"Bianca come il latte rossa come il sangue". Nel romanzo di D'Avenia la vita vera degli adolescenti

23.10.2011 12:30
Categoria: Cultura & Società

BIANCA COME IL LATTE ROSSA COME IL SANGUE è il bel libro di Alessandro D’Avenia (Mondadori 2010) che sta girando tra gli adolescenti e che piace ai loro genitori; è la storia di Leo, sedicenne, liceale, delle sue giornate tra scuola e famiglia, amicizia e amore.

Amicizia è la fiducia che spinge Leo verso Silvia, rassicurante amica, presente come l’aria, quella che c’è sempre e ti aiuta; amore è il rosso sangue dei capelli di Beatrice, l’infiammarsi dei sensi per la bellezza che è apparizione e sogno.

Le parole scaturiscono come acqua prendendo dalla sorgente della vita vera degli adolescenti, quella sempre in bilico, che scuote, si innalza, si abbatte e precipita nel vorticoso baluginìo. C’è sovrabbondante nel libro la conoscenza del mondo giovanile che l’autore ha, come professore di un Liceo, giovane lui stesso, anno di nascita 1977.

Le pagine si nutrono di tutti i riferimenti alla musica, alle letture e alla tecnologia con cui si combina la quotidianità dei giovani: impensabile che un tale libro potesse essere scritto da un over cinquanta.

La trama delle euforie e dei patimenti giovanili disegna un’esperienza a lieto fine; ma non perché la storia finisca bene, anzi: Beatrice, il rosso del sogno che fa volare, si ammala di leucemia, la malattia che è il bianco in cui i sogni si fanno evanescenti. Il lieto fine sta nell’identificazione dell’esperienza adolescenziale come un apprendistato che attraversa deserti e vertigini ricorrenti, ma che sa mantenere il legame alle roccaforti: la famiglia, la scuola; e di nuovo l’amicizia e l’amore.

Sì anche la scuola, che riscatta le sue colpe e ne esce benissimo con il professore di “Storia e Filo”, soprannominato Sognatore: uno che guida verso le cose alte, parole e idee, che restituisce senso alle interminabili ore sui banchi, altrimenti noia alla potenza del supplizio; qualcuno a cui brillano gli occhi quando “spiega” e che riesce a ribaltare la distanza delusa dello studente in vicinanza che consola.

Nel libro c’è di più: gli adolescenti parlano con Dio, che il T9 trascrive “Fin” nei mmm (messaggi mai mandati) di Leo: “Se sei onnipotente: salvala. Se sei misericordioso: guariscila. Mi hai messo un sogno nel cuore: non portarmelo via… Tu dici di essere la verità, ma la verità è che non ti importa di me e che non puoi cambiare le cose. Non mi stupisce che nessuno poi ti creda”.

Ma lo scacco della malattia è mirabilmente riscattato da Beatrice che ne accetta il mistero riconsegnando a Dio lo stupore della bellezza e della vita, che resistono oltre la paura del nulla; non smentendo il presagio di luce nel nome che porta. Attraverso il dolore, la giovinezza di Leo, diventato tutto intero e dunque Leonardo, si rafforza nella gioia dell’amore che ritorna, nell’abbraccio con la madre, nella riconoscenza per il maestro.

Un libro scritto con una lingua sorprendente nella vastità delle modulazioni, dove anche le “parolacce”, contaminanti di solito, da qui escono come lavate. In un’epoca di decadenza gridata, un’opera di verità intelligente che lascia sperare.

“La giovinezza cupida di pesi/ porge spontanea al carico le spalle./ Non regge. Piange di malinconia…” nella poesia di Umberto Saba come nel romanzo di d’Avenia.

LEONARDA TOLA