9 aprile - Monastero di S. Giovanni nel deserto

09.04.2014 17:21

Dopo una serata musicale, visita al monastero di S.Giovanni nel deserto e ritorno a piedi verso Gerusalemme. Dal dialogo con Geries S. Khoury una grande lezione di teologia, di storia, di umanesimo.

Ieri sera abbiamo passato una bella serata. Dei ragazzi italiani (un ragazzo di Lecco, due ragazze della Romagna) ci hanno invitato al loro concerto. Siamo andati a sentirli alla chiesa di "Notre Dame" a Gerusalemme. C'erano diverse autorità religiose e Elio non s'è fatto scappare la possibilità di una chiacchierata con il Nunzio Apostolico, sua eccellenza Lazzarotto, in stretto dialetto veneto. Quindi subito a letto per non inficiare le forze necessarie per una tappa che giudicavamo impegnativa.
Effettivamente oggi abbiamo sudato, ma con molta soddisfazione. Siamo partiti dal monastero di San Giovanni nel deserto, luogo suggestivo dove sgorga ancora l'acqua come ai tempi di San Giovanni e abbiamo visto le suore rifornirsi alla fonte. Lasciato il monastero abbiamo sempre camminato su sentieri molto belli anche se, a volte, impegnativi. Senza accorgercene siamo arrivati alla periferia di Gerusalemme e alla porta di Giaffa.
Questa sera non scriveremo molto sulla giornata per non rubare il vostro tempo con i nostri racconti e darvi invece la possibilità di leggere l'intervista al teologo che abbiamo incontrato ieri a Betlemme.

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Intervista al teologo palestinese Geries Sa’ed Khoury
"Rispondiamo ogni giorno alle tentazioni con pace e amore"

Davanti ad un caffè ci incontriamo: noi italiani, lui palestinese. Si chiama Geries S. Khoury, ha insegnato tre anni all’Università Orientale di Napoli, poi sedici anni d’insegnamento all’università di Betlemme, dove ora dirige il Centro di cultura per il dialogo interreligioso, Al-Liqà Center. Ha fatto anche il sindaco nel suo paese natale in Galilea, dove torna ogni settimana. Per prima cosa ci descrive la realtà dei cristiani a Betlemme e con orgoglio dice che sin dal tempo di Gesù in questo paese c’è sempre stata, senza interruzioni, una presenza cristiana.

La prima domanda rispecchia il nostro stupore: Perchè, proprio qui, nella terra di Dio, c’è tanto poco amore?
- Cristo ci ricorda le tentazioni, ricorda che non è facile vivere nella pace e nell’amore. Amore e pace saranno sempre sfidati e qui ne abbiamo la dimostrazione, quindi quella che voi rilevate come contraddizione per noi invece è “Dio che ci mette alla prova”. Noi ogni giorno viviamo le “tentazioni” e ogni giorno rispondiamo con pace e amore.

Ci colpisce da subito questa risposta poiché rovescia l’ottica con cui guardare le situazioni. Geries prosegue:
- Qui la chiesa soffre e deve far fronte alle tentazioni. Oggi però siamo più forti perché c’è questo nuovo Papa. È il Papa di tutta la chiesa Palestinese e sarà al nostro fianco nel resistere alle tentazioni.

Ma questa è terra degli arabi o degli ebrei? di chi è?
- Questa non è terra dei mussulmani, degli ebrei e dei cristiani. È la terra di tutti. Io sono un arabo palestinese, cristiano, israeliano. Come cristiano sono parte di una minoranza, ma io mi sento e sono palestinese e noi palestinesi riconosciamo lo Stato d’Israele. Anche Gesù è un palestinese, ebreo e ha dato senso al vivere di tutta l’umanità. Questa è la sintesi, questo è il nostro sentiero, l’esempio da seguire. Questa Santa Terra è terra di tutti e per tutti. Abramo fa parte della mia storia di palestinese è “ mio nonno”, non era solo il padre degli ebrei perché abitava qui, viveva qui come la mia famiglia che è sempre stata qui e se proprio volessimo, la continuità di Abramo c’è anche in voi che siete italiani come c’è in me che sono palestinese. Abramo era il nostro progenitore. Il problema in questa terra è che tu italiano, che vieni in pellegrinaggio, ti trovi bene; invece noi palestinesi siamo trattati da diversi in casa nostra, la casa in cui da sempre abitiamo.

Perché questa situazione, o meglio, facci capire dove siete discriminati o come piace a te dire “diversi”
- Dei mille esempi possibili ne faccio uno: l’acqua. Ai palestinesi manca l’acqua, che ci sarebbe per tutti, che è per tutti ma a noi manca. Noi dobbiamo comprarla, gli israeliani hanno acqua; ma la loro erba è più importante dell’uomo, per questo alcuni ce l’hanno, altri no. Altro esempio: il soldato israeliano può entrare armato quando vuole nella mia terra; qui, in territorio Palestinese, entrano liberamente anche con i blindati.

Ma torniamo sul discorso della “terra” che voi chiamate Palestina
- Voi mi citate la Bibbia ed è vero; Dio, è scritto, dona questa terra ad Abramo dicendo “è per te e per la tua discendenza”. Ma quando Abramo fa seppellire sua moglie Sara, compera la terra, che non era quindi sua. Ne consegue che la promessa di Dio è una promessa teologica: è la terra dove preghi, non dove ammazzi. È una promessa di condivisione, di pace, di amicizia. Si crea un “dio minore” che dice all’uomo di possedere la terra per garantire un’agenda politica e militare. Ma il principio di Dio per me e per l’ebreo è il Logos, quindi la gioia dello stare insieme sulla stessa terra con pari dignità. La promessa di Dio ad Abramo è teologica, con un invito alla pace, alla solidarietà, al rispetto dei patti. Abramo compra dal palestinese la terra per seppellire Sara. In principio era Logos: gioia e libertà.

Ma allora, come spieghi questa separazione, questi tratti di durezza per non dire violenza?
- Nel 1989 ho scritto un libro, al tempo della prima intifada, circa 25 anni fa, dal titolo “Intifada del cielo e della terra” . Ho scritto che chi beneficia di più della pace è Israele e che Israele ha tutti i motivi per ricercare la pace. Ma penso - e l’ho scritto - che loro stessi hanno paura della pace. Nonostante le loro armi, non avranno mai come nemici gli arabi, i palestinesi. Sono loro ad essere nemici a sé stessi. Stare in guerra con i palestinesi li unisce, senza guerra si disgregherebbero. Volete un esempio? Gli ebri russi, che qui abitano, parlano in russo, hanno i giornali e la TV in russo e non imparano la lingua israeliana. Se sbocciasse la pace sarebbe la fine del movimento sionista. Se scoppia la pace ci sono qui, in questa terra, più di 70 lingue e culture diverse. Come fare a stare insieme? La comunità israeliana è divisa ed ha tante anime, ciò che la unisce è il nemico. Per questa mia teoria e per il mio libro sono stato messo in carcere dagli israeliani e ho subito un processo nel quale poi mi hanno assolto, poiché ho dimostrato che la mia cultura, diversa da altre, non esclude ma include.

Tu ci fai amare questa terra, ma per certi versi capiamo anche gli ebrei, per altri no. Quindi vorremmo capire riuscite nonostante tutto a vivere, a fatica, insieme
- So che voi usate, per descrivere situazioni come la nostra, la parola discriminazione. A volte scappa anche a me, ma non amo mai usarla e non la scrivo. Preferisco dire che c’è una forte distinzione. Vi faccio un esempio. Sono stato per 5 anni sindaco del mio paese e nel paese vicino il sindaco era ebreo. Quando andavamo insieme a chiedere aiuto al governo io prendevo il 30% di ciò che chiedevo, lui il 100%. Ecco, c’è distinzione tra cittadini ebrei e cittadini palestinesi.

Noi siamo tutti uomini di scuola e quindi ecco l’ultima domanda: com’è la scuola qui da voi?
- Faccio un discorso generale altrimenti dovremmo passare la giornata intera a parlarne, ma ora ho un impegno importante e ci dobbiamo salutare. Vi dico che la scuola è l’unico vero rifugio di tutti i giovani palestinesi. Qui abbiamo la percentuale più alta di scolarizzazione di tutto il mondo arabo e ne siamo fieri. Per noi andare a scuola è l’unica arma per vivere. La scuola è considerata dalle famiglie la cosa più importante e c’è grande rispetto per essa. Ci sono, qui da noi, scuole pubbliche e scuole private. A Betlemme ci sono più di 15 scuole cattoliche molto ben organizzate e molto frequentate. Sono scuole aperte a tutti e in alcune la maggioranza dei frequentanti è mussulmana. Voglio lasciarvi con un’ultima curiosità: l’autorità palestinese ha deciso che a Betlemme comunque deve essere eletto un sindaco cristiano, anche se la maggioranza è mussulmana. Qui sindaco e vicesindaco devono essere comunque cristiani. E la perla di questo periodo è che il sindaco è una donna. Vi saluto e portate anche voi la pace.

Betlemme 8 aprile 2014 ore 10

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