Nutrire il pianeta non sia solo uno slogan

15.02.2015 20:39

"Non facciamo dell’evento dell’Expo la fiera degli auguri, il campionario dei proclami di intenti caritatevoli: sia invece occasione per affrontare seriamente, responsabilmente e concretamente i temi urgenti della fame e della povertà, ormai presenti anche in mezzo al mondo industrializzato". Mentre si avvicina il "grande evento", il monito del priore della comunità Monastica di Bose, Enzo Bianchi (La Stampa, 15 febbraio 2015)

La febbre per l’Expo di Milano è salita, e grande è l’attesa per la kermesse, intensa la sua preparazione: ormai è presentata ogni giorno di più come il grande evento, capace di mutare la sorte del nostro paese e del nostro futuro. Dai diversi annunci quotidiani di iniziative e incontri culturali tutto sembra nuovissimo e inedito: si è portati a credere che si stia andando verso un evento escatologico.
Anche l’area cattolica si è mobilitata e, come quasi sempre succede, lo sta facendo per lo più appiattendosi sui percorsi più facili e imitandone lo stile, nella speranza di ottenere la stessa performance che eccita tutti. Ormai, lo dico con tristezza, anche la pastorale si è piegata ai temi dell’Expo e perfino nelle omelie domenicali si affrontano quegli argomenti anziché annunciare il vangelo. Ci sono addirittura iniziative editoriali che propongono stravaganti riflessioni di teologi: “Gesù era un gran cuoco”, “sua madre confezionava per lui piatti speciali”... Insomma, ancora una volta, la bibbia è come il vaso di Pandora da cui si estrae quello che si desidera poter dire con un’autorevolezza che non si possiede, invece di quello che la bibbia dice.
Che tristezza! Un’iniziativa risalente già alla fine dell’Ottocento, dotata di una logica propria, un evento di grande significato tecnico, economico e sociale è oggi rivestito di una capacità “spirituale”, è indicato, attraverso menzogne e ipocrisie, come portatore di valori per il fatto stesso di prodursi. Come se tutti avessero dimenticato la corruzione che ha ammorbato la preparazione dell’evento e che non dà garanzie di non contaminarne anche gli sviluppi successivi, come se si ignorasse che la logica dominante è quella dell’agrobusiness in mano alle grandi multinazionali, come se non si volesse vedere che lo scopo primario è disporre di una grande vetrina, di un immenso spettacolo, magari anche molto redditizio, naturalmente per pochi. “Nutrire il pianeta” diventa uno slogan, ripetuto a basso prezzo anche da chi non si sogna nemmeno di muovere un dito per nutrire gli affamati in carne ed ossa. Si finge di ignorare che questo ideale straordinario di previdenza indispensabile richiede da parte nostra un cambiamento di stili di vita, una consapevolezza del fatto che la dignità umana è rispettata solo attraverso l’uguaglianza e la giustizia: se regna l’iniquità – letteralmente la non-equità – e si persevera nel consentire un’economia di esclusione, non si nutre il pianeta ma si continuano a creare reietti dalla tavola del mondo. Alcuni, come Carlo Petrini ed Ermanno Olmi, sono già intervenuti per ammonire che l’Expo non si riduca a una fiera occasionale e pacchiana del cibo; il ministro delle politiche agricole ha lanciato la proposta che l’Italia riconosca esplicitamente nella propria carta costituzionale il diritto al cibo. Sono segnali positivi che vorrebbero dare un’anima a un’iniziativa che rischia di essere solo una kermesse affaristica.
Ma ci sono state parole ancora più forti e dirimenti da parte di papa Francesco in un messaggio inviato a quanti, nell’hangar della Bicocca, erano impegnati nelle prove generali per l’Expo. Papa Francesco, come già aveva fatto alla FAO, ha pronunciato una frase che dovrebbe essere il vero monito perché l’Expo si orienti davvero a nutrire il pianeta. Ha ricordato una sentenza ascoltata da un vecchio contadino: “"Dio perdona sempre, le offese, gli abusi; Dio sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La terra non perdona mai!” Parole dure come pietre, ma che sentiamo vere perché ogni giorno ormai ne facciamo esperienza attraverso alluvioni, esondazioni, frane di una terra che abbiamo devastato negandole la possibilità di obbedire alle leggi della natura. Una terra che sfruttiamo e spremiamo per una produzione che sia vincente sul mercato, una terra che non consideriamo più né madre né sorella ma solo matrice da sfruttare senza limiti e con tutti i mezzi, anche a costo di depauperarla e desertificarla nel domani: basta che oggi sia in grado di dare a noi non solo il necessario ma soprattutto il superfluo. Una terra che non è più un bene comune, quella tavola imbandita per tutta l’umanità, alla quale tutti hanno il diritto di sedersi per mangiare, quel tesoro ricevuto in eredità dalle generazioni che ci hanno preceduto e in prestito dalle generazioni a venire... No, viviamo la terra come fornitrice a pochi di risorse e cibo perché si rimpinzino fino all’obesità e neghi ad altri il necessario vitale che il mercato non riconosce perché per lui non redditizio.
Papa Francesco avverte che “gli esclusi sono non solo esclusi o sfruttati, ma rifiuti, avanzi, scarti dell’umanità”, cui non vanno nemmeno le tonnellate di scarti alimentari che intasano le nostre discariche di rifiuti. Siamo succubi di un’economia che vive di adorazione del Dio denaro, alienata al denaro, prostrata davanti alle esigenze del mercato e segnata da una “competitività per cui il più forte ha la meglio sul più debole”. Ci siamo talmente imbarbariti da chiamare legge del mercato la legge della giungla, il primitivo prevaricare del più forte sul più debole. E dimentichiamo che da sempre sono i poveri che vanno dove c’è il pane e non è il pane che rincorre i poveri.
Occorre dunque che ci poniamo alcune domande: può essere straordinario il compito di “nutrire il pianeta”, ma a chi lo affidiamo? È lasciato alla programmazione di multinazionali che obbediscono sempre e solo alle leggi del proprio tornaconto? Se invece nutrire il pianeta è compito comune e appartiene alla responsabilità di perseguire il “bene comune”, chi sono i soggetti che se ne incaricano, con quali mezzi a disposizione, con quali criteri di giustizia ed equità, con quale compatibilità con la pace, la solidarietà, la dignità umana, la fratellanza universale?
E la chiesa cattolica che farà dell’Expo? Si accontenterà di avere una vetrina tra i grandi o saprà partecipare a questa iniziativa in modo eloquente e profetico, con la parresia e la forza di critica e di denuncia in nome del vangelo, unica istanza che giustifica la presenza della chiesa e la può ispirare? Una presenza non finalizzata a propagandare la propria dottrina ma a ribadire che il cammino di umanizzazione è il “suo” cammino, un cammino che nasce dalla fede in un uomo che “ha voluto insegnarci come vivere in questo mondo”, dice l’apostolo Paolo, un uomo che veniva da Dio ed era suo Figlio ma che si è liberamente collocato dalla parte dell’uomo, pienamente solidale con noi, e che ha mostrato sollecitudine e cura soprattutto per chi era nel bisogno, nella fame, nella povertà, in condizione di straniero.
Non facciamo dell’evento dell’Expo la fiera degli auguri, il campionario dei proclami di intenti caritatevoli: sia invece occasione per affrontare seriamente, responsabilmente e concretamente i temi urgenti della fame e della povertà, ormai presenti anche in mezzo al mondo industrializzato, gli appelli improcrastinabili che la terra ci rivolge per la sua custodia e salvaguardia, il rispetto dei diritti delle generazioni future. Per tutti occorrerebbe che l’Expo diventasse l’occasione per far risuonare il comandamento: “Ama la terra come te stesso!”.

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