Gli italiani chiedono riforme nel nome della governabilità

03.04.2014 16:20

Ilvo Diamanti (La Repubblica, 31 marzo 2014) mette in evidenza il consenso che riscuotono, in larghi strati della pubblica opinione, le proposte di riforma che riguardano le camere, le province, la burocrazia; sintomo evidente di una profonda insoddisfazione dei cittadini verso la politica. Ma emerge anche una domanda di governo e di governabilità cui fa riscontro, finora, la vaghezza di modelli tipica di un "riformismo episodico e sussultorio".

Non sarà facile, per Matteo Renzi, portare a termine il suo programma di riforme istituzionali – che modificherebbero profondamente la Costituzione. Per almeno due motivi. La resistenza – anzi: l'opposizione aperta – di autorevoli componenti ed esponenti dell'ambiente politico e intellettuale. Anche di centrosinistra.
In secondo luogo, la complessità – e la lunghezza – delle procedure richieste per iniziative che toccano la Costituzione. Per questo non sarà facile. Trasformare il Senato in una Camera delle autonomie, ad esempio. Con il contributo diretto dei senatori, visto che la riforma dovrebbe/dovrà passare, per due volte, attraverso la loro approvazione. Non a caso il Presidente del Senato, Pietro Grasso, in un'intervista a Repubblica, proprio ieri, ha proposto, in alternativa, di abolire il bicameralismo, ma non il Senato. Attribuendo, cioè, solo alla Camera dei Deputati il potere di votare la fiducia al governo e di occuparsi delle materie politiche, economiche e sociali più importanti.
Ma Renzi ha, immediatamente, ribadito la sua intenzione di andare avanti. Veloce, come sempre. In direzione opposta al passato. Per confermare la sua immagine di “rottamatore”, che molto ha contribuito – e contribuisce – al suo successo. Che non accenna a declinare, come mostrano i sondaggi d'opinione. Naturalmente, prima o poi, anch'egli dovrà rendere conto dei risultati di tanti progetti. Anche se, come ha suggerito argutamente Nando Pagnoncelli sull'agenzia InPiù, “Renzi rammenta un giocoliere che fa volteggiare cerchi, palline e clavette. Non importa affatto se nel corso dell'esercizio ne cade qualcuna”. Perché l'abilità e la velocità del protagonista rendono difficile al pubblico accorgersene. E perché, nel frattempo, altri progetti attraenti sono stati lanciati sul mercato.
Tuttavia, la fiducia nei confronti del premier non è solo frutto di “illusionismo”. Ma dipende, in modo significativo, dal consenso verso le proposte che egli ha avanzato. Come emerge da un sondaggio condotto qualche tempo fa da Demos, quando Renzi si accingeva a sostituire – con modi spicci e risoluti – Letta alla guida del governo. Cambiare la Costituzione, anzitutto, è considerato lecito e perfino utile, da quasi i due terzi della popolazione, se può migliorare l'efficienza delle istituzioni. Ovviamente, senza intaccarne i “principi fondamentali”. Questa posizione, peraltro, è largamente condivisa, da sinistra a destra, passando per il centro. Solo un quarto dei cittadini intervistati sostiene, invece, l'intangibilità della Costituzione. “La più bella del mondo”. Comunque, troppo equilibrata per poter essere modificata in punti “sensibili” come quelli di cui si discute.
Se si entra nello specifico delle proposte, il sostegno ai temi avanzati da Renzi e dal governo si conferma ampio e trasversale. L'abolizione delle Province e la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie ottengono, infatti, l'approvazione di circa il 60% dei cittadini. Il sostegno risulta più elevato fra gli elettori del PD e di SEL, in riferimento all'abolizione delle Province. Mentre la trasformazione del Senato ottiene largo consenso non solo nella base del PD, ma anche del NCD. Tuttavia, anche fra gli elettori di FI e del M5s l'adesione ai progetti risulta molto estesa.
Dietro a questi orientamenti si intuisce l'insoddisfazione diffusa nei confronti del funzionamento e dei costi del sistema pubblico. E, in generale, della politica. Vista la difficoltà di scindere i due piani, nella percezione sociale. Così si spiega il consenso plebiscitario verso l'ipotesi di ridurre il numero dei parlamentari. In qualche modo, sintesi dell'abolizione delle Province – e dunque delle burocrazie e delle amministrazioni provinciali – ma anche della trasformazione del Senato. Presentata, tempo fa, dallo stesso Renzi, come un contributo alla riduzione della spesa pubblica.
Tuttavia, il sostegno dei cittadini alle proposte di riforma istituzionale ha anche un significato diverso. Riguarda la domanda di governo e di governabilità. Riflette, al tempo stesso, il malessere che attraversa la democrazia rappresentativa (non solo in Italia). Come emerge, con chiarezza, dal consenso espresso dai cittadini per l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Approvata da quasi 3 persone intervistate su 4. E dalla maggioranza assoluta dei principali elettorati. Dal PD a FI, da SEL allo stesso M5s.
L'ipotesi di rafforzare i poteri del capo del governo, invece, appare meno gradita. Ciò riflette, soprattutto, lo stile “presidenziale” di Renzi. Che ha personalizzato il PD, interpretando, però, (come ho già osservato) un “Presidente senza partito”. Comunque, “oltre” il PD. Per questo è facile prevedere che il premier proseguirà sulla strada delle riforme senza rallentare. Le difficoltà che incontra e incontrerà lungo il percorso, invece di produrre ripensamenti, sono destinate a rafforzarne la determinazione. Perché le resistenze e l'opposizione – tanto più della sua parte e del suo partito – ne consolidano la legittimazione. L'immagine di “uomo solo al comando”. Senza indulgenza per nessuno. Alleati e avversari politici. Manager pubblici e privati.
Il problema, semmai, mi sembra proprio questo. La discussione appare, infatti, sempre più “personalizzata”. E sempre più “radicalizzata” sulla Costituzione come “valore in sé”. Oppure, fin troppo focalizzata sui singoli progetti: Le Province, il Senato... Viziata, per questo, da uno sguardo miope oppure presbite. Così, si rischia di trascurare aspetti essenziali. Per esempio, non ci si accorge che il ddl approvato dal Senato (come ha osservato Tito Boeri su Lavoce.info) “non abolisce affatto le province, ma si limita a svuotarle senza stabilire a chi andranno le loro funzioni”. Con “risparmi” del tutto ipotetici. Mentre, quanto alla nuova Camera delle autonomie, non è chiaro da chi e in che modo verrà costituita. Con quali competenze e con quali poteri.
Più in generale, mentre si toccano, in modo deciso, punti sostanziali del nostro sistema istituzionale, non si spiega a quale modello si guardi. Che cosa vogliamo diventare. E si rischia, così, di proseguire quello stesso percorso intrapreso vent'anni fa. Quel riformismo episodico e sussultorio che ci ha condotti dentro a questa singolare Repubblica preterintenzionale.

* Sociologo, politologo e saggista

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