Stop ad Azzardopoli, un divieto che libera

05.07.2018 10:06

Su Avvenire del 5 luglio 2018 il plauso chiario ed esplicito di Umberto Folena alla decisione - assunta dal Governo col "decreto dignità" - di vietare la pubblicità al gioco d'azzardo; un provvedimento che il quotidiano cattolico, insieme a tanti altri soggetti attivi in ambito sociale e politico, sollecitava da anni.

Poche gioie sono più grandi per un bambino che andare in giro indossando orgoglioso la casacca della propria squadra del cuore. Ed è una gioia per noi adulti vederlo correre a testa alta, felice. Da oggi la nostra gioia sarà decuplicata, perché quel bambino non andrà più in giro esibendo sul petto il marchio di una multinazionale dell’azzardo, sponsor della squadra del cuore dell’ignaro bambino.
È solo un esempio, uno dei paradossi più stridenti e amari della pubblicità senza freni: per i bambini era vietato giocare d’azzardo, ma non fargli pubblicità. Era talmente "normale" che praticamente (quasi) mai s’erano levati lamenti anche da parte dei genitori più sensibili nella difesa della famiglia e dell’infanzia. Eppure quell’industria dell’azzardo, che riesce a usare i bambini per farsi propaganda, rovina centinaia di migliaia di persone affette da Gap (Gioco d’azzardo patologico: una malattia, non un vizio) e le loro famiglie, figli compresi.
Ben venga, dunque e finalmente, il divieto per l’industria a farsi pubblicità. E bravo il Governo Conte e, in particolare, il vicepremier Luigi Di Maio, perché han dato retta non solo a quegli esponenti del Movimento 5 Stelle che sono da sempre in prima linea nella lotta all’azzardo, ma anche a un tenace – anche se purtroppo sempre sconfitto sinora – fronte trasversale sinistra-centro-destra. Un atto dovuto: se l’azzardo è un pericolo per la salute, è illogico che possa farsi pubblicità, con scarsissimi limiti, al contrario di quanto invece avviene per altri prodotti capaci di creare dipendenza, come il fumo e i superalcolici. Ve l’immaginate un bambino che va in giro con un marchio di sigarette, o di vodka, stampato sul petto? Atto benvenuto, dunque, e tutt’altro che "populista". Anzi il contrario, perché l’azzardo non è ancora abbastanza avvertito come emergenza sociale, e tutto si potrà dire tranne che questo atto possa procurare facili consensi.
Ben venga, dunque e finalmente, un provvedimento che "Avvenire" al fianco del Cartello associativo "Insieme contro l’azzardo", delle Fondazioni anti-usura, degli organizzatori dello Slot Mob, chiede da anni. Ben venga anche il modo in cui Di Maio lo ha presentato, simile a quanto noi facciamo da sempre: si parte dalle persone, dai cittadini, dalle famiglie e dal loro disagio, appena sussurrato per dignità, ma tangibile e percepibile da chi in mezzo alla gente sta sul serio: volontari, operatori sanitari, assistenti sociali, amministratori locali, preti. Si parte dal bene delle persone, non dall’ingordigia di un’industria saprofita, quella dell’azzardo di massa, che succhia risorse e ingurgita denaro senza apparire mai sazia. Si parte dalle persone, dalle famiglie, dal benessere reale del Paese nel suo insieme, invece di fermarsi ai benefici per l’erario, ingannevoli perché inferiori ai costi per la nazione.
Ben venga un divieto che, è il nostro augurio, libererà aziende e mezzi d’informazione e ottimi colleghi finora tenuti in scacco dagli introiti pubblicitari garantiti dall’azzardo. "Sponsorizzare" può essere un atto filantropico e dall’alto valore sociale, ma anche una forma di controllo: ti pago, attento a quel che dici e fai. Ben venga, confermando quanto replicavamo a chi obiettava che in Europa nessuno vieta la pubblicità: bene, per una volta noi saremo i primi a tracciare la buona rotta e no, non saremo noi ad accodarci pigri, ma saranno gli altri a domandarsi perché ai esita a imitare l’Italia.
Ben venga la fine della pubblicità. Nessun medium è morto non potendo più contare sugli introiti dell’industria dell’alcol o del tabacco. Nessuno morirà neanche stavolta.
Le squadre? Troveranno altri sponsor: hanno formidabili professionisti al loro servizio, li mettano al lavoro. E pazienza se qualche attore o ex giocatore non potrà prestare il proprio volto all’azzardo, intascando parte dei soldi che troppi poveracci regalano a un’industria che degli ammalati ha bisogno, perché – sono studi condotti in Nord America e Oceania – tra il 30 e il 60% del fatturato è garantito da quel 2% circa di giocatori affetto da azzardopatia. Voi che vendete la vostra immagine, sappiate che da quelle tasche arriva metà del vostro compenso.
Ora basta. Certo siamo appena all’inizio del cammino. Altri fronti ben più ardui sono ancora aperti: dalla bonifica di bar e tabaccherie alla giungla del web. Ma almeno, dopo anni di solitudine, ora abbiamo un alleato nel Governo che non pare disposto a lasciar disfare tecnicamente in stanze ministeriali o in Parlamento le sue intenzioni e decisioni. La potente e ramificata lobby dei signori di Azzardopoli non demorderà, anzi. Ma la musica è cambiata. Era ora.

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