Le elezioni locali e i consigli disattesi

08.06.2016 08:12

Sulle pagine del Corriere (7 giugno 2016) alle tante analisi sul voto si affianca una riflessione di Angelo Panebianco sugli atteggiamenti che definiscono le diverse tipologie di elettore e sulle conseguenze che i loro comportamenti determinano rispetto agli esiti del voto. Un voto sempre più difficile da interpretare e ancor più da prevedere, ma che rivela comunque il distacco crescente tra "paese legale" e "paese reale".

Per tradizione, in Italia, le elezioni locali hanno riflessi sulla politica nazionale. Per il principio che, qui da noi, tutto fa brodo. Da questo punto di vista, il primo turno — soprattutto nelle grandi città per le quali il richiamo mediatico è maggiore — rappresenta un campanello d’allarme per Matteo Renzi. Se ai ballottaggi il Pd perdesse in alcune importanti città (in particolare, Milano o Torino), il governo accuserebbe il colpo, Renzi perderebbe quella reputazione di invincibilità che fino ad ora lo ha protetto e sorretto. Le cose si complicherebbero alquanto anche in vista della madre di tutte le battaglie, il referendum costituzionale di ottobre. Forse, si riaprirebbe anche la discussione sul sistema elettorale, sul cosiddetto Italicum.
Ciò premesso, notiamo però anche tre caratteristiche di queste elezioni locali. Le prime due sono comuni a tutte le elezioni locali, in tutte le parti del mondo ove si svolgano elezioni di questo tipo. La terza è specifica di quelle elezioni locali ove ci siano ballottaggi.
La prima caratteristica è che nelle elezioni locali i leader nazionali non concorrono e pertanto non possono svolgere quel ruolo di «traino» che, soprattutto i più popolari fra loro, riescono ad esercitare nelle elezioni nazionali. Ci provano sempre, questo è vero, ma, per lo più, con risultati dubbi.
La seconda caratteristica è che, nelle elezioni locali, ci sono sempre due tipi di elettori. Il primo tipo è composto da quelli che votano per ragioni esclusivamente ideologiche (nel nostro caso, pro o contro Renzi, pro o contro Grillo, eccetera). Il loro voto, effettivamente, se potesse essere isolato e scorporato dal voto degli altri, sarebbe una misura del grado di popolarità e forza dei vari leader e delle varie formazioni nazionali. Però, nelle elezioni locali esiste anche un secondo tipo di elettore (per fortuna: se questo tipo di elettore non esistesse, le elezioni locali sarebbero inutili). Questo elettore (giustamente), quando deve scegliere un sindaco, se ne infischia degli equilibri politici nazionali. Vota Tizio oppure Caio dopo avere cercato di capire chi sia il più affidabile, quello che forse eliminerà le buche che ci sono davanti a casa sua, quello che forse combinerà qualcosa per migliorare il traffico urbano, eccetera. Ammetto di avere più simpatia per questo secondo tipo di elettore, uno che comprende la specificità delle elezioni a cui sta partecipando, che per il primo. Il primo tipo è un elettore eccessivamente ideologizzato, uno che non ha bisogno di informarsi sui candidati locali e i loro programmi, uno che vota per il Consiglio comunale e per il sindaco a prescindere, pro o contro Renzi, pro o contro il Jobs act, eccetera.
La presenza del secondo tipo di elettore — quello che comprende la natura delle elezioni a cui sta partecipando e si regola di conseguenza — è precisamente ciò che impedisce di considerare le elezioni locali un’anticipazione delle successive elezioni nazionali. Dal momento che, in elezioni nazionali, quell’elettore ragionerà e si comporterà in modo diverso da come ha ragionato e si è comportato nelle elezioni locali.
La terza e ultima caratteristica riguarda le elezioni locali con ballottaggi, che è appunto il nostro caso. I ballottaggi non sono la replica, solo con qualche piccolo aggiustamento, delle elezioni del primo turno. Sono elezioni nuove, completamente diverse dalle prime. Innanzitutto, tra il primo turno e il secondo turno, c’è un rimescolamento dell’elettorato. Alcuni elettori che avevano votato per un certo candidato, risultato escluso dal ballottaggio, si asterranno, altri convergeranno su uno dei due contendenti in base alla logica del «meno sfavorito» (voto per uno che non mi piace al fine di sconfiggere uno che mi piace ancora meno). Ci sono poi molti elettori che si erano astenuti al primo turno e che ora voteranno al secondo turno, almeno in parte attratti dalla prospettiva di un eccitante incontro di boxe fra i due restanti concorrenti. Anche in questo caso, non si voterà tanto «per» quanto «contro», contro il candidato che si detesta di più.
Poiché i ballottaggi sono elezioni nuove, si sconsigliano (ma si tratta di un consiglio che verrà certamente ignorato), gridolini di stupore di fronte a risultati cosiddetti «inattesi». Non è scritto da nessuna parte che chi ha ottenuto più voti al primo turno, il candidato che è risultato in vantaggio, vinca facilmente le elezioni finali. Potrebbe benissimo uscirne sconfitto. Egli potrebbe avere fatto il pieno dei suoi voti al primo turno. Il suo vantaggio iniziale, inoltre, potrebbe innescare una mobilitazione a lui contraria: elettori che non hanno votato al primo turno potrebbero votare al secondo con il solo scopo di farlo perdere.
Da cento anni si ripete il ritornello sulla distanza fra il «Paese legale» e il «Paese reale». Il Paese legale scruta le elezioni locali per ragionare sulle grandi strategie nazionali. Il Paese reale si preoccupa di buche nelle strade e di traffico urbano.