L'errore (non lieve) del Premier polemista

07.05.2014 09:08

Una cittadinanza attiva, informata e "vociferante" è presupposto essenziale di democrazia. Preoccupa la tendenza a non accettare la buona fede di chi esprime pareri diversi e a denigrare chi dissente. Antonio Polito sul Corriere della Sera del 6 maggio.

Per molti italiani, e non da oggi, il sindacato è effettivamente un fattore di conservazione sociale e di freno al cambiamento. Solo per pochissimi italiani, invece, il signor Piero Pelù merita di essere preso sul serio quando si abbandona alle sue elucubrazioni storico-politiche, soprattutto quando ha un libro in uscita. Eppure, nonostante ciò, a nessuno dovrebbe piacere il modo in cui il presidente del Consiglio e i suoi infaticabili ventriloqui hanno di recente zittito l’uno e l’altro. C’è infatti nello stile polemico di Renzi qualcosa che inquieta perché travalica la questione di stile: un ricorso troppo frequente alla denigrazione. Fateci caso: chiunque muova critiche al governo viene additato come portatore di un interesse personale e poco nobile che spiegherebbe la vera ragione del suo dissenso. La Cgil parla contro il decreto sul lavoro perché gli è stato tagliato il monte ore dei permessi sindacali; il cantante dal palco del Primo Maggio rompe perché ha perso un incarico retribuito a Firenze; i funzionari del Senato, che per dovere d’ufficio devono dare un parere sui decreti, dichiarano i loro dubbi sul bonus di 80 euro solo per vendicarsi della imminente riforma del Senato. E via dicendo. A tutti viene di solito rinfacciato che per il loro lavoro ricevono un compenso, come se fosse un’aggravante.
C’è un’infinità di critiche politiche motivate e spesso giuste che possono essere rivolte ai critici di Renzi (basti pensare ai danni prodotti dal conservatorismo costituzionale). Ma invece di impegnarsi sul terreno della discussione trasparente e nel merito, che accetta la buona fede dell’avversario, sempre più spesso si ricorre a quella che gli americani chiamano character assassination , la denigrazione pubblica: in pratica una forma di gogna mediatica che offre a una piazza sempre più incattivita un capro espiatorio con cui prendersela.
E non è solo una questione di bon ton: il dilagare di questo stile, che a dire il vero non ha inventato Renzi ma che Renzi sta sublimando, rischia infatti di restringere quella che Habermas ha chiamato la «sfera pubblica», e cioè l’ambito in cui gli individui possono esercitare la loro critica contro il potere dello Stato. In un’epoca in cui i Parlamenti non contano più molto, e l’unico vero dibattito pubblico si svolge sui media, l’esito è un impoverimento della qualità della democrazia, che per essere tale ha bisogno di una cittadinanza attiva, informata e vociferante.
Se infatti chiunque dica la sua, magari anche in nome di interessi corporativi o di categoria (come è spesso nel caso dei sindacati, compresi quelli dei giudici e dei prefetti), viene dichiarato non attendibile perché sta solo difendendo un privilegio personale, il nuovo potere è legittimato a non ascoltare più il dissenso, ergendosi a unico e infastidito interprete della «volontà generale».
Non è proprio il modo in cui funzionano le società aperte e liberali. È piuttosto un corto circuito che abbiamo visto spesso all’opera nelle rivoluzioni. Ci auguriamo che non sia a questo che si riferisce il premier quando dice che sta facendo «una rivoluzione».

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