Elogio della gentilezza

14.11.2017 19:11

"Dal famoso sonetto di Dante alla giornata per celebrarla. Ecco perché ne abbiamo bisogno". Paolo Di Stefano ci propone le sue riflessioni nell'articolo scritto in occasione della "Giornata Mondiale della Gentilezza" che si celebra il 13 novembre di ogni anno (Corriere della Sera, 14 novembre 2017)

In una famosa analisi del sonetto di Dante «Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand’elli altrui saluta», il filologo Gianfranco Contini si concentrò sulla coppia di aggettivi, spiegando che erano quasi sinonimi. Quasi. Perché mentre l’«onestà» equivaleva alla nobiltà esteriore, di gesti, di portamento e di aspetto, la «gentilezza» era la nobiltà d’animo, una virtù spirituale o morale che ne conteneva tante altre: dalla modestia alla magnanimità alla dolcezza...

Per i poeti siciliani che precedettero Dante «gentilezza» (da «gens», cioè stirpe) era soprattutto uno status sociale, nobiltà di nascita o di sangue. Poi invece divenne un attributo essenziale dell’Amore con la maiuscola. Il poeta stilnovista Guido Guinizelli scrisse che l’Amore abita nella gentilezza «così propriamente / come calore in clarità di foco». È il momento in cui la gentilezza comincia a distinguersi dalla cortesia, che è in tutta evidenza una qualità del cortigiano, più vicina alla buona educazione e all’impeccabilità dei modi che alla qualità morale o di sentimenti.

Ancora oggi, per la verità, quando parliamo di «gentilezza» cadiamo nel tranello semantico: gentile vs maleducato. E forse la Giornata Mondiale della Gentilezza (che è ricorsa ieri come ogni 13 novembre) è stata creata apposta per rivendicare un po’ di sacrosanta buona educazione. Naturalmente in un mondo essenzialmente maleducato, scorbutico, brutale come il nostro la gentilezza così intesa sarebbe già tanto, ma non è tutto. Perché, lungi dall’essere l’equivalente della cordialità zuccherosa, la gentilezza è, insieme ad altre virtù, un cardine della «grammatica dell’interiorità», come direbbe uno studioso dei sentimenti qual è Antonio Prete.

Qualche volta confina con la mitezza, cioè con una quiete dell’animo che non esclude la fermezza contro l’ingiustizia. Qualche volta equivale alla magnanimità, cioè alla equilibrata coscienza dei propri mezzi nel rapporto con gli altri. Può prendere i colori della generosità e della compassione: partecipazione alla sofferenza degli altri, un sentimento nettamente in declino, che genera il sospetto dei più. «Da dove viene tanta generosità? Come minimo c’è sotto qualcosa».

Dietro alla gentilezza si intravede sempre un progetto di manipolazione … La dolcezza appare sempre mielosa, un segno di debolezza, la delicatezza è sussiegosa, viscida, vischiosa: si preferisce una sana franchezza anche se ruvida.
A pensarci bene non c’è niente di più anacronistico della gentilezza.

Lo sa bene lo scrittore e saggista americano George Saunders, che un paio d’anni fa, parlando ai neolaureati della Syracuse University, ha tenuto un vero e proprio elogio della gentilezza come esercizio mentale e spirituale da rilanciare: ricordava di aver trascurato, anzi deriso, una compagna di scuola elementare che se ne stava sola in un angolo a masticarsi una ciocca di capelli; ricordava di aver mancato molte, troppe occasioni di compassione per un altro essere umano. «Sarà forse un po’ semplicistico — disse —, e sicuramente difficile da mettere in pratica, ma direi che come obiettivo nella vostra vita fareste bene a “cercare di essere più gentili”». Ammetteva che è difficile essere gentili: si rischia di apparire «arcobaleni» e «cucciolotti», proprio nell’epoca dell’impazienza. Già, perché per essere gentili si richiede pazienza.

Non c’è abbastanza tempo per essere gentili, cioè per avere cura degli altri: uno studio della ricercatrice Christine Porath pubblicato sul «New York Times» nel 2015 rivelò che il 40 per cento degli americani ammetteva di essere sgarbato per mancanza di tempo. Ma la stessa Porath fece notare che la scortesia di un superiore non fa altro che demotivare e dunque rallentare la produttività dei dipendenti. Essere meno sgarbati per favorire la produttività dei dipendenti? Niente di peggio: «Poco gentile e poco onesto pare...».