dicembre 2018

In questa pagina:
l'immagine del mese; il quarto mese; la parola del mese (Ascolto); invito alla lettura; suggestioni dell'immagine del mese; note musicali; aquiloni, una poesia e una filastrocca; giornate e ricorrenze particolari (anche per la didattica).
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L'ILLUSTRAZIONE

Eccolo, il lupo malvagio.

Voi avete Romolo e Remo – noi abbiamo solo il cappuccetto rosso che viene mangiato dal lupo.

Il lupo come seduttore, avido ma non abbastanza intelligente per salvarsi.

Un animale della notte e della luna.
E della paura.

Da qualche tempo è tornato nelle nostre foreste.
Protetto e (di nuovo) maledetto.

Possiamo fare pace un giorno? 

 

Eva Kaiser

Il quarto mese

Dal buio al primo giorno

di Leonarda Tola

L’ultimo mese dell'anno è “Dicembre” dei “Tristi venti” che fuggono dal mare in una poesia di Diego Valeri: ombre invisibili che nella notte si insinuano tra le case della città deserta e gelida, urtano contro le porte chiuse e, respinte, si attardano sui rami morti degli alberi piovosi. Sono i giorni dell’anno che andrebbe ad estinguersi in un fiume di tenebre se all’imperare del buio non si opponesse il desiderio della luce che vince la paura atavica del non ritorno del sole nel suo giro. La festa di Santa Lucia, il 13 del mese, con la corona di sette candele portata dalle vergini del Nord in vesti candide, è invocazione, nell’anno che muore, perché il sole ritrovi il cammino del suo eterno ritorno.
Estinzione e rinascita, la fine che è principio di un altro anno è nel nome stesso: annus contiene il significato di ciclicità, anello che è cerchio nel quale il movimento si dà senza soluzione di continuità. Circum, intorno al sole e sotto il suo dominio è anche il 25 dicembre, solstizio d’inverno, la nascita del Sole Invitto, divinità solare e culto nella Roma imperiale. Su queste radici, in mancanza di notizie certe sulla data in cui Gesù è nato, il 25 dicembre diventa il dies natalis di Colui che è Sole di giustizia, il Natale cristiano, preparato nel Calendario liturgico dall’Avvento, attesa della venuta dell’Emmanuele.

“Immagina che per la prima volta, di là dal buio/
di uno spazio infinito, Dio ravvisi se stesso nel Figlio/
fatto Uomo: un senzatetto in un altro negletto”
.
(Iosif Brodskij, “24 dicembre 1971”).

Se guardiamo il cielo, la Stella c’è. 

Proverbi

A Natale, freddo cordiale

Sotto la neve pane sotto l'acqua fame

Se metti un ceppoi nel camino, Natale è vicino

Santa Bibiana, scarpe di ferro e calze di lana
(2 dicembre)

Per San Crispino, la neve sullo spino
(5 dicembre)

Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia
(13 dicembre)

Natale ‘n passo de maiale, Pasquella (Epifania) ‘n passo de vidella, Sant’Antò ‘n passo de bò

Dicembre gelato non va disprezzato

Dicembre imbacuccato, raccolto assicurato

Anno nevoso, anno fruttuoso

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LA PAROLA DEL MESE

ASCOLTO

di Ivo Lizzola

Chinarci di nuovo sulla vita: esposti e in attesa. Riformulando le parole ed i pensieri a partire dallo “sguardo di ritorno” che le cose e le persone ci rivolgono, come una loro offerta.
Chi porta questo ascolto ha nei confronti della realtà, dell’altro, lo stesso atteggiamento che si ha nei confronti di ciò che giunge donato e offerto. Lo si potrebbe dire un ascolto che origina dal rispetto amoroso delle cose e delle persone. Ascolto che rende capaci di farci raggiungere da quelle zone della vita che “restano rincantucciate perché sottomesse da sempre o perché nascenti”, improvvisi chiari del bosco dice Marìa Zambrano.
Allora ascoltare è cogliere, forse meglio essere colti, accolti e ospitati mentre ci chiniamo, con cura e con intelligenza attenta, sulla vita che nasce, sul crescere dei piccoli, sull’incertezza dei grandi, sulle fatiche di molti, sulla fragilità di tutti. Sui corpi, sui legami, sulla vita comune: là dove gemono, dove resistono e dove nascono.
Ascoltare per tornare a nascere, ancora, in fedeltà nuove e antiche. Ascoltare e farci cogliere – da dentro gli incontri ed i giorni – da un po’ di verità e senso, in un tempo nel quale la fragilità e la fatica della speranza paiono lasciarci tra caso e necessità. Esposti, vulnerabili, e nel timore d’esserlo.
Certo, possiamo ascoltare senza esporci, evitando di incontrare la nostra vulnerabilità. Ascoltiamo, allora, ciò che cerchiamo, ciò che vogliamo trovare, ciò che ci serve: per costruire una diagnosi, per impostare un piano didattico, per una analisi e un progetto di intervento. Svolgiamo indagini, cogliamo indizi, ascoltiamo confessioni. Ascoltiamo per controllare, per rispondere, tenendoci a distanza, protetti dentro i nostri saperi esperti ed i nostri esercizi di ruolo. Ascoltiamo isolando, frammentando, riducendo, scegliendo, applicando competenze raffinate, ottuse e sorde.
Mentre i ragazzi a scuola portano corpi e vite intere e frammentate, storie cognitive e affettive diverse, ricche e complesse, domande ed attese per nulla scontate. Che chiedono ascolto. Mentre i pazienti si trovano su soglie o su fratture esistenziali, dentro timori d’abbandono e necessità di ricapitolazioni. In attesa d’ascolto. Mentre i lavoratori ai recapiti portano le loro storie di lavoro incerto ed evanescente, le fatiche familiari, le tensioni ed i compiti di cura che appesantiscono i giorni. Che vorrebbero ascoltate.
L’ascolto si va riaprendo in molti contesti e dentro molte relazioni, tra donne e uomini vulnerabili, a condizione d’una certa capacità di povertà. Ascoltare è, allora, vertigine e dramma della diversità e della esposizione, del lasciarsi leggere e visitare da quel che si è, ed in quel che si ha da offrire. È incontrarsi con le proprie domande, con i propri desideri di verità e con le proprie parti inascoltate. Ascoltare è ascoltarsi, e lasciarsi ascoltare. Ascolto e accoglienza, ospitalità accadono insieme.
Nell’ascolto due esposizioni si incontrano e si ospitano. L’ascolto, in fine, è sola (e povera) presenza, è sola (e povera) accoglienza. Allora saprò restare nella relazione educativa con te, cercando di sentire il tuo desiderio di vita, coltivando orientamenti e competenze per la vita, e per un tempo non mio, a venire. Perché tu ti conosca e riconosca consegne di memorie e linguaggi, per dare inizio a cose nuove, per trovare il tuo cammino. Imparerò a stare con te nella cura, vicino con le mie capacità e le mie tecniche, prossimo nei ritmi delle relazioni e dei dialoghi che rendono abitabile il tempo della debolezza. A volte anche aperto al desiderio. Cercherò di stare con impegno e intelligenza vicino a te che hai perso lavoro, o non lo trovi che ai margini, perdendo dignità, e proverò a costruire tutela, legami, progetti che ascoltino il bisogno di vita degna, e di futuro. Rappresentando reciprocità responsabili e legami solidali sul lavoro e nelle comunità.
Resterò in ascolto, esposto con il mio limite, chinato di nuovo sulla vita che mi si fa incontro. In ascolto di ciò che nasce e di ciò che geme. Provando una presenza come veglia e come ospitalità. In essa occorre non solo fare silenzio ma anche lasciare “disfare” il nostro cercare, il nostro sguardo, la nostra conoscenza che costruisce e prende la realtà. Sospendendo le parole che definiscono e rappresentano la realtà. L’ascolto di donne e uomini fragili e capaci, in reciprocità asimmetriche, avviene nel ritrovamento di parole “aurorali”, che appaiono all’origine dell’incontro.
Scrive Zambrano che “la vita ha bisogno della parola, della parola che sia il suo specchio, che la rischiari, che la potenzi, che la innalzi e, al tempo stesso (ove necessario, portandola in giudizio), che dichiari il suo fallimento”. La parola è itinerante, esiliata. Può entrare dove i saperi ed i poteri non entrano: entra nella notte della prova, nello sperdimento; e nella semplicità, nell’amicizia. Parola in ascolto, che sta nell’attesa della prossimità e del senso.
La parola è decentrante, è amante, è legata alla misteriosità feconda del silenzio, cerca l’innocenza, ha pudore, e nostalgia. È parola che scende, che di nuovo si piega, si curva sulla vita, sulle storie di donne e di uomini; non argomenta, non prova a spiegare, a dimostrare. È parola che con pietas straordinaria entra nelle pieghe dell’ordinario quotidiano e svela ciò che può essere luce, ciò che rende leggibile l’esperienza umana, anche la più contaminata. Una parola capace di reggere l’esposizione sul nulla, e di lottare, mite e fragile, contro l’abbandono, contro la distanza e l’estraneità tra le persone e le generazioni. Contro la privatizzazione della debolezza, specie quella insuperabile.
Marìa Zambrano in alcuni suoi scritti parla di un ascolto e di una parola che si possono dare, come generativi, solo dall’esilio. Da dentro uno smarrimento ed una distanza, incontrandoci stranieri, o in esodo. Nel XII secolo Ugo da San Vittore scriveva: “l’uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante; colui per il quale ogni terra è come la propria è già uomo forte; ma solo perfetto è colui per il quale tutto il mondo non è che un paese straniero”. La citazione è ripresa dall’esule bulgaro Tzvetan Todorov che vive in Francia, che l’ha presa dal palestinese Edward Said che lavora negli USA, che l’aveva trovata in Erich Auerbach, tedesco esule in Turchia. Nel paese straniero parola e ascolto paiono perduti: devono tornare a nascere.
L’ascolto e l’accoglienza sono costretti a darsi nuovi e di nuovo, costruzione di un inedito rapporto con la propria vulnerabilità. Donne e uomini fragili eppure capaci, e responsabili, si ritrovano nei luoghi della libertà, dell’offerta, della promessa. In una “età senza casa”, come direbbe Martin Buber, nella quale prevalgono l’incertezza e l’ansia, il cammino e la ricerca, il disorientamento e il rancore, le differenze e gli arcipelaghi di senso. Nelle età senza casa si vive la consumazione di un tempo, la vertigine dell’aperto, il legame ad una promessa. Come nell’esodo: tempo grande e terribile, fecondo e difficile.
Ascoltare abilita a stare nell’esodo, ad accogliere senso e cammino del nostro tempo, nel nostro tempo di vita. Coltivando stili e orientamenti per una vita buona, alla quale aprirci e coeducarci. Competenze per vivere da donne e uomini in ascolto, donne e uomini giusti nell’esodo. Proviamo ad elencarne alcune.
Saper “trafficare” con la propria vulnerabilità, accogliendola, ripensandola come condizione per il progetto e per il legame, con altri e per altri.
Non oscillare tra libertà immaginaria e abbassamento dell’orizzonte delle attese, tenendo il sogno dentro la realtà, a occhi aperti, e leggendo il sogno e le attese della realtà.
Riorganizzare le condizioni di vincolo e di possibilità nella vita personale e nella convivenza, usando un pensiero strategico con equilibrio affettivo e tenuta psicologica.
Farsi testimoni del proprio cambiamento, ricomprendendo svolte e momenti nascenti del proprio cammino, cogliendone forze di legame e condizioni di libertà.
Curare relazioni, alleanze, organizzazione per stare nel viaggio, per camminare insieme, per non perdere l’orientamento.
Vivere salti di piano, ridislocarsi nel tempo e nello spazio, acquisendo la percezione di un sé che cambia in relazione al contesto che viene trasformato e che si trasforma, specialmente là dove si prova a vivere, dove si resiste, dove si inizia di nuovo.
Lavorare riflessivamente su di sé, sul proprio sentire, sui vissuti e sulle emozioni per sapere cosa farsene, per dare buona destinazione alle energie interiori, per saperne fare buon impiego nell’incontro e nell’azione con altri.
Mettersi in sicurezza reciproca, vegliare gli uni sugli altri, responsabili e affidabili, capaci di fidarsi e di esporsi; tessendo reciprocità, mantenendo la parola.
Curare la dimensione simbolica oltre che progettuale, la visione ed il segno che è nei gesti e nelle scelte, anche di gruppo; cogliendo i rinvii e le consegne, i lasciti ricevuti e quelli su cui impegnare i più giovani.
Coltivare la sensibilità per le attese delle donne e degli uomini, delle cose stesse, l’annuncio che serbano nel profondo; sentire il loro “sguardo di ritorno”.

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INVITO ALLA LETTURA

a cura di Mario Bertin

Il liocorno

Il Liocorno è una magnifica metafora del mistero dell’Incarnazione: un angelo annuncia a una ragazza assai giovane che sta per concepire un figlio quando invece è vergine, e di colpo il messaggero allontana la paura che una tale notizia può provocare: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio”, le dice. E Maria acconsente, ricava spazio dentro di sé, nella sua anima e nel suo ventre, per ospitare il Bambino che non esiste, che lei non stava ospitando, che non poteva nemmeno ancora desiderare nel suo stato di vergine – ma che subito lei ha amato.

L’angelo viene anche a scacciare il dubbio e la vergogna che si sono insinuati in Giuseppe: “Non temere di prendere con te Maria…”, gli mormora in sogno. E alleggerito della sua paura, della sua pena, Giuseppe acconsente a sua volta e anche lui scava spazio nel suo cuore per accogliere il Bambino estraneo, così insolito.

In quel duplice spazio chiaro e dispiegato, il Bambino si è sviluppato, Il Verbo è maturato carnalmente, anzitutto nutrito dalla possibilità di essere che i suoi genitori terreni, sapendo barattare il panico e il dubbio con la pace della fiducia e dell’amore, gli hanno offerto.

Ecco il Bambino “che non c’era”, che nessuno immaginava, e che era da tempo immemorabile. Il Bambino dal corpo d’alba nella culla della notte, l’In-fans che non parla ancora e irradia silenzio. Un silenzio in cui già mormora il canto del mondo, in cui canta sommessamente la Voce del Verbo.

Il Bambino che abbacina il linguaggio e fa camminare le parole simili a re magi.

Sylvie Germain, Portare il peso del tempo, Città Aperta Edizioni, Troina (EN) 2005, p. 13

Sylvie Germain, (1958), allieva di Emmanuel Lévinas, ha lavorato dapprima al Ministero della Cultura francese e poi, come docente di filosofia, alla Scuola francese di Praga. Rientrata in Francia, si dedica ora esclusivamente alla scrittura. Il suo primo libro, Il libro delle notti, pubblicato in Italia da Rizzoli, ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Jours de colère ha ricevuto il prestigioso Prix Fémina.
Portare il peso del tempo è una raccolta di brevi testi molto intensi ispirati alle festività religiose che scandiscono i giorni dell’anno. È un invito a imparare a leggerne i significati segreti. Non si finisce mai di imparare a leggere – afferma l’autrice in apertura al libro – perché “tutto è libro, il mondo intero è una biblioteca vivente: una biblioteca a cielo aperto piena di libri tanto diversi quanto insoliti, scritti in una varietà di linguaggi, che offrono racconti incompiuti, sempre in movimento e in trasformazione. La terra, gli oceani, il cielo, le montagne, i corsi d’acqua, le foreste, i deserti, il vento sono altrettanti grandi testi in cui bisbigliano voci, sogni, odori e colori, significati e domande. Altrettante parole in cui mormora il canto del mondo”.

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SUGGESTIONI A PROPOSITO DELL'ILLUSTRAZIONE DEL MESE

Il lupo e l'abete

Un animale favoloso

Non si può che partire da questa definizione per parlare del lupo. La prendiamo da un recente, magnifico libro di Riccardo Rao, intitolato Il tempo dei lupi dal sottotitolo: Storia e luoghi di un animale favoloso. Favoloso, già l’espressione latina Lupus in fabula lo spiega: il lupo è il personaggio principale di molte favole, basta andare dal Lupus et agnus di Esopo al Cappuccetto Rosso su cui Rao opera una “archeologia della fiaba” che parte da un racconto di Egberto di Liegi scritto intorno al 1020, passa attraverso la versione scritta da Perrault nel 1697 o a quella successiva dei fratelli Grimm, per arrivare alla lettura in chiave freudiana di Bruno Bettelheim, e individuare così, attraverso le tante varianti, le raffigurazioni, il senso e le “morali” assegnate ai lupi e ai boschi.
Lupus in fabula, alla lettera, significa Il lupo nel discorso e, secondo una diversa interpretazione, viene dalla credenza degli antichi romani, per i quali l'essere visti dal lupo, portava alla perdita della parola. Il supporto a questa interpretazione viene anche dalla frase di Cicerone: de Varrone loquebamur: lupus in fabula venit enim ad me, a indicare che al sopraggiungere di una persona di cui si sta parlando (in questo caso Varrone) si tronca il discorso, come se, appunto, apparisse il lupo.
Ma ritorniamo al testo di Riccardo Rao. “Quella del lupo - ci dice- è una triplice storia. Innanzitutto una storia ecologica, poiché il lupo ha una funzione centrale negli ecosistemi boschivi. E poi una storia culturale. Poiché gli uomini hanno creato un immaginario del lupo che con l’animale in sé ha poco a che vedere. Ma è anche una storia sociale, che si sviluppa nelle relazioni fra l’uomo e l’ambiente”.

L'albero di Natale, altre piante e il fuoco

L’albero di natale ha origine in tempi e culti lontani. Fin dall’antichità, nella tradizione egizia, l’abete era considerato l’albero della Nascita. In Grecia era dedicato ad Artemide divinità collegata alla Luna e protettrice delle nascite. Nella cultura celtica l’abete era elemento centrale delle feste del solstizio invernale (un equivalente dei saturnali romani). L’albero, tagliato nel bosco, veniva portato dentro casa addobbato con ghirlande, dolci e uova colorate e; così nel calendario dei Paesi del Nord, l’abete fu unito alla nascita del Fanciullo divino. Questa tradizione, nei paesi del Sud, si sviluppò solo a partire dal 1840, introdotto dalla principessa Elena di Mecklenburg, sposa del duca di Orléans. Entrò così, diffusamente, nella tradizione moderna, ricollegandosi a un significato religioso che aveva anche nel medioevo come figura del “Cristo, albero della vita”.
Al Natale sono collegate e consacrate anche altre piante. Il vischio è simbolo di rigenerazione e viene usato come dono beneaugurante, riprendendo un’altra tradizione celtica. Anche l’agrifoglio, come il ginepro è pianta natalizia e portafortuna con le sue bacche rosse che rimandano al sole-bambino, luce che riprende il sopravvento nell’aurora che è la festa del Natale.
Altra diffusa tradizione in tutta Italia era il Ceppo Natalizio. Riportiamo come ne parla Pietro Fanfani riferendo una nota di folclore della Val di Chiana. In famiglia, la vigilia di Natale ci si riuniva intorno al fuoco di un ciocco di quercia recitando questa preghiera: “Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane; ogni grazia di Dio entri in questa casa; le donne facciano figliuoli, le capre capretti, le pecore agnelletti, abbondi il grano e la farina, e si riempia la conca di vino”.

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NOTE MUSICALI

a cura di Francesco Ottonello

Arcangelo Corelli (1653-1713): Concerto di Natale op. 68

Il Barocco strumentale italiano è importante a livello storico, tanto per la sua varietà e ricchezza espressiva quanto, a livello squisitamente teorico, per la definizione dei parametri strutturali delle forme musicali che vennero di fatto codificate dai compositori attivi in quel periodo.
Fra costoro Arcangelo Corelli riveste un ruolo primario poiché, con la propria attività compositiva, contribuì in maniera determinante a sviluppare la musica strumentale della sua epoca, fornendo nuova linfa al genere della Sonata e a quello del Concerto.
Caratteristica precipua del concerto Barocco è un costante gioco di alternanza fra momenti affidati a un gruppo nutrito di strumenti (denominato: Concerto grosso, Ripieno, Tutti) e momenti in cui si contrappongono parti assegnate a un gruppo ristretto di strumenti (Concertino) o un solo esecutore (Solo). Nel primo caso si parla di Concerto Grosso, nel secondo caso di Concerto solistico. È da questa seconda formula che deriveranno successivamente i concerti solistici divenuti così celebri nella storia della musica occidentale.
Al genere del Concerto Grosso afferisce una composizione corelliana che è l’ottava di una raccolta di dodici concerti grossi e che reca il sottotiolo: Fatto per la notte di Natale.
Si tratta di una composizione molto celebre, che colpisce per la cura della scrittura strumentale, la garbata dosatura dei timbri e della dinamica nell’alternanza fra Tutti e Concertino nonché la vivacità del loro dialogo.
Musica non solenne, ma al contrario semplice e sapientemente calibrata; l’elemento che maggiormente richiama idealmente al clima natalizio è l’ultimo movimento (addirittura considerato Ad libitum): una Pastorale che con la propria melodia cantilenante e sinuosa evoca il canto e l’atmosfera dei pastori, in procinto di riunirsi curiosi attorno alla mangiatoia di Betlemme.

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GLI AQUILONI

Aquilone di dicembre

Volare d'inverno... pas facile!
occorrono strutture robuste
riflessi pronti
e provata esperienza

L'aquilone di dicembre
era stato educato in Francia
e ora mentre si librava
sulla città opulenta
notava segni
di mutamento inquietanti

Identiche le luminarie
e le folle sgomitanti
nei negozi e per le vie
ma diversi gli occhi dei passanti
— più vuoti e interroganti —
e incerto il procedere febbrile
da un punto all'altro punto
del territorio metropolitano
come di chi non abbia più mappe
e paventi cattive sorprese
ad ogni angolo di strada

L'aquilone voleva essere
malgré tout un latore
di buone notizie per quella gente
ma loro non avevano tempo
di guardare su verso l'alto
non sapevano più nulla
d'angeli e d'aquiloni
non credevano
che potessero ancora
accadere miracoli

si erano dimenticati
di Natale

Giovanni Gasparini

(da Cento aquiloni: un poemetto,
Libri Scheiwiller, 2005)

UNA FILASTROCCA

Dicembre

Tutti lo aspettano al varco dell’anno,
tutti lo adorano, ma… come fanno?
Guarda i negozi, le piazze, le strade,
guarda la gente, come le invade!

Poco alla volta, con passo di gatto,
luci che insieme si accendon di scatto,
pacchi che vengono in fila per tre,
sms che cercano te…

Firma i biglietti, ricambia gli auguri,
fanne provvista per gli anni futuri!
Dona qualcosa, a chi lo sai tu:
donalo adesso – ora o mai più!

Lorenzo Gobbi

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NEI GIORNI DI SCUOLA

Giornate e ricorrenze particolari
(anche per la didattica)

Per le scuole, Dicembre, con l'avvicinarsi del Natale e delle altre festività di fine anno, oltre che per gli altri impegni normali, è un mese intenso di attività e di compiti. Tuttavia può essere opportuno ricordare la celebrazione di alcune giornate mondiali.

2 dicembre - Giornata Internazionale per l’Abolizione della Schiavitù (UNESCO)

Per ricordare il 2 dicembre 1949, data di approvazione da parte dell'Assemblea generale della Convenzione delle Nazioni Unite per la repressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione altrui che è stata approvata dall'Assemblea generale il 2 dicembre 1949, è entrata in vigore il 21 marzo 1950, e l'Italia l'ha recepita ai sensi della L. 23.11.1966, n. 1173, pubblicata nella G.U. del 7.1.1967 n. 5.

3 Dicembre - Giornata internazionale delle persone con disabilità

La Giornata internazionale delle persone con disabilità è stata proclamata nel 1981 con lo scopo di promuovere i diritti e il benessere dei disabili. Dopo decenni di lavoro delle Nazioni Unite, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata nel 2006, ha ulteriormente promosso i diritti e il benessere delle persone con disabilità, ribadendo il principio di uguaglianza e la necessità di garantire loro la piena ed effettiva partecipazione alla sfera politica, sociale, economica e culturale della società.

9 dicembre - Giornata Internazionale contro la Corruzione

La giornata ha lo scopo di sensibilizzare le persone sul grave problema globale della corruzione e sul ruolo che la Convenzione ONU contro la Corruzione, adottata nel 2003, può avere nel combatterla e prevenirla.

10 dicembre - Giornata Internazionale per i Diritti Umani

La data è stata scelta per ricordare la proclamazione da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite della dichiarazione universale dei diritti umani, il 10 dicembre 1948.

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