Debito pubblico tra etica e cultura (di Luciano Corradini)

13.09.2012 16:47
Categoria: Cultura & Società

Quelle che parevano allora le fisime di un visionario si rivelano oggi, a distanza di vent'anni, lucide anticipazioni di una realtà che con ragione viene definita una "minaccia alla vita collettiva italiana ed europea". Si tratta del debito pubblico e chi ne parla, con forte tensione etica e civile, è Luciano Corradini (già sottosegretario all'Istruzione nel governo Dini, vice presidente del CNPI, presidente dell'IRSSAE Lombardia e, per un decennio, presidente dell'UCIIM), professore di pedagogia e appassionato uomo di scuola.

Uscire dalla crisi: l’economia non basta

Debito pubblico tra etica e cultura

di Luciano Corradini

Un vertice romano per ripensare e ridisegnare l’Unione Europea?

Mentre l’8 settembre si svolgeva a Brescia l’assemblea nazionale dell’ARDeP, associazione per la riduzione del debito pubblico, che ha eletto il suo quarto presidente nella persona di Pasquale Moliterni, docente di didattica nell’Università di Roma Foro Italico, dal meeting di Cernobbio il presidente del Consiglio italiano Mario Monti e il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy annunciavano un prossimo vertice straordinario a Roma, per combattere i fenomeni di disgregazione e di populismo che stanno percorrendo l’Europa. Non, dunque, per affrontare problemi economici e finanziari, pur incombenti e inevitabili, ma problemi psicologici, culturali, etici e politici, come  condizioni altrettanto importanti per uscire dal tunnel della crisi.

Non deve trattarsi di propaganda, ma di un’occasione utile a ricordare e prevedere, pensare e riflettere sul progetto e sul percorso dell’Unione Europea, fondata nel 1957 a Roma e nel 1992 a Maastricht: percorso che si trova ora ad un bivio, tra l’avanzamento, la regressione, fra la più solida costruzione e il disfacimento. Si tratta di aspetti e di problemi che i politici hanno a lungo trascurato, accontentandosi di un superficiale ”europeismo permissivo”, dato che l’”antieuropeismo muscolare” era allora un fenomeno marginale: era diffusa la filosofia del “farsi i fatti propri”, benché la nave stesse imbarcando acqua. Il discorso vale sia per le sorti dell’Europa, sia per quelle dell’Italia, che soffre di una trentennale “disattenzione” da parte del mondo della politica. Di qui la più grave crisi di legittimazione politico-istituzionale del dopoguerra, che ci ha colpito insieme alla crisi finanziaria ed economica esplosa nel 2008.

La genesi dell’ARDeP, vent’anni fa

E’ per tentare di colmare questo vuoto che l’ARDeP è nata, poco dopo il  “settembre nero” del 1992, nel quale l’Italia rischiò la bancarotta. Nel CNPI cercammo inutilmente di far approvare un ordine del giorno elaborato dall’Ufficio di presidenza, a sostegno della manovra con cui l’allora presidente del Consiglio Amato si proponeva di salvare la lira e di avviare la riduzione del debito. Di fronte alla minaccia di default e all’afasia del CNPI, il 26 settembre mi decisi a compiere un gesto insolito: il versamento al Tesoro, con conto corrente postale, del 10% del mio stipendio, con la motivazione: “contributo volontario al risanamento del bilancio dello Stato”.

Ricordavo che Mussolini, nel 1935, chiese e ottenne anche da mia madre il dono dell’ “oro alla Patria”, per fare una guerra coloniale; la Repubblica italiana invece non è stata capace di chiedere e di offrire questo “oro” per fare la pace fra italiani, quando la crescita abnorme del debito pubblico ha messo in pericolo le sorti dell’Italia. Non si è dato il giusto rilievo né alla giustizia, né alla solidarietà, né al senso dello Stato, né alla logica del dono.  Si è vissuti, come poi si è fatto sempre più chiaro, al di sopra delle proprie possibilità, facendo debiti da mettere sulle spalle di figli e nipoti. Fra i fondatori dell’Associazione c’erano Mario Boschi, dirigente dell’AIMC e della CISL e Luciano Sgobino, presidente dell’AGE, oltre a Paolo Mazzanti e Daniele Rossi di Confindustria, Giacomo Fidei, Anna Corbi, Fernando Boccagna del Ministero della PI, Giancarlo Arcieri, bancario e Lucio Leboffe, del Ministero delle Finanze.  Nel citato sito (www.ardep.it) sono leggibili e scaricabili i libri La tunica e il mantello, del sottoscritto e L’Oro alla patria, di  Mazzanti, in cui si documentano le ragioni e gli eventi che hanno caratterizzato il primo decennio di vita dell’associazione, impegnata in questo “esperimento sociale”.

E’ stata l’ARDeP a chiedere e ottenere che il Tesoro istituisse un capitolo (il 3330) abilitato a ricevere le donazioni dei cittadini, per alleggerire il carico del debito, nel Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, istituito dalla legge 432/1993. L’idea è ora ripresa e sviluppata daIl’ex banchiere Pietro Modiano, ora presidente di Nomisma. Il programma dell’ARDeP era essenzialmente educativo, ma non retorico. Anzi: il “volontariato fiscale” voleva indicare che non bastavano belle parole al vento, ma gesti e testimonianze a tutti i livelli, a cominciare dal proprio portafoglio. Ciò valeva in particolare a partire dai portafogli più gonfi, che però sono spesso i più renitenti ai doveri fiscali.

Un programma allora trascurato, ora di sorprendente attualità

Lo studio e l’impegno sul piano tecnico e politico, per affrontare l’aumento del debito come emergenza civile, richiesero l’elaborazione, sia pure in bozza sommaria, di un piano straordinario che doveva comprendere:

-una campagna di informazione e di educazione civica, che si denominò  Adottiamo l'Italia per meritare l'Europa: si trattava di concentrare l'attenzione su ciò che ci unisce e non su ciò che ci divide, su ciò che si può fare nel futuro e non solo su ciò che si è trascurato, rubato o sprecato nel passato; e di offrire una percezione anche visiva della costruzione storica che Stato e cittadini stanno insieme realizzando;

-la trasformazione del Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato in Fondo per la riduzione del debito pubblico, da gestire in modo manageriale, a cui convogliare il frutto di operazioni condotte  con piani definiti, relative a: 1) privatizzazioni e valorizzazione del patrimonio pubblico non strategico, 2) ricupero dei patrimoni della criminalità organizzata e di quanto sottratto dai corruttori, 3) affitto di quella parte del patrimonio museale che non si riesce ad esporre e a conservare in modo dignitoso, 4) oblazioni volontarie, riconoscibili  con una sorta di albo d'onore, 5) lotta all’evasione, sull’esempio del Comune di Rivoli, che aveva ricuperato beni ignoti al fisco, 6) adozione dei conflitti d’interesse nelle prestazioni professionali, riduzione del cuneo fiscale, per sviluppare l’economia e dare lavoro.

Non pubblicizzato, ignorato dagli stessi parlamentari, il citato capitolo del Fondo ha raccolto in tutto una cinquantina di milioni di vecchie lire e successivamente qualche migliaio di euro. Frattanto però la coscienza della gravità e della pericolosità del debito, raddoppiatosi in cifre assolute nel corso degli anni ’90, si è fatta più chiara.

Secondo John Stuart Mill, tutte le grandi cose passano attraverso tre stadi: il ridicolo, la discussione, l’accettazione. In questi ultimi tempi, per quanto riguarda la percezione della rilevanza del debito come analizzatore non solo economico ma anche etico della società e come minaccia alla vita collettiva italiana ed europea, stiamo passando dalla seconda alla terza fase, dopo avere sperimentato a lungo i sorrisi di coloro che ritenevano ridicola l’attenzione a questo veleno insapore e incolore, che pareva fosse solo affare degli specialisti.

Le colpe del passato e le responsabilità verso il futuro

Oggi, finalmente, molti sostengono, a livello economico e politico, in ambito governativo e parlamentare, un programma che in qualche modo sviluppa idee dell’ARDeP, che tecnici e politici hanno snobbato per anni. Ora si tratta di fare buon uso della propria legittima indignazione per le inefficienze, gli sprechi, le ruberie, l’evasione fiscale, la “disattenzione” di cui si è detto.  E’ giusto denunciare (si pensi La Casta, di G.Stella e G.Rizzo e al più recente Soldi rubati, di N.Penelope), ma poi bisogna valutare le alternative, discutere e partecipare criticamente alla gestione della cosa pubblica. Parole grosse, che trovano però forte legittimazione nell’insegnamento, per lo più trascurato, di Cittadinanza e Costituzione.

Molti giovani, seguendo le analisi di discutibili maestri, sostengono che, poiché il debito non l’hanno fatto loro, non intendono pagarlo. La questione non è così semplice, né di diritto, né di fatto, anche se è vero che la responsabilità del “buco” appartiene alle generazioni degli adulti.

Si tratta intanto di notare che i giovani non ricevono in eredità solo il debito, ma anche molti crediti, a cominciare dai beni di natura e di cultura che il nostro Paese ha accumulato nei secoli. Le famiglie italiane poi, nel loro complesso, detengono un patrimonio stimato in 8600 miliardi, pari a 4 volte il debito, che è di 2000 miliardi di euro. Se è vero che, in virtù dell’art. 81 della Costituzione, rinnovato e rinforzato nell’estate scorsa, nella disattenzione generale, dovremo ottenere il pareggio del bilancio entro il 2014, e inoltre, entro il 2032, in virtù del Fiscal Compact, trattato europeo approvato dal Parlamento, per scendere dal 120% al 60% del PIL dovremo trovare 970 miliardi (pari a 45 miliardi l’anno), è anche vero che nella storia abbiamo saputo vincere anche sfide più difficili, come le ricostruzioni postbelliche e il terrorismo.