16.03.2020 - Festa e settimana in tempi di virus

16.03.2020 12:31
Categoria: SEF PLUS 2020

Gianni Gasparini, autore di numerosi interventi per la nostra rivista Scuola e Formazione e per gli Approfondimenti mensili dell'Agenda CISL Scuola, ci propone questa sua riflessione dopo la domenica del 15 marzo, la prima in cui tutta Italia si è vista costretta a richiudersi in casa per contrastare la diffusione del contagio da virus Covid-19. "Un pensiero sulla festa e sulla settimana", come lo definisce l'Autore, in una situazione anomala che "ci fa comprendere l’esigenza di ritrovare la benefica alternanza tra i diversi giorni" che scandiscono il nostro tempo di vita nella sua consueta ciclicità.

Mi sveglio, accendo il pulsante “speranza” lasciato in stand-by ieri sera, mi alzo. È domenica.
Cerco di lasciare in un angolo – un angolo qualunque, se lo trovo – gli scenari personali negativi legati al contagio e ai suoi esiti per me, mia moglie, i miei cari.
Sono pronto per scrivere qualcosa di sensato, se ci riesco: qualcosa che vada bene per altri che lo possano leggere. Intanto, però, esco un momento a prendere il giornale come è consentito: sulla strada quasi deserta, dove passa un lungo tram completamente privo di passeggeri, una signora con il bastone mi chiede se c’è la messa (sospesa da tre settimane) e un asiatico con dei pacchetti sottobraccio mi sollecita sorridente indicazioni su un mercatino dei paraggi, dove la domenica si incontravano tanti a comprare e vendere merce usata.
Eccomi dunque. Vorrei scrivere una riflessione sulla settimana e sulla festa. Ma prima che ci riesca mi coglie un pensiero. Che cosa avranno provato nel 1940 i miei futuri genitori e milioni di italiani sentendo alla radio la dichiarazione di guerra di Mussolini da Palazzo Venezia? E che cosa avranno fatto in quei primi giorni? E mi immagino, qualche anno prima, come gli ebrei si saranno sentiti girando per le strade a Roma, o a Parigi, subito dopo le leggi razziali. O i cittadini della Jugoslavia dopo lo scoppio della guerra civile, in questo dopoguerra. Sto cercando di riflettere su come avranno reagito le persone comuni di fronte a cose incredibili ed estremamente sgradevoli e gravi.
Quello che sta accadendo con il contagio del virus, in pochissime settimane, è nell’ordine dell’incredibile, per noi uomini e donne del XXI secolo. Specialmente in Italia, il paese più colpito in Europa. Uno guarda fuori dalla finestra, si affaccia dal balcone, vede la città deserta e si chiede: “Sto sognando?”. Ma è solo un attimo: il pensiero consolante e inerziale del sogno si dissolve come un’illusione, cacciato dall’evidenza di tutti gli indicatori e sensori disponibili, oltre che dal diluvio di informazioni in arrivo dai canali più diversi. Questa parvenza di sogno che stiamo vivendo individualmente e persino – cosa ancora più stupefacente – collettivamente non è illusoria: è qualcosa di vero, reale, da accettare e con cui faire avec, “fare” e vivere.
Eccomi allora ad abbozzare un pensiero sulla festa e sulla settimana. Veramente, c’è ancora una cosa che mi urge da dire prima di parlarne: ed è l’osservazione del tempo naturale, cosmico, quello per intenderci delle stagioni, dei mesi, dei giorni, con il clima che varia continuamente e che ora pensiamo di conoscere in anticipo con le previsioni meteo. Ecco: sarò ingenuo, ma mi colpisce la sovrana indifferenza di questo tempo cosmico nei confronti dei nostri tempi, delle nostre preoccupazioni collettive, della nostra storia di questi anni e ora di questi giorni così totalmente incerti. Guardo fuori dalla finestra. Poco fa il cielo era ingombro di nuvole grigie, ora il sole splende e sembra coronare (mi si passi il termine) lo splendore della primavera, la bellezza delle fioriture nel giardino qui davanti: forsythia, calicanto, magnolia liliflora con i grandi fiori bianchi e rosa che si aprono generosamente… e persino il dispiegarsi di primule e gerani sui terrazzi delle case.
Il tempo cosmico esprime con evidenza una ciclicità, un ritmo che ritorna visibilmente ogni giorno ma anche ad ogni diversa stagione, sulla base dell’anno. E noi? Noi abbiamo creato, già in società arcaiche, calendari per distinguere la qualità dei diversi giorni, quelli di festa essenzialmente, e tra l’altro le coincidenze con equinozi e solstizi in cui dar vita a rituali religiosi collettivi. Soprattutto, quello che contraddistingue le nostre elaborazioni nel campo dei tempi sociali è, negli ultimi millenni, la creazione della settimana: un arco di tempo più lungo del giorno (che impone all’uomo con l’alternanza luce/tenebra un ritmo biologico di veglia/riposo) e molto più breve dell’anno, un ritmo di solito basato su sette giorni, tra i quali uno in posizione distinta, centrale, rispetto agli altri simili tra loro. È la settimana degli ebrei, esemplata sulla creazione del mondo in sei giorni più uno (quello del riposo di Dio, che diventa lo shabbàt); è la settimana dei cristiani, i quali da quasi duemila anni celebrano la domenica, il “giorno del Signore” che segue il sabato; è anche la settimana degli islamici, che ha al centro il venerdì con la preghiera in moschea.
Questo ritmo settimanale, che non ha un riscontro nel tempo cosmico (salvo un debole riferimento iniziale rispetto alle quattro fasi lunari), è diventato una cadenza socioculturale di enorme importanza. E inevitabilmente la settimana implica la festa, religiosa o civile, ma una festa che implichi in linea di massima una astensione dal lavoro solito e comunque il vissuto di un tempo diverso dagli altri giorni. Noi non soltanto abbiamo bisogno della festa su base settimanale e di alcune feste su base annuale (sia che siamo laici o credenti delle diverse religioni), ma da secoli oramai “pensiamo” in termini di giorni della settimana. Un sabato, ad esempio, è ben diverso non solo dalla domenica ma anche da un lunedì (e lo sapeva già Giacomo Leopardi due secoli fa, con il suo Sabato del villaggio). Nei campi più diversi, dalla scuola all’università, dal lavoro al tempo libero nelle sue molteplici espressioni, così come in innumerevoli altri ambiti sociali, noi siamo abituati a contrassegnare i nostri impegni, programmi, attività, incontri e riposi o rilassamenti in funzione di giorni specifici della settimana. E sentiamo, viviamo anche l’esigenza di una festa come rito collettivo, religioso o laico, che torni con una scansione prevista: la settimana, appunto, o talvolta l’anno solare.
Per concludere, stiamo vivendo collettivamente un tempo eccezionale, in cui i giorni si susseguono apparentemente senza differenze ma in un crescendo inquietante di bollettini medici e di preoccupazioni. Proprio questo tempo ci fa comprendere l’esigenza di ritrovare la benefica alternanza tra i diversi giorni della settimana, e soprattutto di celebrare insieme un giorno di festa dove si possa ritrovare la convivialità che in questi giorni ci è consentita soltanto in forme digitali o virtuali.