Le mie sere con papà. Il maestro d'Italia in TV

26.02.2014 18:37

E' andata in onda su Raiuno la fiction "Non è mai troppo tardi", dedicata alla mitica figura del maestro Alberto Manzi, che portò nella case degli italiani, negli anni sessanta, una scuola del tutto originale per un'opera di alfabetizzazione da compiersi anche attraverso le emergenti nuove tecnologie della comunicazione di massa. La straordinaria capacità di comunicazione del maestro Manzi, il suo sguardo coinvolgente, i fantastici disegni a gesso nero sono ancora vivi nella memoria di tanti di noi. Ce ne parla sulle pagine di Repubblica del 25 febbraio il figlio Massimo.

Nelle immagini iniziali della fiction Non è mai troppo tardi andata in onda ieri sera su Raiuno, mio padre, più giovane di quanto io non sia oggi, guarda fuori da una finestra degli studi televisivi nei pochi minuti che precedono la sua prima lezione in tv. Nel buio della sala dove assisto alla proiezione dell’anteprima mi rendo improvvisamente conto di non sapere come abbia vissuto quei momenti. Con quali aspettative, ansia o timore. A casa la giornata che avrebbe modificato in qualche modo la nostra vita trascorse su binari consueti: colazione, scuola, pranzo tardi, perché anche mamma era maestra e il ritmo scolastico scandiva la vita familiare. Avevo dieci anni. Fu un giorno non esattamente come tanti ma non troppo diverso in quell’Italia del 1960, dove l’ansia dell’apparire era ancora lontana, anzi il sentimento prevalente tra di noi, mentre nella casa della vicina guardavamo la sigla di Non è mai troppo tardi, era il pudore. Anche papà sembrava inizialmente imbarazzato nel presentare la sua prima lezione, ma subito dopo, quando il gessetto nero cominciò a scorrere sul grande foglio di carta paglierina tracciando un disegno e alcune lettere dell’alfabeto, fu come se tutto tornasse al proprio posto e trovasse un suo equilibrio. Pensai: insegna, è un maestro, fa quello che ha sempre fatto. Assieme a lui anche noi della famiglia rifiatammo.
Certo, vederlo lì e sapere che molti altri nello stesso momento seguivano la stessa lezione ci sembrò straniante ma a cose fatte, quando tornammo a casa dopo i titoli di coda la sensazione di eccezionalità svanì piano piano. Rividi il mio papà non di fronte a una classe virtuale, ma ai suoi ragazzi in carne ed ossa. All’ora di cena tutto era rientrato nella normalità e avevamo recuperato il “ritmo” tradizionale della nostra esistenza. Intorno al tavolo commentammo “l’evento” vissuto grazie all’ospitalità della vicina, a quel tempo il televisore non faceva ancora parte dell’arredo domestico. Il primo apparecchio farà la sua comparsa tra le mura di casa nostra quasi un anno dopo, non per snobismo ma perché il salario di due maestri con tre figli consigliava ben altre priorità.
Con l’avventura Rai qualche cosa cambiò. Accadeva che qualcuno fermasse papà in strada per congratularsi o semplicemente presentarsi, arrivavano a casa lettere di persone che ringraziavano, facevano domande, chiedevano consigli. In alcuni momenti mio padre diventava anche per me il maestro della televisione ma erano solo momenti, appunto. Oggi, mentre scorre il film della nostra vita mi torna alla mente una sera in casa, il ticchettio della macchina da scrivere, papà che sfila il foglio del racconto che sta scrivendo, io che comincio a leggere, così come si ascolta una storia prima di addormentarsi. La scena si ripete, non so quante volte: ticchettio, foglio che si sfila, ticchettio, foglio che si sfila... Il fare ha sempre scandito la filosofia di pedagogo di mio padre. Cinquantaquattro anni dopo, mentre scorrono i titoli di coda della fiction del “maestro d’Italia” penso che in fondo la considerazione iniziale intuita più che elaborata durante quella prima trasmissione in diretta Rai fosse esatta: alla fine, una volta spento il televisore, quello che tornava a casa la sera, mi diceva ciao e sedeva al mio stesso tavolo era semplicemente il mio papà. In fondo è questo che conta, il resto è fiction.

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