La stagione del modello tedesco che fa ombra al secolo americano

29.10.2013 12:30
Categoria: Articoli giornale

Mentre il neo liberismo puntava su libertà individuale, deregulation, concorrenza, la Germania ha scommesso sul collettivo e su una alta integrazione sociale. Mauro Magatti sul Corriere della Sera del 27 ottobre

L’imbarazzo di Obama e la stizzita reazione della Merkel dopo la scoperta delle pratiche investigative utilizzate dai servizi americani su scala planetaria è l’icastica rappresentazione della nuova stagione storica che stiamo cominciando a vivere.

Nell’immaginario collettivo rimane ancora dominante la grande svolta di Reagan, da cui è derivato un trentennio tutto americano: in politica e in economia, con la deregulation, la mobilitazione individualistica, la globalizzazione, gli Stati Uniti sono stati il vero e unico motore del periodo 1979-2008. Con la crisi, però, la situazione è cambiata. Prima di tutto perché la crisi finanziaria ha posto fine al sogno di una finanza globale illimitata, una delle condizioni dell’espansione di quel periodo. La seconda è la maturazione di quel complesso fenomeno che è la globalizzazione: oggi, sullo scenario globale, si muovono diversi attori politici, e non più solo gli Usa. La presidenza Obama rappresenta il tentativo di fare i conti con la difficile eredità di quel periodo storico: l’America che si guarda oggi alla specchio si vede indebitata e senza una chiara indicazione sul futuro. All’interno, Obama fa una gran fatica a far passare tra la gente la sua riforma sanitaria, mentre, all’esterno, il problema è ridefinire il quadro delle relazioni internazionali al di là della battaglia al terrorismo islamico che, negli ultimi 15 anni, ha costituito la causa-ombrello sotto cui si è fatto passare qualsiasi provvedimento.

In realtà, anche se la cosa non è stata ancora adeguatamente tematizzata, siamo entrati in quello che potremmo chiamare il «decennio tedesco». La Germania, che non è esente da problemi e che ha visto crescere non di poco il suo debito pubblico, negli ultimi anni ha seguito una strada molto diversa. Prendendo le distanze dalla eccitazione della mobilitazione individualistica, i tedeschi hanno faticosamente portato avanti il grande progetto politico della riunificazione. Strada difficile, resa certamente più agevole dall’Europa, ma che ha finito col rafforzare i caratteri tipici della cultura germanica: spirito di corpo, dedizione personale, centralità dello Stato, interclassismo. In poche parole, la Germania ha seguito il percorso inverso a quello neo-liberista: mentre quest’ultimo puntava su libertà individuale, deregulation, concorrenza, la Germania ha scommesso sul collettivo e su una alta integrazione sociale e sistemica.

Il cambio di fase storica ha ora spostato gli equilibri a vantaggio del modello tedesco. Che cosa serve alle economia avanzate per competere in quella che possiamo chiamare «seconda globalizzazione»? M. Porter, professore di strategia e management ad Harvard, si spinge a dire che è venuto il momento di assumere «una visione più ampia della creazione di valore», che oggi non si ottiene più solo cogliendo in modo individuale le possibilità disponibili, ma soprattutto integrando concorrenza e socialità, investimento in beni collettivi e intraprendenza personale. Quella forma «più sofisticata» di capitalismo di cui scrive Porter - e che in America Obama fatica ad affermare - trova una sua realizzazione proprio nel modello tedesco, dove la ricerca si integra con la produzione, le relazioni industriali sono lo strumento per negoziare la partecipazione ai benefici della crescita, la formazione professionale la via per preparare tecnici qualificati e per far entrare nel mercato del lavoro i ceti popolari, la sensibilità ambientalista una direzione per l’innovazione tecnologica e dei servizi pubblici, la giustizia fiscale e sociale condizioni per la leale partecipazione dei cittadini.

Non si tratta di magnificare la Germania. Al contrario, sappiamo bene, ad esempio, che, sul piano europeo, proprio la forza dell’economia tedesca rischia di diventare un fattore di profonda lacerazione in un Continente caratterizzato da grandi differenze interne. E la Germania deve, da questo punto di vista, dimostrare di saper sfuggire alle sirene di una nuova, e pericolosissima, politica di potenza nazionale dalla quale rischia di venire risucchiata.

Si tratta, invece, di capire che da Berlino vengono alcune suggestioni che meritano di essere valutate con attenzione: la mobilitazione individualistica va armonizzata con l’efficienza sistemica, il breve periodo non può sacrificare il medio-lungo, lo Stato non è necessariamente antagonista del mercato, il profitto economico si ottiene intrecciandosi con lo sviluppo sociale e culturale di un paese. Per rendere possibile una nuova stagione di prosperità, tutto questo avrà poi bisogno di un ordine mondiale in grado di permettere la coesistenza pacifica tra i diversi centri di interesse economico-politico planetario. Obiettivo difficilissimo al quale si dovrà lavorare nei prossimi anni.

Dietro la superficie, l’incidente diplomatico di questi giorni cela così un contenuto ben più profondo. E la sfuriata della Merkel fa capire che, in tutti i casi, da oggi in avanti, nulla sarà più come prima.

Corriere della sera, 27 ottobre 2013

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