Primo Levi e la favola dell'uomo mutante

05.03.2015 20:42

"Ranocchi sulla luna e altri animali", una raccolta di racconti in cui lo scrittore s'ispira a Dante per narrare l'orrore dei lager (Einaudi pagg. 222, euro 19), ci viene proposto - come al solito in modo suggestivo - da Alberto Asor Rosa (La Repubblica, 5 marzo 2015)

Ci sono libri interessanti. Libri divertenti. E libri inquietanti. Pochi quelli che assommano le tre specie. Ranocchi sulla luna e altri animali di Primo Levi è uno di questi. Siccome si tratta di una scelta di racconti, elzeviri, poesie, tratti da altre raccolte pubblicate nel tempo, può anche darsi che la fisionomia compatta e altamente significativa di quest'ultimo volume si debba ai criteri di scelta del sapientissimo curatore, Ernesto Ferrero, cui va riconosciuto più in generale se alle opere di Primo Levi è stata garantita quell'appropriatezza e quel rigore di edizione, che ci consente di leggerlo in ogni suo punto, direi, nella pienezza dell'opera prodotta.
Fatto sta che questi Ranocchi si presentano come un libro unitario, il quale, proprio per i criteri di scelta, ci consente di scoprire meglio un altro filo della ricchissima tavolozza leviana, la quale non smette di stupirci per la sua straordinaria elevatezza e, al tempo stesso, profondità.
Il tema che sta alla base di questa raccolta è quello della «permutazione delle specie e delle forme». Ossia: tutto ciò che appare al nostro occhio come solido e immobile è in realtà in perpetuo movimento e si possono trovare tecniche ed espedienti, talvolta involontari, talvolta scientifici o più spesso pseudoscientifici, che rendono tale movimento più rapido e, come dire, più totalizzante.
Questa prospettiva approda in Levi a due strade diverse: i ricordi infantili (mai come qui presenti); e l'osservazione scientifica, spinta anch'essa oltre i normali capisaldi dell'obiettività e dell'utilitario. Siamo cioè di fronte a un problema di «massimi sistemi», che Levi affronta con la consueta leggerezza stilistica e l'eccezionale concisione che gli sono proprie. Il «sistema» che ne risulta è interessante, - non possiamo non appassionarci a questa reinterpretazione del mondo, - e al tempo stesso inquietante, -non possiamo non provare un brivido nella schiena a contemplare come e quanto la permutazione possa cambiare, e in molti casi stravolgere, i fattori che eravamo abituati a conoscere e praticare.
Farò un solo esempio: il primo racconto della raccolta, intitolato “Angelica farfalla”. Quattro rappresentanti medico-scientifici delle potenze alleate (un inglese, un americano, un russo e un francese) si recano nell'immediato dopoguerra in un appartamento di Berlino devastato dai bombardamenti che avrebbe ospitato un misterioso e ambiguo scienziato, di nome Leeb, presumibilmente al servizio del regime nazista, il quale vi avrebbe compiuto esperimenti su individui umani allo scopo di cambiarne la natura. Di tutto ciò non resta nulla, se non il tanfo, la sporcizia, e un po' di guano sul pavimento.
I quattro hanno perciò modo di dissertare su varie questioni scientifiche attinenti: per esempio, l'esistenza di un misterioso animaletto, l'axocotl, che in un lago del Messico si riproduce allo stadio larvale (insomma, dicono fra loro, una sorta di neotenia). Commenta l'americano, che funge da leader del gruppo: può darsi «che questa condizione non sia così eccezionale come sembra: che altri animali, forse molti, forse tutti, forse anche l'uomo, abbiano qualcosa in serbo, una potenzialità, una ulteriore capacità di sviluppo. Che aldilà di ogni sospettosi trovino allo stato di abbozzi, di brutte copie, e possano diventare "altri", e non lo diventino solo perché la morte interviene prima. Che, insomma, neotenici siamo anche noi».
La testimonianza di una ragazza consente ai quattro di arrivare alla conclusione che lo scienziato tedesco, esaltato o pazzo o nazista fino in fondo, sarebbe riuscito a trasformare quattro ignoti prigionieri in altrettanti uccellacci, di cui più tardi la popolazione locale, stremata dalle sofferenze, avrebbe fatto strage per cibarsene. Quindi, i quesiti fondamentali rimangono irrisolti. Ma resta l'inquietudine del non trovato ma intuito, che nella mente di tutti i coinvolti incide una traccia ineliminabile di paura.
E l'«angelica farfalla»? L'«angelica farfalla» è una citazione da Dante, cui attribuisco un'importanza enorme. Data tale importanza, riprodurrei per intero il passo della Commedia: «O superbi cristiani, miseri lassi, / che, della vista de la mente infermi, / fidanza avete ne' ritrosi passi, / non v'accorgete che noi siam vermi, / usati a formar l'angelica farfalla, / che vola a la giustizia sanza schermi?».
Siamo in Purgatorio X, 121-26, nella cornice in cui i superbi purgano il loro peccato per ascendere al premio eterno. Ora, Dante è essenziale in generale nell'ispirazione di Primo Levi (onestamente, mi sfugge se questa osservazione sia già stata fatta).
All'ingresso di Auschwitz c'è una sorta di «caronte» che però rinuncia a gridare ai prigionieri ebrei «Guai a voi, anime prave» (Se questo è un uomo): evidentemente, lì si sta per entrare in Inferno. Ma, ancor più significativamente, nell'approccio iniziale al campo di concentramento: «... Qui non ha luogo il Santo Volto, / qui si nuota altrimenti che nel Serchio» (quando Dante entra nella quinta bolgia, Inferno XXL, 48-49, e i demoni gridano ai dannati che il trattamento che loro sarà inflitto non avrà niente in comune con le esperienze passate). Altrettanto, ovviamente, accadrà nel campo di Auschwitz.
Dante spiega che gli mi, destinati a sprigionare da sé la farfalla, - che a mo' di angelo dispiega le sue ali, rallegrandoci profondamente con la sua bellezza e leggerezza, - a meno che il colpevole, peccaminoso comportamento umano, a meno che lo stravolgimento delle funzioni vitali ed intellettive non costringano l'uomo a restare verme; oppure a meno che una volontà ostile e perversa non costringa l'uomo, o anche la bestia, a regredire verso il basso, invece di alzarsi verso l'alto (come, appunto, raccontala vicenda dell’Angelica farfalla).
Ora, su questa possibile duplicità si costruisce la raccolta di racconti di cui stiamo parlando: si può andare verso il basso o verso l'alto a seconda della scelta che si è fatta. E l'umano e il bestiale, in questo accidentato percorso, si corrispondono e talvolta si fondono, creando ircocervi difficilmente distinguibili.
La descrizione dei casi possibili contempla la chiamata in causa di esseri infinitesimali ma estremamente complicati come gli insetti, le formiche, gli scarabei, i coleotteri, per salire poi più su, ancora più su, con le chimere e i centauri, fino all’uomo, che però non può neanche lui essere considerato un punto fermo nel grande ciclo dell'esistenza universale ma può tornare indietro, alle sue bassure originarie, al suo fetido destino di sopravvivenza, «sì come vermo in cui formazion falla».
Tutto ciò detto con quell'inimitabile leggerezza ed essenzialità della forma, che fa pensare talvolta che l'angolo della bocca di Primo Levi si torca un poco nell'enunciare queste terribili verità, quasi a raccomandare ai suoi lettori e ascoltatori che esse siano sì recepite, ma senza nessuna intonazione magniloquente. Questo è il divertimento: assistere al dispiegamento dello stile, che dice tutto, senza sprecare una sola parola (viene in mente Calvino, di cui Levi era amicissimo).
Ha qualcosa a che fare questa enunciazione della permutazione possibile delle specie con la rappresentazione dell'universo concentrazionario di Se questo è un uomo? Io non avrei dubbi. La «filosofia naturale» di questi racconti ha ispirato la descrizione, e a sua volta ne è stata ispirata, dell'universo concentrazionario di cui Levi ha fatto così terribile esperienza.
Ad Auschwitz la permutazione dell'uomo nella bestia e della bestia nell'uomo ha raggiunto il vertice, pensata e governata da una diabolica volontà umana (umana … o bestiale?). In Ranocchi sulla luna la terribile lezione trova una sua formalizzazione esistenziale e letteraria, che va al di là della recinzione del lager.
Ci sono mille occasioni, pretesti e giustificazioni per cui l'«Angelica farfalla» torni a essere «il vermo» da cui essa proviene. L'umanità consiste nel procurarsi che il dono di bellezza e di armonia, di cui la farfalla è il simbolo, non ci sfugga, per debolezza, vanità, ingordigia di potere crudeltà, dalle mani.

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