Il sogno dei bambini dell’Est tra le macerie della scuola

30.08.2016 19:44

«La presenza degli stranieri, e dei rifugiati in particolare, in questi borghi tra gli Appennini si è rivelata negli anni una risorsa preziosa per ridare vita a territori spopolati» (Benedetta Tobagi, la Repubblica, 30 agosto 2016)

Romeni, albanesi, qualche marocchino: erano tanti i bambini stranieri a frequentare la scuola “Romolo Capranica”, crollata rovinosamente in seguito al sisma, e le altre sedi dell’istituto di Amatrice, sparse per la vallata.
È anche grazie a loro se alcune scuole di montagna hanno evitato la chiusura. Sono più importanti di quanto s’immagini. «Se muore una scuola muore il territorio, con le sue ricchezze: legna, formaggi, pastorizia, non solo paesaggi»: a spiegarmelo è stata la dirigente scolastica Maria Vincenza Bussi, reggente dell’istituto, che da anni si prodiga per l’integrazione degli alunni stranieri. L’ho incontrata la scorsa primavera, quando, nel corso di un viaggio nelle scuole primarie ad alta densità di stranieri in tutta Italia, ho visitato anche l’istituto “Capranica”. «Le piccole scuole arginano lo spopolamento», spiegava, «se le chiudessimo, i genitori, che per lo più lavorano nei paesi più grandi o a Rieti, trasferirebbero la residenza». Dopo una vita spesa a salvare le scuole della zona, non avrebbe mai immaginato di chiudere la carriera nel segno di una tragedia simile.
Con un 15% di alunni non italiani, l’istituto riceveva da tempo i fondi del Miur per le “aree a forte processo immigratorio”. Per lo più sono bambini nati qui: ad Amatrice e negli altri borghi della Comunità montana del Velino, infatti, spopolati di italiani, il numero di cittadini stranieri è cresciuto a ritmo lento ma costante negli anni ultimi vent’anni. I giovani italiani cercano fortuna altrove, la popolazione invecchia (per ogni bambino sotto i 14 anni ci sono tre over 65) e gli immigrati si sono inseriti quasi inavvertitamente nel tessuto sociale e produttivo del territorio, impiegati per lo più nell’edilizia, nelle pulizie, come badanti. Gli amatriciani me li avevano descritti come disciplinati, tranquilli, grandi lavoratori. Come nel resto d’Italia, fanno quei lavori umili e di fatica da cui gli italiani rifuggono.
Negli elenchi delle vittime ci sono anche loro: sono già 11 i morti accertati di nazionalità romena (l’ambasciata ha chiesto che le loro generalità restino riservate). Il triste bilancio è specchio fedele dei dati Istat. Prima comunità di stranieri in Italia, lo sono anche nella valle del Velino: ad Accumoli, epicentro del sisma, dove gli stranieri sono l’11,4% della popolazione, più della metà sono romeni; ad Amatrice, su 204 residenti non italiani (su 2600), i romeni sono il 37,7%, seguiti da albanesi (25%) e kosovari (8,8%). Molti di loro probabilmente hanno perso la casa in cui avevano investito fatica e risparmi, il sogno di una vita. I loro figli a scuola sono bravissimi, mi aveva raccontato una maestra di Amatrice (sana e salva, per fortuna): per molte famiglie immigrate, infatti, la scuola rappresenta la possibilità di riscatto sociale.
Nell’Europa dell’Est, inoltre, la scuola tradizionalmente è presa molto sul serio. I genitori, anche se poveri, si impegnano per non far mancare nulla ai bambini, sono molto solerti nel dar retta agli insegnanti (spesso più degli italiani) ed esigono in cambio dai figli il massimo impegno. Dopo le medie, qualche ragazzo straniero ha cominciato a iscriversi al liceo, anziché andare a lavorare o frequentare l’istituto alberghiero: è un ottimo segno, anche se la strada verso la piena integrazione è ancora lunga. Una professoressa della scuola media, oriunda di Sicilia, mi raccontava dei tanti alunni che, dopo anni, si sentono ancora “stranieri” tra gli autoctoni. Complice la struttura abitativa del territorio, fatta di frazioni disperse, spesso tra stranieri e italiani c’è “coesistenza pacifica”, più che vera integrazione.
Il radicamento degli stranieri nella Comunità del Velino ha un antesignano illustre. Negli anni Sessanta, il pittore albanese Lin Delija, esule politico, dopo aver studiato a Roma con Mario Mafai si stabilì a vivere ad Antrodoco, a pochi chilometri da Amatrice, che oggi ospita un museo dedicato alle sue opere. Ne possiede una anche la dirigente scolastica Bussi. È una crocifissione, dolentissima: il Cristo di un profugo. Opera profetica: accanto alle comunità romena e albanese, stabilmente insediate, dal 2008 è cresciuta nel Velino la presenza di rifugiati e richiedenti asilo, afghani, curdi, africani. L’anno scorso nell’ambito dello Sprar (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati, organizzato dal Ministero dell’Interno con l’Anci) nei Comuni in provincia di Rieti sono stati attivati progetti d’accoglienza per un totale di 264 posti, di cui 30 ad Amatrice.
Cittareale è un borgo minuscolo che pare abbia dato i natali all’imperatore Vespasiano, nemmeno 500 abitanti a quasi 1000 metri d’altezza. Al momento, il sisma qui non ha prodotto danni eccessivi, ma gli abitanti dormono fuori casa, per paura di nuove scosse, mi spiega Angela, funzionaria dell’anagrafe, al telefono. «Non puoi immaginare cos’è qui. Le immagini alla televisione non rendono », dice. Anche qui la presenza di stranieri è insospettabilmente folta: Cittareale aderisce allo Sprar dal 2008 e per la piccola comunità è stata una svolta: grazie al progetto hanno aperto il birrificio artigianale Alta Quota, che ha avuto grande successo, si è ingrandito e adesso offre lavoro anche a molti italiani.
La presenza dei figli dei rifugiati, dall’ex Jugoslavia prima, da Turchia, Iraq, Egitto poi, è stata cruciale per mantenere in vita la scuola del paese - minuscola, con finestre che si affacciano sui boschi da ogni lato: un incanto - dove i bambini frequentano la “pluriclasse” della maestra Pina in cui si mescolano allievi di varie età. La presenza degli stranieri, e dei rifugiati in particolare, in questi borghi tra gli Appennini si è rivelata negli anni una risorsa preziosa per ridare vita a territori spopolati. Con l’emergenza terremoto, attraverso le immagini degli stranieri impegnati nelle attività di soccorso, questa realtà si affaccia alla ribalta nazionale. Speriamo che se ne accorgano, e lo tengano a mente, i populisti xenofobi che strepitano contro le politiche di accoglienza.

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