Ma i super-poteri a noi presidi non miglioreranno l'istruzione

20.05.2015 09:22
Categoria: Articoli giornale, Buona scuola

Fuori da radicalizzazioni e ideologismi, il punto di vista di una "addetta ai lavori" che mette in luce quanto di improvvisato ci sia in una proposta che assomiglia al "tentativo di blandire i dirigenti dando loro delle facoltà che non hanno chiesto" (Mariapia Veladiano, La Repubblica, 20 maggio 2015)

E siccome non è riuscita l’operazione di sparare contro i professori, allora si prova a blandire noi presidi. Col potere. E chi lo vuole mai.
Il preside padrone può forse fare buona letteratura. Dalla “santa obbedienza” pretesa dall’abate Pirard del Rosso e il Nero di Stendhal, alla sgamatissima saggezza di Marguerite Gentzbittel, leggendaria preside del liceo Fénelon di Parigi che si racconta in un libro, Madame le proviseur, diventato una serie televisiva che ha regalato ai francesi un immaginario scolastico pieno di verità.
Ma di sicuro il preside padrone non può fare una buona scuola. L’articolo 9 del disegno di legge approvato alla Camera mette in fila: a) un compromesso necessario, b) uno scaltro ammiccamento agli elettori travestito da ingenuità, c) una scorciatoia dissennata.
La chiamata diretta (non è assunzione, sono già assunti) riguarda per ora solo i docenti che vanno a costituire l’organico dell’autonomia di un istituto. Capita questo: una parte dei docenti precari che lo Stato deve assumere in seguito alla sentenza della Corte europea del 26 novembre 2014 non potrà entrare a far parte dell’organico delle scuole, perché le loro classi di concorso non sono richieste, ad esempio. Questi entreranno in un albo territoriale da cui i presidi potranno chiamare direttamente quelli che rispondono al bisogno della scuola sulla base del Piano triennale dell’offerta formativa approvato dal collegio dei docenti. Solo questo spiega perché il preside può utilizzare questi docenti su chiamata anche per classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati e sulla base di titoli di studio e culturali che assicurino competenze coerenti con l’insegnamento assegnato. Per essere concreti: un insegnante di arte assunto nell’albo territoriale ma non assegnato a una scuola, può avere una certificazione linguistica (C1) oggi ricercatissima alle superiori, per avviare percorsi CLIL (insegnamento di discipline non linguistiche in lingua straniera) obbligatori, ma per i quali le scuole ancora non hanno le competenze necessarie. Un docente di questo tipo può entrare a far parte dell’organico dell’autonomia.
Il Trentino conosce dal 2006 la chiamata diretta per una quota del 4 per cento dell’organico. Interessa gli specialisti di lingua straniera e si tratta di un’esperienza positiva, che ha richiesto saggezza e capacità organizzativa alle scuole, ha portato qualche conflitto, ma positiva. Poi, però, si tratta di capire quale sarà la direzione di questo meccanismo (transitorio?). Le graduatorie territoriali (nelle quali confluirebbero, se si capisce bene, anche i docenti che chiedono trasferimento da altre regioni) vanno a sparire man mano che i docenti sono assunti in organico oppure la direzione è inversa, e il reclutamento su chiamata, sia pure dopo concorso, sarà la norma nel futuro? Non si sa, ma qui si gioca un’idea di scuola.
Quanto alla disposizione che vieta l’assunzione su chiamata di parenti e affini, è una scaltrissima mossa politica. È ovviamente illegittima, destinata a essere fulminata al primo ricorso, ma intanto fa passare l’idea che i presidi tutti o una bella parte di loro sono nepotisti e della scuola non si curano, e chi l’ha proposta può ben dire agli elettori io ci ho provato ma la legge ipergarantista mi ha stoppato.
Una scorciatoia dissennata è invece la norma sulla valutazione dei docenti. Valutare non è buttare dalla torre o no. È avere criteri, parametri. Conoscere in anticipo, come si fa con gli studenti, su che cosa si è valutati. Sulla formazione, sui progetti, sui titoli culturali, sulla didattica? Su tutto? Si devono trovare modalità per quanto possibile oggettive e insieme impedire che soldi e merito siano spazzolati solo da docenti che sanno organizzare eventi e costruire progetti, perché quel che un docente deve sopra ogni cosa saper fare è insegnare. Deve essere un bravo insegnante, che appassiona, che si prende cura di tutti. Impensabile che questa delicatissima operazione la faccia il preside insieme a due insegnanti, un genitore e uno studente. C’è un tale insanabile conflitto di interessi, c’è la deriva sottile di rapporti di involontaria piaggeria, c’è un trovarsi (il preside) in una posizione di inutile, in questo caso inutile, potere. I Paesi che valutano gli insegnanti hanno un serio sistema ispettivo che garantisce la terzietà della valutazione. Non esiste scorciatoia rispetto a questo. Bisogna rinunciare, per ora, a valutare tutti e semplicemente dare la possibilità al preside, attraverso procedimenti non bizantini e trasparenti, Fare il preside è un servizio alla comunità civile. Che almeno la scuola pubblica sia un luogo in cui si rende visibile ai ragazzi che collaborare è più bello (e giusto) di obbedire.