Ma la rivoluzione parte dagli insegnanti.

28.08.2014 15:50

"Quel che nella scuola non va chiede non riforme o rivoluzioni, ma interventi "leggeri" e una convinta valorizzazione degli insegnanti" (Mariapia Veladiano, La Repubblica, 27 agosto 2014)

Non si sa più da che parte prenderla la scuola italiana. Siamo tutti stremati dall'infinita sequenza di "grandi riforme rivoluzionarie". Eppure qualcosa è necessario fare per ricostruire la fiducia. Qualcosa che parta proprio dagli insegnanti. Perché la storia del loro reclutamento non si lascia raccontare. Arrivati in aula per mille diversi "canali", come orrendamente si dice, fra loro alla rinfusa sovrapposti, disordinati, ogni anno diversi, promettenti e costosi.
Sono poi, gli insegnanti, scivolati in graduatorie di prima, seconda, terza fascia, a scorrimento, a esaurimento. Illusi, disillusi, spostati di qua e di là. In questo momento è forse possibile ma di sicuro inutile fare la lista delle colpe. Servono prudenti e pensati interventi che disinneschino i conflitti e le disfunzioni tenendo presente le ingiustizie più evidenti ma soprattutto il bene degli studenti che non possono cambiare insegnante ogni anno.
La scuola esiste per loro, non per risolvere il problema del precariato. Piccoli passi: contratti di supplenza triennali, esistono già in Trentino, piacciono a tutti, il supplente rinuncia ad avvicinarsi a casa se si libera un posto vicino, ma sa dove lavorerà, gli studenti hanno tre anni assicurati. Piccoli passi: non cambiare le regole del gioco in corsa, i contenziosi devastano i rapporti fra colleghi. Non serve un altro concorsone con canale privilegiato, ma la progressiva paziente soluzione dei contenziosi ancora sospesi.
Ancora gli insegnanti. Se proprio si vuole credere che la cosa più urgente sia valutarli, un incentivo (la parola ha una sua decisa ineleganza perché solo di soldi si parla) lo si dovrebbe riconoscere a chi fa l'insegnante in classe, a chi insegna bene benissimo, e non (soprattutto) a chi fa altro. A buoni maestre e maestre, e la maggior parte è così. Gli altri, semplicemente, con tutte le garanzie del caso, con procedimenti limpidi e con istruttorie serie e non arbitrarie, andrebbero cacciati. Vogliamo fare il conto di quanti studenti sono danneggiati da un pessimo insegnante?
Ancora gli insegnanti, e del resto son loro (soprattutto) a fare la buona scuola. Li si accusa di essere culturalmente all'inseguimento rispetto alle competenze non solo tecnologiche dei giovani loro studenti. I tagli hanno cancellato l'obbligo di formazione e aggiornamento. Ancora dal Trentino si può importare l'anno sabbatico, occasione di autoaggiornamento e distacco a volte necessario, che permette un ripartire nuovo. Lo stipendio dell'anno viene recuperato con una decurtazione (sopportabile) nei cinque anni successivi, a costo zero per l'amministrazione. E dall'Alto Adige invece si può introdurre per i docenti a fine carriera l'opzione volontaria di diventare tutor per i colleghi. Nessun pensionamento anticipato, e formazione per tutti a costi sostenibili.
E poi ci sono le risorse. L'interesse di una comunità per la sua scuola diventa visibile attraverso la bellezza, o almeno la dignità, delle strutture. E la generosità degli investimenti. Investire mostra che la scuola è importante, che vale la pena studiare, perché un futuro c'è. Ma gli investimenti devono andare dove sono più necessari, dove la dispersione dovuta a situazioni sociali e ambientali è di necessità maggiore, e le prove Invalsi magari sono disastrose. La scuola è luogo delle opportunità per tutti e strumento di equità. E se non è questo può anche chiudere.
Trattare la scuola pubblica sempre solo come un problema da risolvere non porta da nessuna parte. Si scredita chi ci lavora, si demotiva chi la frequenta, si offre un ennesimo pretesto alla denigrazione di massa. La scuola è (semplicemente) un bene comune, scritto nella nostra Costituzione. Un dovere per lo Stato. E in questi anni in cui l'Italia è stata squassata dalla crisi economica, politica e di convivenza, la scuola ha resistito a uno sciame di chiamiamole riforme e ha continuato ad assicurare quella preparazione che permette anche a una quantità di ragazzi di espatriare e valorizzare altrove, nei migliori istituti di ricerca stranieri, i saperi conquistati nelle nostre università. Miracolo tutto umano di una professionalità docente che ha trovato in se stessa le energie e motivazioni necessarie malgrado il linciaggio quotidiano di quei derisori politici che hanno visto nell´istigazione uno sciagurato strumento di facile cattivo governo.
Quel che nella scuola non va chiede non riforme o rivoluzioni, ma interventi "leggeri" e una convinta valorizzazione degli insegnanti che oggi vanno in classe caricati da un debito di fiducia e devono dimostrare di essere "diversamente insegnanti" per essere riconosciuti nel loro valore.
La vera rivoluzione della scuola è forse proprio questo saper muoversi con prudenza dentro la sua complessità.