Strage a Peshawar, l'ABC dell'odio: "A morte la scuola"

17.12.2014 12:20

Il senso non è nelle caratteristiche personali delle vittime, ma nella loro identità collettiva”, dice Adriano Zamperini, docente di Psicologia della violenza all’Università di Padova, della ‘strage degli innocenti’, 145 bambini e ragazzi trucidati con un colpo alla nuca da nove terroristi talebani, nell’assalto alla scuola dei figli dei militari a Peshawar in Pakistan.
Non è un bambino che guarda con gli occhi spalancati sull’orrore ciò che ha di fronte “la bestia che è in noi” nel furore della vendetta; la mente dell’aggressore è conformata alla scuola di un odio irreversibile che non gli farà più trovare la strada del ritorno a nessun sussulto di umana pietà. Quegli studenti chini sui libri rappresentano, nella contrapposizione delle ideologie, delle religioni e dei poteri, il nemico nella sua creaturalità, il germe da estirpare scovandolo sotto i banchi di una scuola, perché non possa più fiorire nel campo nemico di altri fiori avvelenati.
Non c’è un nome scritto sulla fronte di ognuna delle vittime, sono bersagli identificati come entità sociale, senza un’anima personale, da abbattere con furia selvaggia, per la potenzialità che incarnano: sono e potranno essere teste e cuori pensanti, si trovano nel luogo in cui la mente si allena a comprendere il nonsenso di tutte le guerre e il loro inutile perpetuarsi.
Se questo dovesse accadere, se dai banchi della scuola uscissero eserciti disarmati di nuovi abitanti della terra a portare fratellanza e concordia, sarebbe la novità intollerabile da combattere, costi lo sterminio sul nascere di ogni vita.
La bestia umana che si nutre di sangue e dell’odio assaporato, divenuto ragione sufficiente per vivere e morire, vagherebbe per i deserti ad ululare alla luna. Era il sogno degli studenti di Peshawar e del mondo.

Leonarda Tola