Coronavirus, il messaggio che arriva dal carcere

10.03.2020 11:05

"Sarebbe uno spreco atroce delle sofferenze e dei sacrifici che stiamo vivendo se, passata la tragedia, tornassimo al greve tran tran trascorso" (Gianni Riotta, La Stampa, 10 marzo 2020)

«Che cosa significa la peste? È la vita, ecco tutto», la morale del romanzo di Albert Camus, La peste, ci fa riflettere, mentre milioni di sorelle e fratelli italiani vivono nella zona di allerta del Nord e del Centro. Poche settimane, da un tweet isolato di gennaio che, da questo giornale, chiedeva invano attenzione al coronavirus in giorni di colpevole indifferenza, hanno cambiato la nostra esistenza. La vita quotidiana, che ci appariva mediocre, banale, zeppa di guai, ci appare meravigliosa e perduta, bambini a scuola, colleghi a mensa, settimana bianca o gite di Pasqua prossime.
L’epidemia, specchio brutale di realtà, ci mette davanti al vero, senza make-up, trucchi, ipocrisie di chiassosi social media. Una fotografia impietosa che non sparirà quando, al Cielo piacendo e grazie alla scienza e alla gente semplice, il male verrà domato. Sarebbe uno spreco atroce delle sofferenze e dei sacrifici che stiamo vivendo se, passata la tragedia, tornassimo al greve tran tran trascorso. La rivolta delle carceri, con i sei morti a Modena e i penitenziari in agitazione, ci ricorda, come una campana a martello che da generazioni, con l’eccezione meritoria di un pugno di militanti del Partito radicale, usiamo la galera non per rieducare, come ci impone la Costituzione, ma per «Sorvegliare e Punire», secondo il motto deprecato dal filosofo Foucault. Il virus sbugiarda le prediche forcaiole, «Chiudeteli dentro e buttate la chiave, ogni imputato è colpevole!», che non sono solo sbagliate, sono soprattutto pericolose.
La scuola stenta nella transizione doverosa ai corsi online, tranne nelle strutture d’élite: molti docenti non sono aggiornati e nei quartieri popolari, vedi il vecchio Zen a Palermo nelle cronache di Zetaluiss.it, le famiglie non hanno computer o wifi. La nostra sanità, maledetta quando ci tocca aspettare la Tac, conferma quel che le classifiche internazionali assicurano, è la quarta del mondo, ma ne cogliamo con apprensione le falle, i troppi medici giovani emigrati per assunzioni sbagliate e carenza di meritocrazia, il divario Nord-Sud, i ricercatori precari a vita.
Ha fatto bene il presidente Mattarella a conferire, motu proprio, l’onorificenza di Commendatore della Repubblica al comandante Gennaro Arma, ultimo a scendere dalla nave da crociera Diamond Princess contagiata dal coronavirus, un anti-Schettino che ha cancellato la macchia del comandante della Costa Concordia. La Croce al capitano Arma rappresenta le infermiere che dormono in branda in corsia, i medici con le piaghe per il troppo lavoro, chi resta a casa senza aiuti, chi, online, si prodiga per allievi e compagni di lavoro, gli imprenditori che non mollano, i filantropi che offrono milioni per i soccorsi, gli italiani anonimi che, come i marinai dell’ammiraglio Nelson alla battaglia di Trafalgar, ostinati, «fanno il proprio dovere».
Ecco la novità storica che i leader politici, maggioranza e opposizione, devono recepire senza indugi. La stragrande maggioranza degli italiani è disposta a «fare il proprio dovere», ma chiede in cambio, senza sconti, leadership razionali e responsabili, non il Carnevale in Quaresima di decreti anticipati prima del tempo a scatenare il panico. La stagione dei toni petulanti e corrivi, della propaganda volgare, finisce, disinfettata con l’Amuchina dell’etica e della pena. Non si tratta di auspicare prematuri, o artificiali, “governi di unità nazionale”, si tratta di adottare “l’interesse nazionale” come strada maestra, contro le beghe di parte. Non esistono vaccini, epidemiologie, medicine, assistenze agli anziani “di destra” o “di sinistra”, esistono misure raziocinanti da adottare insieme, come comunità. Davanti alla “Peste del Manzoni”, Renzo, giovanotto focoso e scapestrato, matura in adulto, consapevole e generoso. Ecco il passaggio che ci aspetta ineludibile. Ieri mattina ho ricevuto un video via WhatsApp, che avrete visto magari anche voi, l’esibizione magnifica delle Frecce Tricolori sul mare, con la bandiera disegnata in cielo e la voce del maestro Pavarotti a intonare “All’alba vincerò!”. A mandarmelo una grandissima firma del nostro giornalismo, la più fredda e la meno sentimentale di tutte: un uomo pacato che coglie però, come tanti, che è scoccata l’ora del patriottismo. Non perdiamola e facciamone leva di una comune riforma morale.

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