetta: non è dunque il caso di rimpiangere una società oligarchica. Negli anni Sessanta e Settanta, quelli del “parla come mangi”, la cortesia è stata spesso confusa con la menzogna e l’artificio, mentre venivano esaltate e incoraggiate la sincerità sempre e comunque, l’espressione spontanea in ogni situazione, pensate come positiva mancanza di finzione, come garanzia di autenticità nella relazione. Le “buone maniere” sono state condannate come forme di ipocrisia: è bene, forse, fare un po’ di chiarezza in tutto questo, perché la scuola, l’unica “corte” che la maggioranza di noi frequenta, la sola davvero aperta a tutti, non può che avere la più genuina e squisita cortesia come distintivo morale, e non senza ragioni sufficienti; e anche perché una delle nostre lamentele più frequenti riguarda la maleducazione degli studenti (e… dei loro genitori! Quando poi si trattasse di colleghi, ausiliari o dirigenti… beh, lo scoraggiamento ci amareggerebbe oltre misura).

Nel suo Libro degli amici, Hugo von Hofmanstahl racconta un episodio significativo: salendo le scale di un teatro per raggiungere il suo palco, un giovane nobile viene più volte spinto alle spalle da un vecchio; il giovane, esasperato, si gira all’improvviso e gli dà un forte schiaffo. Ricomponendosi, tra le lacrime, il vecchio esclama: “Signor mio, cosa dirà quando saprà che sono cieco?”. Ecco, la cortesia del vecchio, che non umilia chi lo ha così ingiustamente e pubblicamente ferito, non ha nulla a che vedere con la menzogna: egli dice la verità, e la dice tutta. Spiega la propria condizione, sulla quale il giovane, disattento e concentrato sul proprio disagio nel sentirsi più volte urtato alle spalle, non si è minimamente interrogato; afferma la propria dignità salvando la dignità dell’altro, perché nessuno avrebbe colpito un uomo in quel modo se avesse capito che era cieco; scusa in qualche modo l’arroganza, perché la collega non tanto all’ignoranza, quanto alla disattenzione; ipotizza che, tra i due, l’unico a ritrovarsi umiliato sarà il giovane, quando si renderà conto del proprio egoismo, e ne ha compassione; di fronte a coloro che affollavano le scale assieme a lui e al giovane, egli non restituisce l’umiliazione ma salva la dignità di entrambi pur senza rinunciare a un durissimo rimprovero - ben più duro, in realtà, di un insulto ma finalizzato a rendere possibile, fin da subito, una relazione autentica tra lui e chi lo aveva colpito. Il vecchio richiama il giovane all’attenzione: all’uscire da sé, alla disponibilità al mondo. Lo invita a considerare la realtà, e a chiedersi se la sua fretta nel sentirsi offeso e nel vendicarsi all’istante non nascesse da un difetto di giudizio; gli suggerisce che qualche spinta alle spalle non può essere paragonata alla sofferenza di chi fatica, nella folla che preme ovunque, a non cadere sulle scale e a mantenere la direzione del proprio cammino. Soprattutto, gli rimprovera la mancanza di benevolenza: il giovane sente solo il proprio valore, e crede che esso possa crescere solo nell’umiliazione di qualcun altro, ma è proprio questo che gli toglie la dignità - la stessa a cui sembra tenere così tanto da difenderla con la violenza.

Non sappiamo se il giovane si sia scusato, né se abbia offerto al vecchio il proprio braccio per il tragitto che ancora restava da compiere: vediamo all’opera, però, una straordinaria pedagogia. Ciò che caratterizza il vecchio nell’apologo di Hofmanstahl è soprattutto l’ampiezza di orizzonti: la percezione della propria dignità e di quella del giovane si riversa nella rinuncia alla violenza, alla pretesa, alla vendetta, all’insulto, all’umiliazione che avrebbe potuto infliggere pubblicamente a chi lo aveva umiliato davanti a tutti, al rancore, alla recriminazione (per quanto giustificata essa fosse). Ciò che la cortesia del vecchio insegue è una relazione autentica: a questo sacrifica l’orgoglio, perché sa che è l’orgoglio, spesso indistinguibile dalla vanità, il peggior nemico della dignità di tutti.

Preparando il testo pubblicato in apertura del mese di luglio sull’Agenda CISL Scuola, avevamo ricordato che, secondo San Filippo Neri, “le buone maniere sono il principio della santità”, e che, quand’anche non fosse la santità l’obiettivo della nostra vita, le buone maniere sono il segno della dignità riconosciuta a tutti, in primis a se stessi: riserviamo all’altro ciò che riteniamo giusto tanto per lui quanto per noi, perché siamo convinti sinceramente che un essere umano meriti attenzione e delicatezza. È su questo che si gioca la differenza tra il gelo di una cortesia formale da un lato, che a volte serve ad allontanare l’altro e a rimarcare la propria superiorità, e la cortesia propriamente detta dall’altro, nella quale l’altro è messo a proprio agio, facilitato nel dare il meglio di sé dall’accoglienza e dalla benevolenza che gli dimostriamo per primi e che gli confermiamo anche quando non ci sembri pienamente corrisposta. Bisogna essere forti per essere cortesi: tenaci, pazienti, lungimiranti. È questo il punto: la cortesia non è tanto un insieme di modi di agire ma piuttosto l’espressione di una benevolenza che nasce dall’attenzione, cioè da una particolare comprensione del mondo e delle persone.

La scuola è orientata al mondo: vuole farlo scoprire, apprezzare, capire senza pregiudizi né preclusioni; vuole rendere responsabili della realtà, capaci di interagire con tutto e con tutti promuovendo una crescita; vuole rendere attenti e benevolenti, pazienti e consapevoli, determinati e competenti. È orientata alla relazione autentica: nella differenza dei ruoli, delle opinioni, delle lingue e delle culture, la scuola cerca di costruire un legame sereno, rispettoso, aperto, che dia frutti di coesione sociale, di solidarietà, secondo i principi della nostra Costituzione (al cui servizio la scuola è posta per definizione: il suo compito è realizzare quei principi, renderli possibili e concreti qui e ora e poi nel futuro). La pedagogia esige umiltà, apertura, spirito di servizio e di sacrificio, nella concretezza dei gesti e delle parole quotidiani.

La cortesia, dunque, non è né superflua né scontata, e nulla ha a che vedere con “l’ipocrisia borghese” così ferocemente stigmatizzata in passato, anzi: permette relazioni autentiche proprio perché riconosce come principio indiscutibile la verità della natura umana, cioè un valore intrinseco che prescinde da ogni altra considerazione. È per questo che, in un ambiente di lavoro, la cortesia come habitus aiuta se non altro a non esasperare le inevitabili divergenze, a non farle degenerare in conflitti violenti e aspri, cioè irrisolvibili senza l’umiliazione propria o altrui (e anche in questo caso, spesso, solo temporaneamente sedati in attesa di una ripresa più cruenta delle ostilità alla prossima occasione, mentre il rancore scava trincee e prepara campi minati tra noi e i colleghi). Non è scontata: è un impegno quotidiano, spesso difficilissimo - inutile spiegare perché… In una scuola, il clima dovrebbe essere cordiale per definizione: so bene che spesso non è così, anche se molti insegnanti, dirigenti, amministrativi, ausiliari e persino genitori ci mettono davvero tutto l’impegno possibile. Eppure, vale la pena di insistere, a tutti i costi.

C’è un altro motivo per cui vale la pena di promuovere la cortesia come stile di vita e di pensiero nella scuola in cui operiamo: sono gli studenti, cioè la parte più debole dell’insieme. Tutto, attorno a noi, li invita a vivere covando una rabbia sempre pronta allo scoppio, e a sentirsi spesso defraudati e offesi a priori; all’insulto rispondono con un insulto moltiplicato, perché credono che la ragione sia di chi urla di più e che l’attacco sia la miglior difesa; confondono la dignità con l’orgoglio e l’orgoglio con la vanità perché così tende a fare un’intera società. Proporre loro innanzitutto un luogo in cui non c’è necessità di difendersi da nessuno significa aprirli alla possibilità di una visione diversa della vita, nella quale l’attenzione esclude il pregiudizio e la forza si esprime sinceramente nella benevolenza. Spesso, rispondono in modo positivo, al di là di ogni nostra aspettativa: prendono un po’ del colore di chi sta loro accanto, perché sono giovani e più influenzabili di quel che ci verrebbe da credere. È così, prima che in altro modo, che possiamo aiutarli a compiere nel proprio animo qualche piccola rivoluzione: mostrando loro la nostra cortesia reciproca e poi agendo verso di loro con la pazienza lungimirante del vecchio di cui ci narra Hofmannstahl. Non è energia sprecata - non sempre, almeno. È ciò di cui hanno bisogno.

INVITO ALLA LETTURA

a cura di Mario Bertin

Dopo tre notti e giorni di fuoco

Mattinata di luglio d’un sole che folgora la terra, i campi di stoppie, le piante gerbide, le colline di gesso e caolino a ridosso della valletta di contrada Prato. Nel silenzio attonito, in mezzo alla desertica campagna, nel vuoto infinito avanzava lo Sherman sulla strada verso Mazzarino.
Lo sferragliare dei cingoli, lo scoppio del motore, lo stridere di quel possente ammasso di lamiere rintronava nella stretta valle, rimbalzava da una collina all’altra in un’eco infinita ed esaltante. E stormi di corvi si levavano da siepi, da rami di fico, da chiarchiari, come nuvole di malaugurio o temporale.
Da grotte e anfratti di rocce, da cunette, da macchie di rovi che schermavano salibbe, da filari di fichidindia, sbucarono poco a poco i contadini, le donne con i figli al petto e fra le gonne, i vecchi rinsecchiti. Stracciati, terrosi, stupefatti, come i morti che si destano al suono delle trombe.
Guatarono sulla strada quella gran tartuca di ferro, quella cubbula possente, quel bufone meccanico col cannone sulla testa che avanzava lasciando dietro una coda di fumo e polverazzo. Videro le stelle bianche stampate sopra i fianchi e la bandiera floscia in su la cima dell’asta sopra il parafango. Che è e che non è, capirono finalmente che si trattava d’essi, dei Mericani, che dopo tre notti e giorni di fuoco fitto e botti, arrivavano finalmente a liberare.

Vincenzo Consolo, Lo Sherman in Le pietre di Pantalica, Mondadori, Milano 1988, pp. 21-22

Che caldo!

Che caldo, infatti! L’aria vibra attraverso le assicelle di legno. Il naso contro le persiane, Steeny la fiuta, la aspira, la sente scendere in fondo al petto, in quel luogo magico dove echeggiano tutti i terrori e tutte le gioie… Ancora! Ancora! L’aria odora anche di biacca e di mastice, un odore più forte dell’alcool in cui si mescola bizzarramente il soffio sempre un po’ umido dei grandi tigli del viale. Ecco che il sonno lo ha preso a tradimento, con un colpo sulla nuca, assassino, quasi prima ch’egli abbia potuto chiudere gli occhi. La stretta finestra si muove lentamente, vacilla, poi si allunga smisuratamente quasi fosse aspirata dall’alto. L’intera sala la segue, i quattro muri si riempiono di vento, improvvisamente sbattono come vele…

George Bernanos, Il signor Ouine, Mondadori, Milano 1949, pp. 7-8

Vincenzo Consolo (1933-2012) è nato in Sicilia, a Sant’Agata di Militello. Ha passato la maggior parte della sua vita a Milano, ma ha scritto sempre e soltanto di Sicilia in una lingua ricercata e trascinante, ritmica e sonora, arricchita da un raffinatissimo studio filologico che scava nella storia dell’isola, dove si fondono la cultura greca e la cultura araba, la cultura spagnola con quella normanna e sicula. La sua scrittura ha i colori del sole e della pietra, dove ancora oggi si nasce e si trova sepoltura. Chi era Vincenzo Consolo e quale fosse la sua vocazione letteraria, lo indoviniamo da quanto dice in una pagina de Le pietre di Pantalica (1988): “Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all’interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno di noi due sparisca”. Ogni libro di Vincenzo Consolo è impregnato di questa malinconia.

Con Léon Bloy, Paul Claudel, François Mauriac, Charles Péguy e altri, Georges Bernanos (1888-1948) appartiene alla grande stagione di scrittori e intellettuali cattolici francesi della prima metà del Novecento, le cui opere nascono da una grande inquietudine spirituale. Bernanos ebbe una vita molto avventurosa. Dopo un primo periodo molto difficile, lascerà la Francia per stabilirsi alle Baleari, dove vivrà tutte le lacerazioni della guerra civile spagnola. In questo difficile contesto vede la luce il suo capolavoro Diario di un parroco di campagna. Dopo uno sbandamento in cui manifesterà delle simpatie per il franchismo, si schiererà apertamente contro il regime con il suo libro I grandi cimiteri sotto la luna (1939), che avrà un grande eco e conoscerà un grande successo. Dopo Monaco, con l’avvento del nazismo, assieme alla moglie e i suoi sei figli, prende la via del Brasile, da dove collabora con France Libre. E’ in brasile che termina Monsieur Ouine, da cui è tratto il brano che proponiamo. Carlo Bo (traduttore e curatore dell’edizione italiana) definì questo libro come “il libro chiave di Bernanos e uno dei libri più segreti del Novecento”. In effetti, è un libro inquietante, pieno di delitti efferati. Righetto si chiede se non ci sia in esso l’impronta del diavolo. Peraltro il primo libro di Bernanos è Sotto il sole di Satana. E risponde, citando E. Magny: “Sì, il diavolo c’è in tutti i personaggi e ancor più negli abissi che li separano, nell’assenza di comunione che c’è tra loro".

NOTE MUSICALI

a cura di Francesco Ottonello

Boccherini/Berio: Quattro versioni originali della Ritirata notturna di Madrid sovrapposte e trascritte per orchestra

Luigi Boccherini (1743 – 1805) scrisse La musica notturna delle strade di Madrid, nel 1780, con un intento chiaramente descrittivo, ossia quello di illustrare attraverso la musica ciò che si poteva ascoltare di notte per le strade di Madrid dall’Ave Maria fino alla ritirata militare.
Luciano Berio (1925 – 2003) è unanimemente considerato uno dei più importanti compositori del secondo dopoguerra. La sua estetica è improntata, fra l’altro, ad un uso molto ricco di materiale musicale di varia estrazione: la musica colta di differente provenienza, la musica pop, quella leggera e persino quella da cabaret.
Non è dunque strano ricordare come lo stesso Berio si definisse «una volpe che tutto osserva e tutto vuol toccare».
Questo tipo di approccio lo portò, a più riprese e in diverse fasi della propria attività creativa, ad arrangiare, orchestrare, completare, adattare brani di altri compositori: compose un finale alternativo a quello di Franco Alfano per la Turandot di Puccini, orchestrò alcune liriche per voce e pianoforte di Verdi, lavorò sugli abbozzi di una sinfonia di Schubert, parafrasò la sua stessa musica (alcune parti delle Sequenze sono state rielaborate in Chemins).
Fra questi lavori, uno dei più riusciti è senza dubbio quello che si intitola Quattro versioni originali della Ritirata notturna di Madrid, dall’originale boccheriniano di cui sopra. Il pezzo, per grande orchestra, fu scritto nel 1975 su commissione della Scala di Milano e le migliori parole per descriverlo sono quello dello stesso Berio: «Le variazioni sul tema dalla Ritirata notturna di Madrid sono numerose nell’opera di Boccherini. Si tratta evidentemente di un pezzo che godeva di grande favore presso il pubblico, e il compositore lo ha trascritto parecchie volte per diverse formazioni da camera: due versioni per quintetto d’archi, una per quintetto con pianoforte, un’altra con chitarra, ecc. Ogni volta il testo presenta piccole varianti. Ho scelto quattro di queste versioni, le ho sovrapposte e, come dice il titolo, le ho trascritte per orchestra. L’unica parte aggiunta di sana pianta è quella della percussione, che tuttavia è derivata dagli originali…».

LA SCUOLA C'È. LA SCUOLA È...

I volti e i luoghi delle scuole italiane animano il calendario che la CISL Scuola ha prodotto per il 2019. Per ognuno dei dodici mesi dell'anno, un breve film racconta la presenza della scuola in ogni angolo del Paese; ambienti, età, situazioni diverse compongono un caleidoscopio vivente nel quale si moltiplicano immagini che ci restituiscono la varietà e la bellezza di ciò che la scuola riesce ad essere, ogni giorno, per tutti e dovunque.
Per ogni mese del calendario uno specifico "codice a barre" del tipo QR code dà accesso, per chi lo inquadra col suo smartphone, alla pagina web che ospita il breve film realizzato per noi da Giovanni Panozzo. Un giro d'Italia per dirci ogni volta, in luoghi diversi, che la scuola c'è, e ciò che riesce ad essere grazie alla straordinaria energia che la muove.

Il film del mese di luglio

"Una nuova economia, una nuova giustizia"

In un contesto a dir poco problematico, la scuola come avamposto per la promozione di un ambiente pulito e sano si fa presidio di legalità anche attraverso le parole di ragazzi che sognano per sé un futuro migliore di cui si propongono come protagonisti. Il film del mese di luglio ci porta a Casal di Principe (CE), interpreti gli alunni dell'ITC Guido Carli.

GLI AQUILONI

Aquilone di luglio

Da tempo si era ritirato
in fondo all'atelier
il luogo degli attrezzi
della Magnifica Comunità
diceva di non voler più volare
troppo vecchio e rattoppato
azzoppito da pregressi
incidenti di volo

Ma fu il vento
bizzarro di luglio
a fargli cambiare idea
vento forte e teso
vento strapazzone
che spingeva i pòllini in alto
e spazzava il cielo
proprio come nei giorni
della sua giovinezza

Non seppe resistere al richiamo
si lanciò fuori alla bell'e meglio
s'accorse che ce la faceva
a veleggiare sul prato-bosco
poteva raccogliere la sfida
delle raffiche improvvise
e delle calme insidiose

Ora giocava col vento
e sorrideva come un mite
combattente dell'aria
era ancora l'aquilone
del mese di luglio

Giovanni Gasparini

(da Cento aquiloni: un poemetto,
Libri Scheiwiller, 2005)

UNA FILASTROCCA

Luglio


Luglio, davvero: sei un gioielliere!
Offri alle gente le gemme più vere:
l’aria è diamante, la notte turchese,
l’erba è smeraldo, ma senza pretese;

d’oro le spighe, la luna d’argento,
rosso rubino se il sole è contento
proprio sull’alba o dopo il tramonto –
nuvole rosse senza confronto!

Lorenzo Gobbi

NEI GIORNI DI SCUOLA

Giornate e ricorrenze particolari

11 Luglio - Giornata Mondiale della Popolazione 

La Giornata mondiale della popolazione è stata istituita nel 1989 dal Consiglio direttivo del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, in seguito al grande interesse suscitato dalla "Giornata dei cinque miliardi" celebrata l'11 luglio 1987. Con la risoluzione 45/216 del dicembre 1990, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha deciso di mantenere la Giornata mondiale della popolazione al fine di sensibilizzare i cittadini sulle questioni relative alla popolazione, ivi compresa la loro relazione con l'ambiente e lo sviluppo.
Nel 2019, l'attenzione si concentrerà sulle questioni rimaste irrisolte alla Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo del 1994. Sono trascorsi 25 anni da questa storica conferenza, in cui 179 governi hanno adottato un programma d’azione rivoluzionario chiedendo che i diritti delle donne e della loro salute riproduttiva fossero un tema centrale negli sforzi nazionali e internazionali per lo sviluppo economico e politico.

30 Luglio - Giornata Mondiale contro la tratta di esseri umani

La tratta di esseri umani è lo sfruttamento criminale di donne, uomini e bambini per vari scopi, tra cui il lavoro forzato e lo sfruttamento sessuale. L'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) stima che circa 21 milioni di persone siano vittime di lavori forzati in tutto il mondo. Questo include anche persone che sono sfruttate professionalmente o sessualmente. Anche se il numero esatto di vittime non è noto, il numero di persone vendute a scopo di lucro nel mondo è attualmente stimato in diversi milioni. Tutti gli Stati sono colpiti dalla tratta di esseri umani, sia come paese di origine, transito o destinazione delle vittime. (Giornata Mondiale contro la tratta di esseri umani)

30 Luglio - Giornata Internazionale dell'Amicizia

Di fronte alle principali questioni globali come la povertà, la violenza o le violazioni dei diritti umani, e affrontando le crisi, è necessario rilevarne le cause più profonde, incoraggiando e promuovendo uno spirito comune di solidarietà umana. A livello globale, questo atteggiamento può assumere molte forme, dall'assistenza internazionale alla mobilitazione politica. A livello individuale, prende la forma semplice ed eterna dell'amicizia. Le spinte alla divisione, che tendono a minare la pace, la sicurezza e l'armonia sociale, nulla possono contro l'atto semplice ma potente di raggiungere chi ci circonda, e ancora più chi patisce esclusione o emarginazione. Solidi legami di fiducia possono creare una rete di sicurezza che ci protegge tutti (Giornata Internazionale dell'Amicizia)